Sull’orlo dell’abisso. Lo spettro di una guerra globale

Il conflitto in Ucraina e le lancette dell’orologio dell’Apocalisse (europea).

(Prima Pagina News)
Giovedì 28 Novembre 2024
Roma - 28 nov 2024 (Prima Pagina News)

Il conflitto in Ucraina e le lancette dell’orologio dell’Apocalisse (europea).

Di Giuseppe Romeo

Sul rischio di un conflitto nucleare due citazioni oggi sembrano interessanti da richiamare. Una di queste è quella di Charles Bukowski per il quale “Le due più grandi invenzioni dell’uomo sono il letto e la bomba atomicail primo ti tiene lontano dalla noie, il secondo le elimina”. L’altra, e forse più significativa anche se datata, è quella di Omar Nelson Bradley, generale degli Stati Uniti, ex vice di Patton e poi suo superiore quale comandante della I armata ai tempi dello sbarco in Normandia e, nei mesi successivi, comandante del XII gruppo di armate fino al termine del Secondo conflitto mondiale. Bradley fu, senza dubbio alcuno, uno dei generali americani presenti sui campi di battaglia più dotato di senso della misura e di capacità di dedurre le condizioni necessarie per sostenere ogni sforzo con successo. Per Bradley, guardando al nuovo mondo che sarebbe stato, “il modo per vincere una guerra atomica è assicurarsi che non possa mai scoppiare”. Un monito, quest’ultimo, espresso in tempi di certo non facili, siamo all’inizio della Guerra Fredda e di fronte alla formulazione delle prime dottrine di impiego dei sistemi d’arma nucleari. 

 

Citazioni e memorie che sembrano non riuscire neanche a recuperare il messaggio di “Joshua”, quel supercomputer del Norad che nel film WarGames del 1983, in piena epoca di contrattazione SALT sulla riduzione delle armi nucleari strategiche (ICMB) - vedeva risolversi il rischio di un’apocalisse in una partita a Tris, riconducendo tale esercizio - tra lo scienziato e “Joshua” - all’interno di quei giochi complessi dove gli avversari si cimentano poi in una sfida ossessivo-compulsiva per la supremazia e il cui risultato, cioè la miglior strategia possibile, molto ben espressa da “Joshua”, di fronte all’uso dei sistemi nucleari, era quella di …non giocare. Oggi, nel convincimento delle parti in conflitto di avere entrambe ragione in virtù di una propria interpretazione delle norme di diritto internazionale - cui gli stessi Stati Uniti hanno dimostrato che in certi casi, quelli da loro considerati legittimi, queste non si applicano rendendo la guerra preventiva lecita - si decide di guardare ancora una volta alla possibilità che una minaccia o un uso sistematico di missili possa definire e risolvere un conflitto. 

 

Un conflitto illecito per chi lo ha scatenato, la Russia, e altrettanto per chi lo ha provocato, l’Occidente euroatlantico. La verità è che, messi da parte gli slogan e i presunti valori da difendere, non ci sono alibi di sorta per chi ha a cuore il destino di un’Europa dove non vi sono zone di immunità da responsabilità politiche per le morti su un campo di battaglia che è, ormai, solo europeo per gli Stati Uniti.  In questo senso, poco importa che la dottrina nucleare russa sia stata rivista da Putin in questi giorni. La postura nucleare della Russia era sin troppo chiara sin dalla formulazione della dottrina del 2008 e dalla definizione di de-escalation legata anche, se necessario, al ricorso a sistemi d’arma nucleari tattici pur di convincere l’avversario a negoziare in caso di crisi. Aver giocato, e giocare ancora, per l’Occidente e per gli Stati Uniti con una politica e strategia da rischio calcolato o di brinkmanship significa accettare di alzare la posta per vedere sin dove si potrà arrivare per negoziare da posizioni di possibile vantaggio, se fosse, con la Russia e poco importa quale sarà il prezzo da pagare per l’Europa. 

 

Ciò significa, che spostando l’attenzione sul piano politico-strategico, convinti per eccesso di sicurezza di risultato di poterci permettere di correre una “gestibile” escalation, dovremmo ammettere che la decisione improvvida di Biden di consentire l’uso di sistemi d’attacco missilistico in profondità sul territorio russo alla fine ha offerto a Putin quell'assist che andava evitato. Cioè, una giustificazione a colpire in profondità l'Ucraina, capitale compresa come avvenuto con la risposta agli attacchi con missili del sistema ATACMS con l’impiego da parte russa di nuovi vettori ipersonici “Oreshnik” ancorché privi di testata nucleare e con buona pace dell’ormai defunto trattato INF, quello sulle armi cosiddette di “teatro” o a raggio intermedio. Il risultato raggiunto è che, ancora una volta, invece di porre in essere ogni possibile tentativo negoziale si continua a giocare, drammaticamente per non usare altri termini, sulla pelle degli ucraini convinti, gli Stati Uniti dell’ultimo Biden, che la Russia possa accettare di scomparire dalla storia, a questo punto, per un capriccio USA. 

 

Il risultato di ieri e di un domani non negoziale sarà che, al netto dell'impiego di missili in profondità da parte Ucraina verso la Russia, quest’ultima continuerà a risponderà alzando il prezzo del conflitto disponendo, comunque, di risorse counterforce efficacemente esprimibili e dottrinalmente collaudate, e poco importa se la Polonia proverà ad esporre gli unici muscoli atlantici che sono rimasti in Europa sognando magari Leopoli quale riconoscenza da parte di Kiev. Di certo Trump non si impegnerà in un conflitto aperto con Mosca, tanto quanto l'opinione pubblica americana non seguirà ciò che resterà del Biden estinto in questa follia.  L'Unione europea, “triangolo” di Weimar o meno, non potrà che raccogliere ciò che ha seminato dimostrando la sua scarsa personalità diplomatica, vittima delle scelte politiche del protettore di sempre, senza un De Gaulle all’orizzonte, né un Willy Brandt o un Kohl d’altri tempi. L’Unione europea della von der Layen ha risposto e continua a rispondere politicamente ricorrendo a luoghi comuni, mentre nell’incapacità di seguire un percorso di de-escalation a iniziativa Nato si rischia di porre in discussione la stessa utilità dell’Alleanza. Bisognerebbe ricordare a molti leader europei che sperano che non si giunga sull’orlo di un orizzonte degli eventi, che agire secondo un approccio too big to fail, nelle strategie nucleari non è salutare se non al prezzo di un destino di sofferenze senza precedenti cui l’Europa non è certo pronta a pagarne i costi materiali e umani. La verità, oggi, è che di fronte a un’Unione europea che non sarebbe più la stessa in caso di conflitto nucleare anche solo limitato - con gli Stati Uniti di Trump pronti a lasciarla a leccarsi le ferite, magari vendendogli poi la cura - non sembra vi siano strade diverse dal dover negoziare ma, soprattutto, dal dover tornare a quel punto di ripristino del 27 maggio 1997. Una data nella quale sembrava che si potesse ridisegnare a Parigi, nel mettere in campo un Consiglio Congiunto Nato–Russia, un nuovo corso per l’Europa, la Nato e la Russia in un modello di pace continentale condiviso e di relazioni improntate alla giusta e necessaria fiducia e onestà. Solo in questo caso potremmo riportare indietro quelle lancette dei minuti dell’orologio dell’Apocalisse per avere il tempo di guardare e giudicare non solo gli errori altrui ma, soprattutto, guardare e giudicare i nostri cercando di allontanare, nuovamente, le nostre vite dalla mezzanotte nucleare.

 


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