Rino Barillari Consigliere Nazionale Figec: “Il mio un gesto di rivolta e di fede”
Rino Barillari, meglio conosciuto come “The King”, il re dei paparazzi che hanno celebrato la Dolce Vita romana lascia la Fnsi e aderisce alla Figec Cisal, la nuova Federazione italiana giornalismo, editoria, comunicazione, con Carlo Parisi segretario generale e Lorenzo Del Boca presidente. In una intervista a “Giornalistitalia”, il grande fotoreporter spiega di avere aderito alla FIGEC “per un gesto di rivolta.
di Pino Nano
Lunedì 20 Marzo 2023
Roma - 20 mar 2023 (Prima Pagina News)
Rino Barillari, meglio conosciuto come “The King”, il re dei paparazzi che hanno celebrato la Dolce Vita romana lascia la Fnsi e aderisce alla Figec Cisal, la nuova Federazione italiana giornalismo, editoria, comunicazione, con Carlo Parisi segretario generale e Lorenzo Del Boca presidente. In una intervista a “Giornalistitalia”, il grande fotoreporter spiega di avere aderito alla FIGEC “per un gesto di rivolta.

Classe 1945, segno zodiacale Acquario, Rino Barillari è oggi una vera leggenda vivente. Elegantissimo, con questi suoi baffi sempre ben curati, rigorosamente neri corvino come i capelli dal taglio sempre impeccabile, e la smorfia beffarda di chi non ha paura di nessuno. Guascone e poeta insieme, 78 anni meravigliosamente ben portati, con questo suo sorriso eternamente pronto a rendergli giustizia. Accattivante, sornione, ammaliante e avvolgente. “The King”, è lui il solo vero re ancora rimasto dei famosi paparazzi romani. Le sue foto sono il più grande archivio moderno del mondo del cinema. Un archivio che racchiude conserva e racconta per immagini la bellezza e il successo di personaggi famosi come Liz Taylor, Ingrid Bergman, Jacqueline Kennedy, Barbra Streisand, Brigitte Bardot, Ava Gardner, Silvana Pampanini, Virna Lisi. E poi ancora, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Marlon Brando, Vittorio Gassman, Anna Magnani, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi. Ma non potevano mancare i Beatles, Robert De Niro, Sylvester Stallone, Al Pacino, Francis Ford Coppola, Michael Jackson, Demi Moore, Angelina Jolie, Elton John, Matt Damon, Madonna, Maradona. Chi più ne ha più ne metta.

Lo andiamo a cercare per parlare oggi con lui di sindacato e di problemi legati alla categoria dei fotoreporter, e ne viene fuori una confessione a cielo aperto della grande crisi che attraversa il sistema informazione in Italia.

-Barillari, oggi lei è Consigliere Nazionale della FIGEC. Possiamo chiederle perché ha aderito alla nuova Federazione FIGEC?

Ho aderito a FIGEC perché volevo che fosse un gesto di rivolta. Volevo convincere me stesso prima ancora che i miei amici che in Italia c’è Ancora spazio per un sindacato serio e rigoroso, e per gridare al mondo la mia delusione per tutto quello che la FNSI non ha saputo o voluto fare in difesa dei più deboli. Tutto qui. Nessuna scelta ideologica, ma solo una reazione istintiva e meditata a tanti anni di attese deluse e di speranze tradite.

-Come ha vissuto la seduta di insediamento ufficiale della FIGEC?

Con estrema curiosità. Volevo capire fino in fondo cosa realmente di nuovo si muove tra di noi.

-Se dovesse indicare il dato più distintivo di quella riunione?

Direi la scelta finale del nuovo esecutivo.

-In che senso?

Alla guida della Federazione sono stati eletti i colleghi forse più carichi e più motivati di questa nuova creatura. Sono stati scelti i migliori.

-Cosa vede di strano in tutto questo?

Non sempre il sindacato dei giornalisti ha brillato per qualità, e lo dico con il massimo rispetto possibile per tutti. La scelta del nuovo esecutivo FIGEC mi sembra invece quasi una sfida, quasi una prova di forza nel voler essere un passo avanti agli altri, e a non temere la qualità di chi da oggi lavorerà accanto a loro e anche per tutti noi.

-Mi indica un altro dato distintivo della Figec?

Credo che stia nella voglia da parte di Parisi e Del Boca di voler continuare a dialogare con tutti, riconoscendo che la nuova Federazione sindacale è nata non “contro qualcuno” ma per aiutare invece tanti altri a sentirsi meno soli e più liberi. Questo mi pare molto importante.

-Che Consiglio Nazionale è stato questo primo incontro della FIGEC?

Assolutamente nuovo rispetto alle tradizionali sedute a cui io ero abituato in passato, e devo dire anche educato ad accettarle.

-Mi dà un’idea concreta di questo Consiglio Nazionale?

Guardate, potrei parlarvi per un’intera serata dei colleghi con cui ero seduto, ragazzi per bene, donne e colleghe molto più giovani di me che hanno segnato la storia delle redazioni dove hanno lavorato, uomini e donne che hanno scelto di tornare sulle barricate del sindacato per riaffermare un diritto al lavoro che non mortifichi nessuno e non lasci indietro “chi non sta dalla nostra parte”. È stato bello incontrarli, e soprattutto sentirli parlare.

-Che tipo di richieste vengono dai più giovani?

I giovani colleghi oggi sono in cerca non di un sindacato unico, ma di un sindacato che imponga agli editori una linea severa ed equanime da seguire.  Serve un sindacato che abbia i piedi per terra, che sia in grado di gestire la prospettiva e il cambiamento della società e del settore.

-Il suo è stato un intervento durissimo?

Ma lei ha idea di cosa sia la difficoltà in cui un fotoreporter si trova oggi costretto a muoversi? Il nostro mondo è una “giungla”, ci sono centinaia di giovani che non hanno mai fatto il fotografo e che si sono inventati fotografi, ma sa perché? Perché oggi basta un cellulare qualunque, un telefonino di ultima generazione, tu scatti e mandi immediatamente la tua foto, e la foto viene pubblicata senza filtro e senza dover attendere che il vecchio fotografo magari torni in redazione e metta tutto nel sistema. Qui ormai non serve più il giusto contrasto tra bianco e nero, la foto ragionata, studiata nei minimi dettagli, la Meloni va a Cutro e si inginocchia sulla spiaggia dei migranti, ma basta che qualcuno scatti la foto giusta con un telefonino e la mandi ad un giornale, e la foto fa il giro del mondo. Non serve più a nessun giornale spendere tanti soldi per mandare un proprio reporter al seguito della premier, tanto la foto arriva lo stesso e soprattutto arriva senza costi aggiunti. Il più delle volte addirittura gratis.

-La cosa che più l’ha delusa in questi anni?

Il trovare sui grandi set cinematografici o teatrali questi giovani colleghi in erba che non hanno nessuno stile e nessun senso del rispetto. Ti passano davanti, senza neanche chiederti scusa, scattano a raffica e mandano via quello che hanno appena fotografato, e a volte non sanno neanche chi stanno fotografando o cosa stanno fotografando.

-Ma lo dice davvero?

Venga con me un giorno o una notte a lavorare e si renderà conto di come è cambiato anche il mondo dei reporter e dei fotoreporter. Ci sono frotte di giovani che del giornalismo non sanno nulla di nulla e che armati del proprio telefonino danno la caccia ai mille personaggi pubblici per le strade, per poi sperare che qualcuno acquisti quella foto, in barba ai grandi professionisti di questo mondo. Ma lo fanno anche per una decina di euro a foto al massimo, e lo fanno al servizio di gruppi editoriali che hanno ormai capito che a questa “giungla” di ragazzi, truppe senza nome e senza storia, basta dargli qualche spicciolo per ricominciare poi il giorno dopo.

-Di chi è la colpa Barillari?

Del sindacato certamente. Niente regole, niente accordi, niente contratti, niente contributi, nessuna discussione corale, niente garanzie, nessuna presa di posizione, nessun futuro per nessuno. Fin dove si può arrivare? Dove incomincia e dove finisce il diritto alla privacy? Quanto si rischia pubblicando la foto di un cadavere per terra? Cosa si deve fare se le forze dell’ordine ti impediscono di fare bene il tuo lavoro? È corretto mandare in onda le immagini già selezionate o i servizi chiusi che ogni giorno arrivano in redazione da polizia, carabinieri, guardia di finanza e procure varie, e che si sostituiscono di fatto al nostro lavoro e al nostro ruolo di verifica preventiva? C’è sempre da fidarsi? Il dibattito, come vede, rimane affascinante, attualissimo, ma irrisolto sul piano delle regole.

-Se lei, comunque, dovesse spiegare cos’è FIGEC, come lo farebbe?

Come l’ha fatto con me Carlo Parisi. Mi ha spiegato e mi ha convinto che FIGEC di fatto sta per tante cose insieme. E cioè, i comunicatori, i direttori di fotografia, gli autori testi, gli  sceneggiatori, i free lance, i web master, i fotoreporter, i poeti, gli attori, i registi, i parolieri, gli artisti, i social media manager, insomma tutto questo è lo specchio di una professione che è cambiata, e anche radicalmente, è il mondo della comunicazione che non è più quello di ieri, e non rendersene conto significherebbe continuare a tradire sé stessi, a prendere in giro le proprie coscienze, o peggio ancora a tacere a sé stessi quello che invece è sotto gli occhi del mondo.

-Da dove dovrebbe partire FIGEC per essere più credibile del vecchio sindacato?

Da un grande convegno promosso su questi temi. Dalla risposta che saprà dare a questi interrogativi. Dal modo come saprà porsi con questo nuovo mondo della comunicazione. Qui serve fare chiarezza una volta per tutte, con i giornali, con gli editori, con gli stessi free lance, tra di noi, con serenità e giudizio, perché altrimenti scoppia tutto per aria.

-Non è un’analisi eccessivamente pessimistica?

Guardi, l’ho già detto più volte e lo ripeto anche a lei. Credo abbiano ragione sia il Presidente di FIGEC Lorenzo De Boca che il Segretario Generale Carlo Parisi quando dicono che serve ricostruire sulle macerie, sul passato, sulle colpe congenite di tanti, sulle assenze istituzionali di troppi di noi, sui troppi silenzi conniventi di una categoria che ha perso la sua grinta originaria”, e serve farlo in assoluto libertà e con grande spirito di indipendenza.

-A chi dedica tutto il suo lavoro e tutta la sua carriera?

Ai tanti fotografi del passato, ai miei maestri, ai miei compagni di viaggio, ai tanti paparazzi che con me hanno vissuto per anni e per strada, Marcello Geppetti, Tazio Secchiaroli, Carlo Riccardi.

-Questo è il suo passato, e oggi?

Ai fotoreporter di guerra, a quanti non si sono mai arresi e hanno continuato ad andare avanti nonostante la crisi dei giornali e della carta stampata, a quanti non ci sono più, e che hanno raccontato ogni giorno la storia del mondo con le loro macchine da presa. Se io dovessi raccontare un giorno tutta la verità della mia vita non potrei dire che dietro il mio successo non ci anche sono tante storie di amicizia vera, di solidarietà comune, di fortissimo spirito di corpo. Quante volte sono finito in ospedale perché malmenato o pestato nell’esercizio del mio lavoro, ma ho sempre avuto attorno tutti i miei amici di strada e di vita. A loro dedico la mia carriera e il mio successo. E oggi, ancora di più, lo dedico a quei fotogiornalisti che ogni giorno a rischio della propria vita raccontano con le immagini la devastazione della guerra in Ucraina.

-Mi ricorda quante volte Rino Barillari è stato picchiato? E quante macchine fotografiche gli hanno distrutto?

In più di cinquant'anni di carriera ho subito 162 ricoveri al pronto soccorso, 11 costole rotte, 1 coltellata, 76 macchine fotografiche fracassate, 40 flash divelti, e centinaia di manganellate negli anni del terrorismo soprattutto, quando avevo incominciato a seguire anche i vari tumulti di piazza. Il ‘68 in Italia fu molto violento rispetto ad altri paesi stranieri, e io lo raccontai in maniera fedele e rigorosa. Oggi le mie foto di quegli anni sono veri e propri pezzi di storia, almeno così scrivono di me i grandi critici e gli storici moderni. Alla fine, leggendo tutto quello che hanno scritto di me, mi sono convinto di essere stato un uomo fortunato e di aver vissuto una bellissima stagione della mia vita.

-Allora arrivederci a presto?

Contateci tutti voi.


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Prima Pagina News

Figec
Giornalistitalia
Pino Nano
PPN
Prima Pagina News
Rino Barillari

APPUNTAMENTI IN AGENDA

SEGUICI SU