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Appena fresco di stampa, “Democristiani”, è l’ultimo libro del giornalista-scrittore Mimmo Nunnari e in cui si ricostruisce la nascita della Dc da De Gasperi fino ai giorni nostri.
Appena fresco di stampa, “Democristiani”, è l’ultimo libro del giornalista-scrittore Mimmo Nunnari e in cui si ricostruisce la nascita della Dc da De Gasperi fino ai giorni nostri.
Questa volta Mimmo Nunnari, come giornalista e politologo, con il suo ultimo saggio dedicato alla Storia della Democrazia Cristiana in Italia ha davvero superato sé stesso. Se non altro, per aver trovato, non il coraggio, ma la capacità di racchiudere in 287 pagine la vera chiave di lettura del grande successo che la grande Balena Bianca ha sempre mietuto nelle case di milioni di italiani.
Questo è un libro soprattutto bello. Veloce, scorrevole, avvolgente, chiaro, documentato, problematico e insieme consapevole, per il tema affrontato, ma “Democristiani” (Pellegrini Editore) è uno dei saggi più “veri” che siano mai stati scritti in questi ultimi anni sulla storia della DC in Italia, perché alla conclusione del saggio diventa difficile, se non impossibile, non essere d’accordo con le tesi dello scrittore calabrese.
Ci pensa Pierluigi Castagnetti, che della DC è stato uno dei grandi protagonisti veri del suo tempo, e che firma la prefazione di “Democristiani”, a darci l’idea del progetto riuscito di Mimmo Nunnari. “La Dc -scrive l’ex segretario nazionale del partito-era un partito e non semplicemente una sigla; non era una persona, per quanto carismatica, che operava in solitudine, ma era una macchina che produceva politica, cioè democrazia e scelte. Era un partito ramificato in tutto il territorio nazionale, spesso non visibile ma c’era, perché oltre a essere un partito era un popolo, quello descritto in questo testo sobrio e profondo di Nunnari: il popolo dei “democristiani”. Sì, perché i democristiani oltre a essere stati un ben connotato ceto dirigente, erano un popolo. Erano un modo di pensare, un modo di essere, un sentiment (diremmo oggi) largamente diffuso, una rete di valori, il rifiuto dell’estremismo ma non il conservatorismo, la convinzione profonda che per fare storia occorresse solidità di progetto e di convinzione. Erano – come diceva ancora Moro – intelligenza degli eventi, cioè intelligenza storica”.
Dichiaro subito il mio conflitto di interessi. Sono stato democristiano anch’io, e ho militato per anni, convintamente nelle file della DC, e tra i miei ricordi più belli non può non esserci la prima Festa Nazionale dell’Amicizia a Palmanova del Friuli, quando noi ragazzi del Sud, dopo un giorno e una notte di treno da Reggio Calabria a Udine, siamo arrivati a Palmanova per il comizio finale di Benigno Zaccagnini che allora chiudeva la nostra festa, e di Marco Follini che l’aveva aperta ufficialmente come Segretario Nazionale dei giovani democristiani. Se non ricordo male, quel giorno, sul palco insieme a Marco Follini, c’erano due giovanissimi componenti l’esecutivo nazionale del Movimento Giovanile, che erano Lorenzo Cesa e Pierferdinando Casini. Ma accanto a loro c’era anche un giovanissimo Mario Tassone, allora lui ancora soltanto segretario regionale del movimento Giovanile in Calabria, e accanto a lui Lillo Manti che era la sua spalla reggina.
Era questa allora la mia DC, e in Calabria in particolare, dove io allora vivevo, era la DC di Vito Napoli, di Franco Quattrone, di Angelo Donato, di Ernesto Pucci, di Dario Antoniozzi, di Riccardo Misasi, di Franco Covello, di Anna Maria Nucci, di Pasquale Perugini, di Peppino Aloise, di Franco Bova, di Peppino Reale, di Carmelino Puja, di Franco Cimino e di Franco Fiorita a Catanzaro, di Vico Ligato a Reggio Calabria, del mio indimenticabile senatore Antonino Murmura a Vibo. Era la storia vera e più autentica di un partito che sapeva entrare nelle case degli italiani e parlare al cuore della gente.
Ha ragione Pierluigi Castagnetti, il nostro era “il grande popolo democristiano”. Forse questo libro, in cui Mimmo Nunnari ricostruisce magistralmente bene la vita della DC da De Gasperi in poi, dimostrando quanta tensione ideale muovesse i leader storici di quel partito all’interno e all’esterno del Paese, diventa oggi per molti di noi una sorta di riscatto per tutto quello che in questi anni si è detto di male della DC, e per il fango ingiusto che da ogni parte della società italiana si è riversato sulla nostra storia politica dopo gli anni di tangentopoli, dove le inchieste milanesi di Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Pier Camillo Davigo, e Gerardo D’Ambrosio, hanno devastato le attese e il futuro della DC italiana. Era il 1992.
Cosa è rimasto di questo “sentiment”, così come lo chiama Pierluigi Castagnetti?
Molto più -devo dire- di quanto la gente comune forse non immagini, e in questo suo saggio che sta già facendo il giro dei palazzi del potere, Mimmo Nunnari ricostruisce con una meticolosità per niente apparente ma molto sofisticata quel tanto di buono che è rimasto dietro e davanti le mura di palazzo Sturzo.
“Democristiani”, scrive nella sua prefazione Pierluigi Castagnetti, riassume la storia politica di una generazione che è stata importante per il nostro paese”. Ma aggiunge e ricorda che : “I meriti storici della Democrazia Cristiana e di Alcide De Gasperi sono stati :la scelta della collocazione occidentale dell’Italia, il ruolo decisivo avuto nella costruzione dell’Europa politica, il concorso rilevante nella scelta del modello costituzionale, la chiara opzione per una idea di economia sociale di mercato, la riunificazione territoriale del paese come dall’unità d’Italia non era ancora avvenuto, anche se in misura tutt’altro che sufficiente, come il magistero di scrittore politico assunto negli ultimi anni da Mimmo Nunnari ci documenta pervicacemente tutti i giorni, con i suoi articoli su giornali e riviste e con i libri sull’annosa questione del dualismo Nord Sud, alcuni arricchiti dal contributo illuminato di eminenti personalità della Chiesa, come il cardinale e presidente della Cei Matteo Maria Zuppi”.
17 capitoli diversi, una bibliografia aggiornatissima, un “elenco dei nomi” che in un libro storico non guasta mai, “Democristiani” di Mimmo Nunnari in realtà non è solo il tentativo di un “Amarcord” -che sarebbe anche inutile e patetico ai giorni nostri- ma è piuttosto la voglia di dimostrare quanta DC ancora ci sia all’interno del Paese e quanto le Istituzioni del Paese siano ancora impregnate di quel “sentiment” di cui parla Castagnetti.
Dentro c’è davvero di tutto e di più: “Il rimpianto della Dc, Che Dio ti aiuti, Mino Martinazzoli, Le radici nel mondo cattolico, L’atto di nascita, con De Gasperi, A Bari col Cln, Il primo congresso, Il trionfo del 1948, La paura per l’attentato a Togliatti, L’eterno “rieccolo”, La macchia del Governo Tambroni, La stagione di Moro, Il “divo Giulio” o Belzebù?, La meteora Goria, De Mita, il ragionamento e il pensiero, Le correnti, Mattarella, “l’ultimo democristiano”, e infine “La lezione politica della Dc”.
Esaltante per chi come me ha vissuto in prima persona quella stagione di dibattito politico, che ha coinciso poi con la rinascita della Repubblica e della società italiana. Ma tra tutti i capitoli appena citati, uno in particolare trasuda di emozione personale e di ammirazione pubblicamente dichiarata, ed è il capitolo in cui Mimmo Nunnari racconta il “Capo dello Stato”.
Di Sergio Mattarella, “l’ultimo democristiano”, Mimmo Nunnari ricostruisce la storia di famiglia, racconta del valore di suo padre Bernardo, ne esalta la sua stessa figura e il suo ruolo istituzionale di Presidente della Repubblica, e lo racconta come uno statista di altissimo profilo internazionale.
“La sua vocazione principale -scrive Nunnari- era l’insegnamento e pensava di aver raggiunto il traguardo desiderato diventando professore di Diritto parlamentare all’Università di Palermo. Fu De Mita, da segretario della Dc, dopo l’uccisione del fratello a strapparlo all’Università e a portarlo in politica. Il leader irpino affidò al mite e riservato professore, e a un giovane promettente come Leoluca Orlando, il compito di rifondare la Democrazia cristiana a Palermo”.
Lo stesso Pierluigi Castagnetti, suo amico e ultimo segretario del Ppi, in questo libro ricorda Sergio Mattarella come “un perfetto rappresentante di quella Dc morotea numericamente minoritaria perché non si occupava delle tessere. Direi un intellettuale politico non astratto. Lui e i suoi grandi amici Leopoldo Elia, Beniamino Andreatta e Pietro Scoppola, non contavano nei congressi, ma non si poteva prescindere dalla loro intelligenza politica. Si pensi solo alla sfida del Mattarellum. All’epoca, Sergio riuscì a compiere un capolavoro tessendo la tela dai comunisti di Luciano Violante ai postfascisti di Giuseppe Tatarella”. E come se già tutto questo da solo non bastasse per tessere a pieno le lodi del Presidente, Mimmo Nunnari ricorre al vecchio e indimenticabile Gerardo Bianco che in una intervista rilasciata a Federico Bini per Il Giornale lo ricordava in questa maniera: “Mattarella è uno dei più grandi presidenti della storia repubblicana. Io, scherzando ho detto che con Mattarella si è dissipata la maledizione dei papi sui presidenti democristiani al Quirinale. Mattarella, con la rielezione ha disperso questa cosa. Oggi, possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che Mattarella è entrato tra i grandi padri della storia e della Dc”.
Ma democristiani si nasce o si diventa? Mimmo Nunnari ci dimostra che bisognava nascerci. Impossibile diventarlo dopo. Altro che sentiment…