Papa Francesco, in Calabria cenacoli di preghiera dovunque. Don Enzo Gabrieli: “Indimenticabile il suo anatema contro la mafia a Cassano”

Il 21 giugno del 2014 Papa Francesco sbarcava in Calabria e a Cassano allo Jonio tenne una delle sue omelie più forti contro la Ndrangheta. Per ricordare quel giorno, siamo andati a cercare uno dei giornalisti che più ha parlato e ha scritto di lui e di quella visita, e che il 18 marzo prossimo festeggerà i suoi primi 25 anni di sacerdozio.

di Pino Nano
Mercoledì 12 Marzo 2025
Cosenza - 12 mar 2025 (Prima Pagina News)

Il 21 giugno del 2014 Papa Francesco sbarcava in Calabria e a Cassano allo Jonio tenne una delle sue omelie più forti contro la Ndrangheta. Per ricordare quel giorno, siamo andati a cercare uno dei giornalisti che più ha parlato e ha scritto di lui e di quella visita, e che il 18 marzo prossimo festeggerà i suoi primi 25 anni di sacerdozio.

Don Enzo Gabrieli, sacerdote e giornalista di vecchia data, è stato Vicepresidente della Federazione Italiana dei Settimanali cattolici (Fisc) e membro del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria. Oggi lui è direttore del settimanale diocesano di Cosenza-Bisignano “Parola di Vita” e dell’annessa radio Jobel InBlu. Scrittore e parroco di Mendicino, è un personaggio di grande cultura e di grande modernità.

-Don Enzo come ricorda lei l’arrivo del Papa a Cassano?

Lo ricordo come un grande evento di Chiesa ovviamente. La notizia della sua visita lasciò tutti a bocca aperta. Fu una grande sorpresa, e ancor più divenne un evento di benedizione e di grazia per la nostra terra. Cassano resterà nella memoria dei calabresi e dell'intera chiesa perché nella spianata di Sibari si è ripetuta l'azione profetica dei grandi pontefici contro la malavita organizzata contro la ndrangheta. Così come aveva fatto San Giovanni Paolo Secondo ad Agrigento, gridando contro i mafiosi, così Francesco con quella omelia nella quale scomunicò gli uomini appartenenti alla criminalità organizzata. Fu un grande sussulto all'interno e all'esterno della Chiesa e diede una grande spinta all'episcopato Calabro e a quanti silenziosamente, laicamente, o in maniera religiosa, ogni giorno alzano argini educativi e di bene in questa terra che dopo qualche mese i vescovi definirono “bella ed amara”.

-Nessuno meglio di lei credo conosca all’interno della Chiesa calabrese la portata dei tanti documenti prodotto e sottoscritti contro la mafia…

Ho avuto il dono in quel periodo di poter lavorare alla raccolta di tutti i documenti che nell'ultimo secolo l'episcopato calabrese ha prodotto contro la criminalità, imbattendomi in pagine di profonda riflessione e non solo di denuncia, alcune delle quali mostrano una graduale presa di coscienza dell'intera società di un fenomeno difficile da interpretare ancor più difficile da combattere. Dove solo l'alleanza tra le istituzioni può fare d'amore. I vescovi vollero titolare quella raccolta con una frase forte, ovviamente in linea con le sollecitazioni del Santo Padre: la ndrangheta è l'anti Vangelo. Già dal titolo, una evidente chiara presa di posizione.  Da quell'appuntamento che è diventato ormai una pietra miliare per il cammino formativo della Chiesa e dell'impegno sociale e politico dei cristiani sono nati dei laboratori che richiedono ovviamente tempo sia sul fronte della pietà popolare, sia sul fronte della formazione dei futuri sacerdoti, che dall'impegno in parrocchia e delle associazioni nel territorio. Se qualche dubbio poteva manifestarsi a causa del comportamento ambiguo, connivente o superficiale di alcuni uomini di chiesa che storicamente o nella cronaca hanno mostrato fragilità e debolezze, dopo la visita del Santo Padre non ci sono più spazi per una qualsiasi forma di connivenza o giustificazione. La strada è stata tracciata.

-Posso chiederle perché la scelta fu Cassano e non Cosenza?

Il Papa sceglie personalmente dove andare. Quella fu una visita pastorale ad una chiesa, non alla Regione Calabria come fece Giovanni Paolo secondo nel 1984. Scelse Cassano perché forse il vescovo aveva chiesto la presenza del Santo Padre in quella chiesa. Va anche ricordato che c'erano stati dei fatti molto brutti legati alla morte di un bambino e alla violenza perpetrata contro un sacerdote. Ma penso che la visita del Papa venga sempre organizzata nell'ambito di un progetto pastorale più grande, e non solo legata ai fatti di cronaca, che però possono essere un'occasione per dare un indirizzo  hai credenti all'intera società. Penso alla sua prima visita pastorale, la sua prima uscita, che volle fare proprio a Lampedusa per ricordare come il Mediterraneo sia diventato un cimitero ed un mostro che inghiotte i suoi figli che cercano speranza e futuro scappando dalla disperazione, dalla povertà e dalla guerra.

-In che modo il suo giornale ha raccontato l’evento?

Ovviamente abbiamo dato tanto spazio all'evento e ci siamo cimentati nell'esperienza degli inviati. Erano i primi anni di lavoro sistematico del nostro settimanale che si andava collocando in uno spazio di narrazione attraverso la penna e la voce di giovani giornalisti in erba. Giovani che avevano ereditato un grande patrimonio, e che è quello di parola di vita che sta per compiere i suoi 100 anni.  Ci siamo cimentati anche nella preparazione di interviste alle persone e non solo a riportare la cronaca dagli eventi. Penso che fu uno dei primi reportage che ci ha visti coinvolti come squadra del giornale diocesano.

-Che Papa ricorda e che Papa ha incontrato a Cassano?

Erano i primi anni di pontificato Di Francesco e lo ricordo, come tutti gli osservatori calabresi ma anche come sacerdote, nella sua energia più piena e nella sua passione di pastore. Ricordo i fotogrammi di quella omelia profetica, ma anche la decisione di far fermare il corteo papale per poter salutare delle persone che da ore lo attendevano sulla strada. Il Papa della gente. Il Papa che ha toccato e continua a toccare il cuore della gente e dei semplici. Le persone si sentono capite da questo Papa e attualmente, in questo momento di sofferenza e di malattia, il Santo Padre ci sta insegnando a riportare tutto al cuore.

-La visita in carcere, la visita dal piccolo Cocò. Una omelia contro la mafia, la Calabria se l’aspettava?

Probabilmente i calabresi si aspettavano tutte queste diverse visite, così come fa di solito il Papa, che inserisce nei suoi viaggi sempre un appuntamento con chi è nella sofferenza, con chi è in carcere, con chi ha sbagliato nella vita. Le sue visite sono sempre state, e sono ancora, anche il momento di richiamo e di attenzione ai grandi fenomeni sociali come le migrazioni e le povertà. Ma non ci si aspettava forse il forte intervento del Papa a Cassano contro la mafia, perché essendo stata annunciata come una visita ad una chiesa e non alla terra di Calabria sembrava una visita più legata ad un momento pastorale e di incontro con una porzione del popolo di Dio che è in Cassano all’Jonio.

-Andò tutto in altro modo?

Ma Papa Francesco riesce a meravigliare sempre, a stupire, e questo non per creare l'evento ma perché come pastore della Chiesa universale sa bene di quello che ha bisogno un territorio in quel determinato momento storico. E poi, ogni azione e ogni insegnamento del Papa, aprirsi a livelli diversi, è sempre un atto di magistero per la Chiesa intera. Non è mai un fatto isolato, è legato strettamente ad un determinato territorio soltanto. Il Papa quando parla lo fa a tutti i credenti, e anche ai non credenti.

-Dopo 11 anni da quella visita cosa è rimasto nella gente del luogo?

Alla chiesa di Cassano è rimasta sicuramente la memoria grata ed un tesoro di insegnamento che rimane come un monumento storico innalzato per tutta la Calabria. Ai calabresi è rimasta la grande denuncia contro quella piovra che stritola la nostra terra e che estende i suoi tentacoli verso il mondo. È rimasta la chiara presa di posizione alla quale si possono ancorare i credenti per purificare la religiosità popolare, sentirsi confortati e aiutati nei no che vanno detti, non solo alla criminalità organizzata ma anche ad una cultura mafiosa e a strutture sociali di peccato e di ingiustizia che possono stritolare il nostro territorio facendolo cadere nel fatalismo e nella rassegnazione. Quella visita è stata una visita di grande speranza per la terra di Calabria.

-Il ricovero del papa al Gemelli coincide anche con il suo venticinquesimo di sacerdozio…

Sì, la mia vocazione è nata sotto Giovanni Paolo II del quale conservo sempre una grande memoria grata e una profonda devozione. Si è alimentata con gli insegnamenti di Papa Benedetto e trova una grande spinta pastorale nella testimonianza di Papa Francesco. Uno stimolo a fare meglio, a fare bene, a volgere lo sguardo alle povertà e agli ultimi. Questa tappa del mio sacerdozio è un'occasione per dire, come più volte ha detto lui, che guardando indietro rifarei la strada percorsa, tra luci e ombre, fragilità e sofferenze, fra attese e tantissimi doni di Dio, fatti di incontri, di volti e di provvidenza, perché non ricordo niente in cui non ci sia il Signore.

-Le faccio una domanda irriverente: se lei potesse tornare indietro rifarebbe il prete?

Certamente. Ma non come mia scelta, ma perché mi sento scelto e chiamato a qualche cosa di molto più grande, ma allo stesso tempo immerso all'interno di un dono e di un mistero che mi supera, che mi sovrasta, che mi avvolge e che mi dà tanta gioia. Sono felice di essere stato chiamato a fare il sacerdote e di avere risposto, nonostante le mie fragilità, con il mio sì a Cristo nella Chiesa. Posso testimoniare che ci sia anche qualche rinuncia, qualche scelta l’ho dovuta fare, così come si fa in ogni scelta di vita,ma  ho ricevuto già il centuplo quaggiù, come ha promesso Gesù, a quanti hanno deciso di seguirlo.

-A chi deve questa scelta?

La mia vocazione è nata in una famiglia religiosa di emigranti calabresi rientrati con la mia nascita in Italia. Devo la mia vocazione alla fede dei miei genitori, semplice e profonda, senza fronzoli e senza troppe parole. Fatta dalla testimonianza di mio papà che oggi dal cielo continua a seguirmi, dalla mia mamma che posso dire che insieme al latte mi ha donato la fede e mi hai insegnato a pregare, a credere e a sperare, ma soprattutto a donare. La devo anche alla mia famiglia numerosa e alla mia parrocchia dove ho incontrato sacerdoti appassionati del Vangelo. Non posso dimenticare anche i due vescovi che mi hanno accompagnato all'altare. Monsignor Dino Trabalzini, che mi ha seguito negli anni di formazione e seminario, e poi monsignor Giuseppe Agostino che mi ha accolto come suo segretario e mi ha ordinato sacerdote, dandomi tanta fiducia.

-Qual è stato il suo giorno più felice da prete?

Non voglio essere finto oppure dare una risposta d'occasione. Ma posso testimoniarle che non c'è stato giorno al quale io non sia stato felice di essere sacerdote. Nei momenti faticosi proprio il sacerdozio mi ha permesso di fare un passo in più e di gioire. Di sentirmi amato da Dio e accompagnato dalla materna presenza di Maria. Quanti innumerevoli doni mi ha fatto il Signore! Anche quando sembrava che la vita riservasse delusioni, tradimenti e qualche momento di Croce.

-E il giorno invece più triste?

No. Non ci sono stati giorni tristi. Ci sono stati giorni faticosi, questo sì, ma posso dire che alla sera, ogni volta che sono rientrato a casa, nella mia stanza, sono rientrato stanco ma felice. Mai prostrato e mai triste. Posso dire che qualche prova alla mia vita, dopo un piccolo quarto di secolo, c’è stata. Quando la giornata è stata un po' più dura il Signore mi ha sempre regalato un Cielo stellato da contemplare, un sorriso incoraggiante, una parola che mi ha toccato il cuore. Gesù non mi ha mai lasciato solo, anche perché accanto al discepolo che Lui ama, ha messo la sua mamma. E Maria mi ha accompagnato e mi accompagna sempre. Sento la sua mano, sento la sua carezza, insieme a quella dei tanti santi e dei tanti testimoni della fede.

-Il giorno del 25 esimo anniversario della sua ordinazione pregherete prima di tutto per Francesco…

Assolutamente sì, ma lo stiamo già facendo in questa fase di preparazione insieme a tutta la Chiesa sin dal primo giorno in cui è stato ricoverato al Gemelli unendoci a tutti i fratelli e sorelle di fede. Conosco bene quel grande ospedale non solo per la professionalità cercata e ricevuta, anche personalmente, ma ho avuto modo di vedere, di sperimentare, che quella cittadella di sanità e di cura sognata e realizzata da un frate, da un sacerdote, è un luogo di speranza, dove si lotta contro ogni speranza, dove tate lacrime sono asciugate. È uno dei santuari dell’umanità sofferente e oggi papa Francesco lo sta visitando non da pellegrino ma da malato e ci sta insegnando, anche da questa cattedra, a farlo per Lui, ma anche ad accompagnare con la preghiera che dona davvero forza nella malattia, a farlo per tanti che sono soli e forse un po' dimenticati. Penso che questo sia una opera buona per questa quaresima e uno stile di vita cristiana.

 


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