Giornalisti. Riforma del praticantato, “Si va avanti”, dopo il no del Ministero di Giustizia. Ma il ministro Nordio che dice?
Siamo ormai di fronte ad un paradosso giuridico che solo il ministro della giustizia Carlo Nordio può, una volta per tutte, chiarire in maniera davvero definitiva. Il rischio altrimenti è la deregulation e il rischio di ricorsi e di cause per danni che qualcuno dovrà poi pagare.
di Pino Nano
Lunedì 08 Maggio 2023
Roma - 08 mag 2023 (Prima Pagina News)
Siamo ormai di fronte ad un paradosso giuridico che solo il ministro della giustizia Carlo Nordio può, una volta per tutte, chiarire in maniera davvero definitiva. Il rischio altrimenti è la deregulation e il rischio di ricorsi e di cause per danni che qualcuno dovrà poi pagare.

Partiamo dalla fine di questa vicenda. Il 3 maggio 2023 sul sito ufficiale del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti compare questo titolo: “CNOG VARA NUOVI CRITERI INTERPRETATIVI ART. 34 LEGGE PROFESSIONALE”.

E qui il corpo della notizia: “Le profonde trasformazioni indotte dalla rivoluzione digitale da tempo hanno coinvolto anche il lavoro giornalistico. L’espansione dei canali di comunicazione e il moltiplicarsi delle piattaforme ha portato ad un aumento esponenziale di “giornalisti di fatto”, giovani e meno giovani che non riescono ad accedere al praticantato. Per far fronte a questi mutamenti l’Ordine dei giornalisti ritiene indispensabile aggiornare i criteri interpretativi dell’art. 34 della legge 69 del 1963 sull’iscrizione al Registro dei praticanti”.

Queste invece –in base alla decisione del Consiglio Nazionale dell’Ordine- le indicazioni pratiche da seguire.

“I Consigli regionali dell’Ordine procedono all’iscrizione al Registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto. La domanda di iscrizione presentata all’Ordine regionale documenta la continuità dell’attività giornalistica, esercitata in maniera sistematica con particolare riferimento a: a) produzione giornalistica; b) prova della retribuzione del lavoro, anche senza il vincolo della subordinazione, con la percezione di un reddito professionale indicativamente equiparabile al minimo tabellare lordo previsto per il praticante con meno di 12 mesi di servizio come stabilito dal C.N.L.G., unitamente alla documentazione fiscale.

L’Ordine regionale svolge l’attività di vigilanza sulle modalità di svolgimento del praticantato anche attraverso la designazione di un giornalista professionista con il ruolo di tutor. Il tutor designato consegna al Consiglio regionale dell’Ordine una relazione semestrale”.

Benissimo, fin qui la posizione ufficiale del Consiglio Nazionale dell’Ordine è abbastanza chiara. Ma rimane un dubbio atroce. Che fine ha fatto il parere legale che il direttore generale del ministero della giustizia Giovanni Mimmo ha mandato il 2 maggio scorso al Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti Italiani? E per conoscenza allo stesso Vice Ministro Sisto?

In quella occasione-ricordiamo- il ministero della Giustizia aveva ribadito che la riforma in tutto o in parte della vecchia legge n. 69 del 3 febbraio 1963 istitutiva dell'Ordine dei Giornalisti spetta esclusivamente al Parlamento.

Pertanto, -pareva di capire- il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti non può sostituirsi alle Camere con una serie di “innovazioni passate come nuovi criteri interpretativi dell'art. 34 sul praticantato giornalistico”.

La lettera che sembrava aver messo fine a questa querelle, porta la firma del Direttore Generale del Ministero di Giustizia Giovanni Mimmo, indirizzata al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, ai Consigli regionali dell’ordine dei giornalisti, al Viceministro On. Francesco Paolo Sisto, al Capo Dipartimento dello stesso Ministero. Praticamente, a tutto il mondo del giornalismo italiano.

Lo abbiamo già sottolineato in precedenza, si tratta di una lettera durissima, dai toni perentori, che non concede nessuna mediazione possibile. Il concetto è chiarissimo, e questa volta è messo su carta in maniera formale e definitiva.

Nessuna riforma del praticantato dei giornalisti si potrà mai fare se non in presenza e per via di una specifica legge del Parlamento.

Leggiamo testualmente: “Di recente sono pervenuti, tuttavia, numerosi esposti, i quali stigmatizzano in capo a codesto organo consiliare nazionale un comportamento volto a eludere, in punto di fatto, le indicazioni ricevute dal Ministero vigilante: in particolare, sarebbe stata diramata dal Consiglio nazionale la seguente comunicazione a commento della citata delibera del 28 marzo 2023: “In base al nuovo testo, frutto di una proficua e leale collaborazione con il Ministero della Giustizia, i Consigli regionali dell’Ordine, nella loro autonomia, potranno procedere all’iscrizione al registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto. Tale modalità consente, in aggiunta alle altre previste dalla legge, l’avvio del praticantato anche in assenza di una testata e di un direttore responsabile”.

Il Direttore Generale del Ministero della Giustizia Giovanni Mimmo, che è nei fatti il controllore del nostro Ordine e del nostro mondo, precisa che “nessuna potestà regolamentare in materia di accesso al praticantato giornalistico è stata attribuita dal legislatore al Consiglio nazionale”.

La lezione giuridica che ci viene oggi dal Direttore Generale del Ministero della Giustizia Giovanni Mimmo non lascia dubbi di nessun tipo: “Il complesso normativo contenuto negli art. 33 e 34 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e nell’art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1965, n. 115, stabilisce in modo chiaro e univoco i requisiti e le modalità per l’iscrizione nel registro dei praticanti, ancorandola al riferimento diretto e ineludibile a una testata e un direttore responsabile. Ne consegue, inevitabilmente, che l’unica possibile accezione di legittimità dei criteri “interpretativi” adottati con la delibera del 28 marzo 2023 da codesto Consiglio nazionale può risiedere in un loro affiancamento a quelli di matrice legale: questi, invero, sono attualmente vigenti e non possono in alcun modo essere pretermessi, sino a quando, per ipotesi, non dovessero essere modificati dal legislatore”.

Che fare?

L’indicazione che veniva dal Ministero della giustizia è netta: “Si invita con assoluta urgenza codesto Consiglio nazionale a rettificare il comunicato relativo ai criteri indicati nella delibera del 28 marzo 2023, precisando a tutti gli ordini regionali che si tratta di un corpus regolamentare aggiuntivo rispetto alle prescrizioni di legge, senza in alcun modo costituire una deroga ai requisiti imperativamente richiesti, in particolare, dagli art. 33 e 34 della legge professionale, nonché dell’art. 36 del regolamento attuativo”.

Ma la nota del Ministero va ancora oltre, e a scanso di equivoci rimarca il principio giuridico originario: “ Al contempo, e negli stessi termini, si invitano codesti Consigli regionali, sottoposti, al pari di quello nazionale, alla vigilanza del Ministero della giustizia, a fare riferimento in ogni caso, per l’accesso al praticantato giornalistico, alle previsioni contenute nelle norme primarie che regolamentano la professione del giornalista, al fine di non consentire accesso indebito a soggetti privi dei requisiti imposti dal quadro normativo attualmente vigente. Nel restare in attesa di un pronto riscontro da parte di codesto Consiglio nazionale e di codesti Consigli regionali, si porgono cordiali saluti”.

Ad onor di cronaca va anche detto però che il 17 marzo scorso, era stato sempre il Ministero della Giustizia a riconoscere per buone le ragioni e le decisioni dell’Ordine dei Giornalisti, scrivendo testualmente: “Appaiono superati i fattori di criticità evidenziati da questa Direzione con nota del 5 dicembre 2022”. Salvo poi a fare marcia indietro.

Torniamo dunque all’oggi.

Il 3 maggio scorso, anno 2023, la parola torna al Consiglio Nazionale che, chiamato a discutere di questa spinosissima vicenda, non ha fatto altro che riconfermare sostanzialmente la posizione originaria.

Come dire? “Avanti tutta a dritta”. Come se nulla fosse mai accaduto prima, come se la lettera del Ministero della Giustizia non fosse mai arrivata a destinazione.

Non voglio immaginare la faccia che avrà fatto di fronte a questa notizia dell’ultima ora il direttore generale del ministero Giovanni Mimmo firmatario dell’ultima diffida al Consiglio Nazionale, perché tale ci era sembrato il tono della sua missiva. Che non era per niente “in punta di diritto”, come qualcuno aveva invece immediatamente commentato, ma che richiamava invece principi legislativi chiari e insormontabili. Finalmente una pagina di chiarezza da parte del Ministero della Giustizia.

Ora il quesito che ci permettiamo di rivolgere al ministro della Giustizia Carlo Nordio è questo: Se un qualsiasi Ordine Regionale dovesse seguire le indicazioni ricevute dal Consiglio Nazionale e procedesse nel riconoscimento di nuovi praticantati, il praticantato riconosciuto sarebbe “regolare a tutti gli effetti di legge”? Forse no. Se è vero che solo il Parlamento può modificare questi criteri.

Ma allora, in presenza di praticantati legati alle nuove disposizioni del Consiglio Nazionale un giovane collega potrà sostenere senza problemi il nuovo esame di Stato? E l’Esame di Stato sostenuto avrà valore a tutti gli effetti di legge?

E se un giorno qualcuno scrivesse al Consiglio Nazionale che si tratta di “praticantati” non regolari, chi pagherebbe i danni ai giovani colleghi che nel frattempo avranno magari sostenuto l’esame di stato e avranno trovato un lavoro più o meno regolare? I Presidenti degli Ordini Regionali?

Non c’è il rischio di giocare sulla pelle di giovani colleghi che vanno invece difesi, tutelati e seguiti dall’inizio fino alla fine?

Signor Ministro, lei cosa ne pensa?

La conosciamo da troppo tempo per pensare che non rimarrà in silenzio, su una vicenda spinosissima e al limite della legittimità costituzionale. Naturalmente- va anche detto- ferme restando le giuste ragioni dello stesso Consiglio Nazionale dell’Ordine. Perché il nostro mondo -e qui ha ragione il Presidente Carlo Bartoli- è davvero radicalmente cambiato.


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