Catania: reati contro il patrimonio archeologico, 56 misure cautelari

Le due indagini, condotte parallelamente dai Nuclei TPC di Cosenza e Palermo, hanno trovato un punto di confluenza quando è emerso che una squadra di “tombaroli” siciliana, comparsa in un'altra indagine, operava sia nella regione d’origine che in Calabria.

(Prima Pagina News)
Venerdì 12 Dicembre 2025
Catania - 12 dic 2025 (Prima Pagina News)

Le due indagini, condotte parallelamente dai Nuclei TPC di Cosenza e Palermo, hanno trovato un punto di confluenza quando è emerso che una squadra di “tombaroli” siciliana, comparsa in un'altra indagine, operava sia nella regione d’origine che in Calabria.

Alle prime ore dell’alba di oggi, i Carabinieri del Gruppo Tutela Patrimonio Culturale di Roma - coordinati dalla Procura Distrettuale di Catania e dalla Procura DDA di Catanzaro - hanno eseguito, con il supporto dell’Arma dei Carabinieri competente sul territorio e con la partecipazione dell’8° e del 12° Nucleo Elicotteri Carabinieri e degli Squadroni Eliportati Carabinieri “Cacciatori Sicilia” e “Cacciatori Calabria”, contestualmente nelle province del territorio siciliano (Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Enna) e della Calabria (Crotone), estendendo le attività di delega anche a Roma, Firenze, Ravenna, Ferrara e Forlì-Cesena, due ordinanze di applicazione di 56 misure cautelari personali.

Le due indagini, condotte parallelamente dai Nuclei TPC di Cosenza e Palermo, hanno trovato un punto di confluenza quando è emerso che una squadra di “tombaroli” siciliana, comparsa nell’indagine “Ghenos”, operava sia nella regione d’origine che in Calabria, in collaborazione con gli indagati dell’indagine “Scylletium”. Da qui la decisione di eseguire contemporaneamente le due ordinanze.

Questo collegamento investigativo conferma l’esistenza di una rete di soggetti dediti alle attività illecite che ruotano attorno all’immenso patrimonio culturale italiano, un ambito criminale altamente specializzato che richiede metodi di indagine specifici e per il quale il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale opera in prima linea sin dal 1969.

I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Palermo - coordinati dalla Procura Distrettuale di Catania - hanno eseguito, con il supporto dell’Arma dei Carabinieri competente sul territorio e con la partecipazione del 12° Nucleo Elicotteri Carabinieri e dello Squadrone Eliportato Carabinieri “Cacciatori Sicilia”, contestualmente nelle province del territorio siciliano, Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Enna, estendendo le attività di delega anche a Roma, Firenze, Ravenna, Ferrara, fino anche in territorio estero, Regno Unito e Germania, un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di 45 soggetti tutti, a vario titolo, ritenuti responsabili dei reati di associazione per delinquere (art. 416 c.p. co. 1, 2 e 3 c.p.), violazione in materia di ricerche archeologiche (art. 175, c. 1, lett. A, D.Lgs. 42/2004), impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato (art. 176, c. 1, D.Lgs. 42/2004), impiego di denaro di provenienza illecita (art. 648 ter c.p.), furto di beni culturali (art. 518 bis c.p.), ricettazione di beni culturali (art. 518 quater c.p.), autoriciclaggio di beni culturali (art. 518 septies c.p.), falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518 octies c.p.), uscita o esportazione illecita di beni culturali (art. 518 undecies c.p.), contraffazione di opere d’arte (art. 518 quaterdecies c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.).

I soggetti erano organizzati in più associazioni a delinquere radicate nell’area catanese e siracusana, finalizzate ad un’attività sistematica e organizzata di scavi archeologici in plurimi siti riconosciuti di valenza archeologica dalla normativa regionale e nazionale, insistenti nell'intero territorio siciliano e in parte in quello calabrese.

I citati provvedimenti cautelari personali hanno riguardato, nello specifico, 9 ordini di custodia cautelare in carcere, 14 arresti domiciliari, 17 obblighi di dimora (tra cui 8 con obbligo di permanenza notturna in casa), 4 obblighi di presentazione alla Polizia Giudiziaria (di cui 2 notificati in territorio estero) e 1 sospensione dell’esercizio di impresa a carico del titolare di una casa d’aste.

L’indagine “Ghenos”, condotta dai Carabinieri del Nucleo TPC di Palermo, aveva portato nella prima fase investigativa al sequestro di circa 10 mila reperti archeologici, di cui circa 7 mila monete antiche riconducibili a diverse tipologie di conio raro, di epoca greca emesse nei territori della Magna Grecia e della Sicilia: vi sono esempi rarissimi di emissioni di monete in bronzo di eccezionale importanza storico-culturale appartenenti alle zecche di Heraclea, Reggio, Selinunte, Katane, Siracusa, Panormos e Gela.

Un altro gruppo di monete bronzee provengono da produzioni minori della cuspide nord-orientale dell’isola, quali Calactae, Alaesa Archonidea, Alontion e Tyndaris, quasi tutte in eccellente stato di conservazione. Alcune emissioni sono state ritenute da esperti numismatici di elevato interesse storico e scientifico per la loro rarità.

Si segnalano, inoltre, monete pertinenti a zecche magnogreche e siceliote, la cui cronologia si estende dalla metà del V sec. a.C., con un’emissione in bronzo di forma piramidale di Akragas che costituisce la più antica produzione numismatica della città, fino all’avanzata età ellenistica, periodo al quale appartengono bronzi reggini e della Sicilia orientale (Menaion, Alaisa Archonidea, Kalacte e Mamertini). Le attività investigative condotte sui territori della Sicilia occidentale hanno permesso si sequestrare anche un raro esempio di moneta bronzea della zecca di Alykiai e due della zecca di Iaitas (Monte Jato).

Si menzionano anche alcune rarissime frazioni numismatiche originarie della zecca di Ziz-Panormos, nonché altre rare litre della nota area archeologica di Morgantina ed Herbessos.

Nello sviluppo dell’indagine sono stati eseguiti 5 riscontri investigativi conclusi con l’arresto in flagranza di 6 indagati, tra cui 5 soggetti sorpresi in flagranza di reato nelle attività dello scavo clandestino, nel 2022, all’interno del sito archeologico di Baucina, mentre in altre due circostanze sono stati bloccati 3 indagati all’atto dell’esportazione illecita all’estero di reperti archeologici, con il sequestro di numerose monete avvenuto a Dusseldorf, con l’ausilio della Polizia tedesca.

Le perquisizioni eseguite nel mese di novembre scorso su quei territori, propedeutiche alle odierne misure cautelari, hanno permesso di scoprire nell’area catanese anche un laboratorio (una zecca clandestina) utilizzato per la produzione di falsi manufatti archeologici in ceramica e per la contraffazione di monete e rame allo stato puro (stampi, strumenti per la colatura, conii e bilancini).

Tra le migliaia di reperti, sono stati sequestrati reperti monetali archeologici, in bronzo e in oro, alcuni rari o unici esemplari, centinaia di reperti fittili, tra cui crateri integri a figure nere e rosse, chiodi e frammenti, fibule protostoriche, anelli in bronzo, pesi, monete rudimentali (aes) in bronzo con globetti indicanti il valore ponderale e/o nominale, fibbie, punte di freccia e askos buccheroide.

Sequestrati, inoltre, anche circa 60 strumenti predisposti alla ricerca di metalli preziosi, tra cui metal-detectors e diversi arnesi idonei agli scavi clandestini. Il valore economico complessivo dei reperti sequestrati ammonta a 17 milioni di euro.

La complessa attività investigativa era stata avviata nel 2021, a seguito della denuncia della dirigenza del Parco Archeologico di Agrigento per le plurime attività di scavo clandestino compiute dal giugno 2019 nel sito archeologico di Eraclea Minoa, insistente nel territorio di Cattolica Eraclea (AG).

L’indagine seguita dai Carabinieri TPC veniva attivata con il monitoraggio dei tombaroli paternesi e lentinesi che, organizzati in diverse squadre, avevano perpetrato ben 76 scavi clandestini nelle aree archeologiche siciliane e, in due circostanze, anche nel sito calabrese di “Scolacium”.

L’inchiesta si è poi sviluppata anche sul piano internazionale, supportata da articolate attività tecniche realizzate con servizi dinamici, acquisizione di dati del traffico telefonico e telematico, attività di videoripresa presso i luoghi di incontro tra gli indagati, perquisizioni, sequestri, arresti in flagranza, attività di pedinamento, fino anche perquisizione e sequestri eseguiti in Germania tramite richiesta alla magistratura estera con l’Ordine Europeo di Indagine, tracciando il percorso di illegalità dei beni sottratti al patrimonio indisponibile dello Stato italiano, sino alla loro vendita in case d’aste straniere.

Tutto ciò ha consentito alla magistratura catanese e ai Carabinieri del Nucleo TPC di Palermo di delineare e intercettare una complessa articolazione criminale, composta da più distinte consorterie strutturate dedite allo scavo clandestino e al traffico illecito di reperti archeologici, anche a livello internazionale. I Carabinieri TPC hanno, così, potuto ricostruire l’intera filiera associativa che, nella tipica struttura organizzativa denominata “archeomafia”, si compone dei diversi ruoli che partono dalla base con le squadre dei c.d. tombaroli specializzati nello scavo clandestino (utilizzando vari strumenti per analizzare il terreno come metal detector, “branda”, georadar e per effettuare gli scavi “spillone”, “zappetta”, macchine per movimento terra), che, con le loro illecite condotte predatorie, distruggono inevitabilmente la morfologia dei siti.

Questa manovalanza aveva eseguito una sistematica sequenza di escavazioni con apposite attrezzature in numerosi siti archeologici della Sicilia e, in parte, anche di Calabria.

Il sodalizio si componeva anche dei ricettatori locali, fino a raggiungere le figure dominanti dei trafficanti internazionali del mercato illecito dell’arte.

Le meticolose investigazioni svolte dai Carabinieri TPC hanno permesso di smantellare e neutralizzare i diversi sodalizi criminali che operavano principalmente nell’area etnea, fino ad estendere le proprie ramificazioni in Germania e Regno Unito. Le ricerche hanno portato anche al sequestro di notevole documentazione probatoria trovata nella disponibilità degli indagati, a dimostrazione delle loro attività illecite nel traffico di reperti archeologici, anche in ambito di contraffazione, nonché la documentazione contabile, a dimostrazione delle transazioni illecite correnti. 

Le attività investigative ruotavano fin dall’inizio attorno alla figura di un ricettatore di reperti archeologici, che operava in località del versante sud-occidentale dell'Etna, già in passato interessato da vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto nella ricettazione di monete d’interesse archeologico. 

I Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC) Catanzaro, hanno eseguito un'ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia, che ha coordinato le indagini, nei confronti di 11 persone (2 in carcere e 9 agli arresti domiciliari), ritenute responsabili, a vario titolo, di far parte di un associazione per delinquere finalizzata alla commissione di plurimi reati di esecuzione di scavi illeciti, deturpamento di siti archeologici, furto e ricettazione di beni archeologici a seguito di scavi clandestini, eseguiti presso importanti giacimenti archeologici calabresi, nonché ricettazione di beni culturali, associazione circostanziata dalla riconosciuta aggravante di cui all'art. 416 bis., c.1 Cp, in i suddetti delitti venivano commessi dai sodali anche allo scopo di agevolare la cosca di Ndrangheta denominata "Arena" che in tal modo consolidava altresì il controllo del territorio in Isola di Capo Rizzuto (KR) e nei territori limitrofi, oltre a beneficiare dei proventi delle attività delittuose.

Contestualmente sono state eseguite 12 perquisizioni locali.

L'operazione è stata condotta in sinergia con i Comandi Provinciali Carabinieri di Crotone, Catania e Messina nonché con il supporto dello Squadrone Eliportato "Cacciatori di Calabria" e dell'8° Nucleo Elicotteri carabinieri di Vibo Valentia. Oltre 80 i carabinieri impiegati, che hanno operato nei territori delle regioni Calabria e Sicilia. La misura cautelare è stata emessa a conclusione dell'attività investigativa sviluppata dai carabinieri del Nucleo TPC di Cosenza, avviata nell'ottobre 2022 e conclusa nell'ottobre 2024, che ha preso il via da una serie di accertamenti di iniziativa da parte dei militari dello speciale reparto dell'Arma, a seguito dei quali veniva riscontrata la presenza di numerosi scavi clandestini condotti all'interno di vari siti archeologici.

Le successive investigazioni hanno consentito di accertare condotte illecite collegate al traffico di reperti archeologici provenienti da scavi clandestini operati all'inTerno dei parchi archeologici nazionali di Scolacium (Roccelletta di Borgia - CZ), dell'antica Kaulon, oggi Monasterace (RC), e di Capo Colonna (Crotone) nonché in altre aree private del territorio della provincia di Crotone.

Si è accertato, in particolare, che le suddette aree sono state oggetto, per tutta la durata dell'indagine, di sistematici saccheggiamenti posti in essere da una squadra di "tombaroli" che, con un'organizzata ed articolata spartizione di competenze, ha alimentato il mercato clandestino di materiale archeologico.

Nel corso dell'attività è stata constatata l'esistenza di una complessa organizzazione (tombaroli - intermediari - ricettatori) ben radicata in alcuni territori della provincia di Crotone. Le fasi delle attività illecite sono state acclarate e documentate dettagliatamente attraverso intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali, riprese video e sequestri, in corso d'opera.

L'agire del gruppo criminale si pertanto è palesato nella utilizzazione di modalità tipiche delle associazioni ben strutturate, composta com'è da soggetti spregiudicati ed avvezzi ad operare nel settore. I vertici dell organizzazione hanno diretto e controllato l'attività dei sodali, pianificato le singole spedizioni ed individuato i luoghi di interesse, grazie alle specifiche competenze in materia "acquisite sul campo".

Inoltre, sono state predisposte modalità operative tali da scongiurare, o quanto meno contenere, il rischio di controlli da parte delle forze dell'ordine, anche attraverso l utilizzo di canali di comunicazione di difficile intercettazione. I sodali, inoltre, si sono mostrati tutti consapevoli di dover limitare al minimo le conversazioni telefoniche o ridurle in brevi dialoghi dove ogni riferimento a materiali archeologici veniva mascherato con termini convenzionali (come ad es. "finocchi", "caccia", "cornici", "caffè", "asparagi" o "motosega", termine quest'ultimo, con il quale veniva abitualmente indicato il detector cerca metalli).

Al vertice del gruppo criminale si collocano, nella veste di promotori, due soggetti entrambi residenti in provincia di Crotone, cultori di archeologia e conoscitori dei luoghi in cui reperire materiale archeologico da introdurre illecitamente sul mercato clandestino. Costoro sono stati costantemente impegnati nell'attività di ricerca clandestina di reperti e, stabilmente tra loro, collegati nel circuito di commercializzazione degli stessi.

Nello specifico, hanno organizzato e diretto il gruppo criminale, programmando la realizzazione dei singoli delitti e partecipandovi direttamente. Le complessive risultanze investigative hanno evidenziato come una parallela forma di criminalità (anche organizzata in forma basilare) possa esistere ed operare nel territorio ove la cosca esercita il proprio predominio, con il placet implicito della "locale" e laddove i relativi profitti illeciti siano inevitabilmente destinati ad alimentare, direttamente o indirettamente, anche la cosca 'ndranghetista di riferimento e la sua capacità di permeare il territorio in cui opera.

Nel corso dell'indagine è emersa altresì l'originalità dei reati fine (furto e ricettazione di reperti archeologici) rispetto al contesto mafioso tradizionale. Si tratta, in effetti, di un'attività particolarmente proficua e favorita, nel territorio di riferimento, dalla presenza di vari siti archeologici, a volte anche poco esplorati da scavi archeologici formalmente autorizzati dagli organi statali a ciò deputati; situazione che ovviamente ha favorito l'interesse della criminalità organizzata.

Ricorre, in quest'ottica, la necessità dell'organizzazione 'ndranghetista di rivolgersi all'esterno, reclutando anche appassionati e conoscitori del settore, al fine di poter operare in un contesto specialistico che, sebbene fonte di lauti guadagni, le sarebbe diversamente precluso.

Sono stati individuati, nel quadro probatorio raccolto, tutti gli elementi dell'aggravante mafiosa, in quanto le condotte contestate sono state immediatamente funzionali agli interessi dell'associazione, acuite dalla circostanza della infungibilità della prestazione fornita dai soggetti indagati. Grazie all''opera dei principali sodali l'organizzazione 'ndranghetista degli "Arena" è stata posta nelle condizioni di ottenere risorse, veicolare da competente specifiche, e conseguenti utilità in un settore in cui, non possedendo le necessarie cognizioni specialistiche, non avrebbe saputo operare in maniera efficace.

Come accennato in precedenza, con l'attività odierna, sono state eseguite - in Provincia di Crotone - 9 ordinanze di custodia cautelare (di cui 2 in carcere, nei confronti di coloro che sono considerati al vertice dell'organizzazione e 7 agli arresti domiciliari), oltre a 10 perquisizioni locali, e nelle Province di Catania e Messina - sono state eseguite 2 misure custodiali agli arresti domiciliari e 2 perquisizioni locali.

Le attività di indagine sono state condotte anche con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro e Crotone e con l'ausilio della Direzione Regionale Musei Calabria, che hanno fornito un fattivo contributo secondo le specifiche competenze.

L'operazione portata a termine costituisce un importante segnale di risposta dello Stato al radicato fenomeno criminale del traffico illecito di reperti archeologici, appartenenti al patrimonio culturale, in un territorio come quello della Calabria, particolarmente ricco di vestigia del passato, che è oggetto di un incessante ed intenso fenomeno di razzia di tale tipologia di beni che va ad alimentare il relativo mercato clandestino.


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