Alzheimer: la Stimolazione Magnetica Transcranica dimezza la progressione della malattia

Un anno di trattamento con rTms sui pazienti con malattia di Alzheimer produce un rallentamento del 52% della progressione della malattia preservando le funzioni cognitive e l’autonomia dei pazienti. 

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Martedì 08 Aprile 2025
Roma - 08 apr 2025 (Prima Pagina News)

Un anno di trattamento con rTms sui pazienti con malattia di Alzheimer produce un rallentamento del 52% della progressione della malattia preservando le funzioni cognitive e l’autonomia dei pazienti. 

Sono disponibili i risultati del primo trial clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, sugli effetti di un trattamento prolungato per 52 settimane di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) in pazienti con Alzheimer in fase lieve-moderata. In questa ricerca i pazienti trattati con TMS hanno mostrato un rallentamento del 52% della progressione della malattia con miglioramenti evidenti rispetto al gruppo placebo sulle funzioni cognitive, l’autonomia della vita quotidiana e i disturbi comportamentali.

I pazienti che hanno partecipato allo studio condotto presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS dall’equipe di ricerca del prof. Giacomo Koch, vice direttore scientifico della Santa Lucia e professore ordinario di Fisiologia dell’Università di Ferrara, sono stati trattati con una tecnica di Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS) volta ad attivare il precuneo, area del cervello già individuata in precedenti studi del prof. Koch come strategica per la stimolazione dei pazienti con malattia di Alzheimer.

Il trattamento, non invasivo e personalizzato, si è svolto in due fasi: un primo ciclo intensivo prevedeva delle applicazioni quotidiane per due settimane, successivamente, in una fase di mantenimento, la TMS era applicata una volta a settimana per 50 settimane. La personalizzazione del trattamento con rTMS è stata possibile grazie all’utilizzo di avanzate metodiche neurofisiologiche quali la TMS in combinazione con elettroencefalografia (TMS-EEG) che hanno permesso di definire a livello di ogni paziente il punto e l’intensità ottimale di stimolazione per la rTMS integrando le informazioni ottenute con la risonanza magnetica del paziente. Prima e dopo il ciclo di 52 settimane di rTMS sono state eseguite delle scale cliniche di valutazione dei disturbi cognitivi (CDR-SB, ADAS-Cog11), delle autonomie della vita quotidiana (ADCS-ADL) e dei disturbi comportamentali (NPI).

“Da tempo siamo all’avanguardia a livello internazionale nello sviluppo di terapie basate sulla TMS per il trattamento della malattia di Alzheimer” commenta il prof. Giacomo Koch, prima firma dello studio, “Con questo lavoro, il primo al mondo ad analizzare un periodo di trattamento così lungo, non solo confermiamo i risultati già ottenuti precedentemente in un periodo di sei mesi, ma dimostriamo che le funzioni cognitive e l’autonomia funzionale dei pazienti possono essere preservati più a lungo, con un forte impatto sulla qualità della vita del paziente e dei familiari”.

Secondo il prof. Marco Bozzali professore associato di Neurologia della Città della Salute e della Scienza e dell'Università degli Studi di Torino, co-autore dello studio e presidente della SINDEM, “questi risultati aprono nuove prospettive per lo sviluppo di terapie non farmacologiche personalizzate e, in vista dell’introduzione dei nuovi farmaci attualmente in corso di sperimentazione, per terapie complementari efficaci e prive di controindicazioni. Saranno pertanto necessari ulteriori studi multicentrici di Fase 2/3 per confermare la validità clinica di questo nuovo approccio terapeutico e per definire meglio i suoi meccanismi d'azione”.

La stimolazione magnetica transcranica è una terapia non invasiva, indolore e senza importanti effetti collaterali. Si basa sull’utilizzo di impulsi magnetici molto brevi e intensi che, opportunamente focalizzati su un’area del cervello, riescono a stimolare una debole risposta elettrica nell’area bersaglio. Questi impulsi elettrici, impercettibili per il paziente, attivano i neuroni andando a produrre l’effetto desiderato.

I benefici osservati suggeriscono un’efficacia del trattamento “legata alla capacità della stimolazione di riattivare i meccanismi di plasticità cerebrale compromessi dalla malattia, riattivando specifici circuiti cerebrali quali il default mode network, che risulta particolarmente danneggiato nel corso della malattia di Alzheimer” conclude il prof. Alessandro Martorana co-autore dello studio e associato di Neurologia dell’Università di Roma Tor Vergata.

Lo studio è stato sostenuto dal Ministero della Salute, dal Ministero dell’Università e Ricerca e dalla BrightFocus Foundation.


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