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Un libro appena fresco di stampa aiuta a riscoprire lo scrittore di Mogliano Veneto, Giuseppe Berto, che aveva scelto la Calabria e in special modo il promontorio di Capo Vaticano come la sua Itaca.
Un libro appena fresco di stampa aiuta a riscoprire lo scrittore di Mogliano Veneto, Giuseppe Berto, che aveva scelto la Calabria e in special modo il promontorio di Capo Vaticano come la sua Itaca.
“Berto è uno scrittore che ha raccolto la meraviglia, il bello e l’ironia della Calabria. Una terra di partenze, ma anche di irresistibili ritorni. Una terra nella quale si ritrova il selvaggio come diceva Pavese, e il riposo davanti a un mare che è contemplazione, memoria e radici, come diceva Berto”.
Cosa è stato Giuseppe Berto nel contesto letterario del Novecento? Un interrogativo questo che si dipana attraverso le sue opere a partire dei suoi scritti giornalistici sino ai grandi romanzi e alla sua presenza cinematografica. Cosa ha rappresentato per la letteratura italiana e europea un romanzo come "Il cielo è rosso" per il quale Hemingway ha definito l'autore uno scrittore al di sopra dei realismi e tra i più importanti del dopo guerra? Si riferiva chiaramente al conflitto mondiale 1939 1945.
Lo scrittore Pierfranco Bruni, che si occupa da molti anni di Berto e dei suoi legami anche con la cultura calabrese e mediterranea, pubblica oggi un libro "fondamentale" proprio su Giuseppe Berto, dal titolo "Giuseppe Berto. Tutto ha la sua ora", per le eleganti edizioni Solfanelli (collana Micromegas, pp. 164. Euro 13.00) nel quale non c'è soltanto la conoscenza dello scrittore Veneto, che ha vissuto gran parte della sua vita a Capo Vaticano, in Calabria, dove per suo desiderio è sepolto dal 1978, era nato a Mogliano Veneto nel 1914, ma un raccontare personaggi e tematiche attraverso un linguaggio che è rappresentativo di una estetica della metafisica.
Perché scrive che Giuseppe era un pezzo della Calabria di quegli anni?
“Perché Calabria non è soltanto un “pezzo” di Sud. È il mito che si è incagliato nelle civiltà ed ha fatto di esse il silenzio e la voce degli archetipi nel destino di un popolo. La Calabria non è mai solitudine, perché è sempre in compagnia del mare, di quel mare che lascia incontrare onde greche con onde latine, e dei boschi, nei quali i “chiari” sono fatti dalle albe e dalle lune che dialogano con i lupi nell’ascolto dei destini”.
Giuseppe Berto e la Calabria sono dunque ancora una realtà seria di cui parlare?
“Vede, Berto ha attraversato i destini della Calabria e continua ad ascoltare il vento che giunge dal Mediterraneo e dai Mediterranei. Quella Calabria che ha visto il racconto dei briganti, quel Mediterraneo che ha il cielo rosso e l’Africa negli occhi, quella Calabria che ha sconfitto il male oscuro, quella Calabria in cui si respira un Mediterraneo che è quello di un Oriente incastonato tra Cristo e Giuda. Non bisogna inventare nulla ricordando Giuseppe Berto. Bisogna interpretare quella sua solitudine che non è mia una cosa buffa, ma può essere la reticenza o il destino, l’attesa e la sparizione tra il mare e le colline”.
“Attesa e dubbio. I romanzi di Berto -scrive nella prefazione di questo suo nuovo libro Gianfranco Bruni-si muovono su queste coordinate. Diventano un orizzonte nella finzione. Anche la morte di quel veneziano anonimo diventa il superamento del terribile nella notte della quiete. In fondo tutto ha la sua ora”.
Ma perché ritornare a scrivere di Giuseppe Berto?
“Perché tutto è incompiuto, ma non si tratta di risolvere letture o di portare la lettura nella pianura della chiarezza. Non è questa la questione. È la necessità di raccontare che prende il sopravvento, perché Berto appartiene a una formazione. Alla mia. E ogni tentativo di distaccarsi diventa vano”.
D’accordo, ma perché poi tentare di distaccarsi?
“Perché Berto è dentro di me come una luce, un faro, una direzione. E ciò mi basta. Tutto ha la sua ora? Certo, ma quale sarà mai la sua ora?”
Già nel 2014, ricordo, l’intellettuale calabrese aveva pubblicato un robusto testo su Berto, "La necessità di raccontare", sostenendo la tesi di uno scrittore in bilico tra il tempo e l’eresia e le sue matrici greche.
Questo di Pierfranco Bruni oggi è piuttosto un penetrare nel sottosuolo. Un’esplorazione in diverse realtà e nei luoghi più diversi con personaggi molteplici che disegnano una geografia non solo letteraria e intellettuale, ma anche sentimentale, umana, metafisica. Dell’essere umano, nelle pagine di Berto, ci sono le inquietudini e le incertezze, ne riproduce le parole ne ascolta i silenzi.
Non solo questo. Il libro su Giuseppe Berto di Pierfranco Bruni si presenta con una lettera inedita e una foto di Berto dall'archivio della figlia Antonia Berto e si arricchisce di contributi di Mauro Mazza, Micol Bruni, Marilena Cavallo, Claudia Rende, Franca De Santis, Tonino Filomena e l'introduzione di Francesco Iannello.
“Berto, uno scrittore, sottolinea Pierfranco Bruni, che ha amato il mare e soprattutto la Calabria. Ho avuto modo di raccontarlo in due trasmissioni per la Rai, sino a sondarne le viscere e quel linguaggio che ha una valenza etno – letteraria, grazie ad uno snodo che è la parola nel raccordo con le forme linguistiche regionali”. Due elementi che incidono nella narrativa di Berto sono la fine e il “cominciamento”.
"È necessario rileggere romanzi che hanno fatto discutere in anni di transizione come: “Anonimo veneziano” e “La gloria”. Due libri -sottolinea ancora Pierfranco Bruni- che ancora oggi propongono una chiave di lettura anticonformista. Bisogna rileggere Berto in un quadro di letture in cui l’uomo e lo scrittore non creano mai una frattura”.
Uno dei contributi forti che è anche il tema portante di tutto il libro è il dialogare tra Giuda e Gesù scritto da Marilena Cavallo. Una sintesi fondamentale per proporre oggi Giuseppe Berto anche alle nuove generazioni in una temperie di linguaggi mutati rispetto a quelli usati da Berto.
"Con Berto, sottolinea Pierfranco Bruni, si riscopre la tradizione e con essa il gusto di ascoltare una parola in cui il simbolo è la chiave di lettura fondato di tutto".
In fondo, dal mare della Calabria alla laguna veneta, attraversando il deserto di Cristo e Giuda, scrive Bruni, il grande scrittore di Mogliano Veneto si racconta e si confessa, tentando una riappacificazione, perché come dice Berto: «ciò che importa raggiungere è una serena valutazione di sé stesso nei confronti della realtà [...] costituita da infinite cose in perenne mutamento».
C’è dunque il reale, ma non il realismo. La vita si trasferisce sulla pagina, entra nella letteratura e diventa letteratura essa stessa.
Questo libro di Pierfranco Bruni è un raccontare, un meraviglioso raccontare, un percorso singolare in una comparazione tra due autori, in cui si creano atmosfere che danno emozioni dice Bruni "per un tempo che è diventato memoria". Già il titolo "Tutto ha la sua ora" è una metafora profonda. Un libro del tutto nuovo rispetto ai tanti giù scritti in questi anni su Berto e che è una delizia leggere.
Ma veniamo all’autore.
Autore radiofonico e televisivo di grande empatia e successo, già Direttore del Ministero dei Beni culturali, Pierfranco Bruni ha fondato il dipartimento di Demoetnoantropologia, ricoprendo la carica di Responsabile delle Minoranze etniche nel nostro Paese. Oggi è Presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”, Vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori italiani (con sede a Roma) e Presidente del Comitato scientifico del Premio Troccoli Magna Graecia. La sua ricerca letteraria, che si articola attraverso più di 200 testi pubblicati (tra raccolte liriche, saggi di critica e teoria della letteratura e romanzi di narrativa) si distingue per la volontà di delineare nuovi intrecci interdisciplinari tra letteratura filosofica, storia delle idee e antropologia. Insignito per ben tre volte del Premio Cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri, Pierfranco Bruni è destinato a essere annoverato tra i grandi autori della storia della letteratura italiana che le future generazioni studieranno a scuola.