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Sciopero dei giornalisti in Rai e Mediaset, ma il comunicato letto nei tg cita solo la Fnsi e l’Usigrai: escluso di fatto l’Unirai, sindacato riconosciuto in azienda e dichiaratamente a favore della protesta per il rinnovo del contratto fermo da dieci anni.
Sciopero dei giornalisti in Rai e Mediaset, ma il comunicato letto nei tg cita solo la Fnsi e l’Usigrai: escluso di fatto l’Unirai, sindacato riconosciuto in azienda e dichiaratamente a favore della protesta per il rinnovo del contratto fermo da dieci anni.
In una giornata che avrebbe dovuto rappresentare l’unità della categoria, lo sciopero dei giornalisti italiani ha messo in luce una contraddizione clamorosa dentro il servizio pubblico. Nei telegiornali Rai, così come nei notiziari delle reti Mediaset, i colleghi in turno – regolarmente autorizzati dai Comitati di redazione – hanno letto un comunicato congiunto della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e dell’Usigrai. Nulla di strano, se non fosse che quel testo ignorava completamente l’esistenza di Unirai, sindacato ormai riconosciuto in azienda e parte attiva del fronte che ha sostenuto lo sciopero per il rinnovo del contratto giornalistico fermo da un decennio.
Questa scelta apre una serie di interrogativi pesanti sulla rappresentanza democratica dentro le redazioni e sulla corretta informazione al pubblico. Se in Rai è presente e riconosciuto un altro sindacato, l’Unirai, e se questo sindacato ha dichiarato pubblicamente di aderire allo sciopero “sacrosanto” per il rinnovo contrattuale, per quale motivo il suo nome non compare nel comunicato letto in tv? Perché si sceglie di raccontare lo sciopero come se fosse iniziativa esclusiva di una sola sigla sindacale, accanto alla Fnsi, quando la realtà aziendale è più articolata?
La sensazione, per molti colleghi, è quella di una discriminazione di fatto. Si chiede pluralismo informativo su tutti i temi dell’agenda pubblica, ma quando il tema riguarda la vita interna delle redazioni e la rappresentanza dei giornalisti, improvvisamente il quadro si restringe. È una contraddizione non solo politica e sindacale, ma anche culturale: come si può difendere la libertà di stampa se non si riconosce fino in fondo la libertà di associazione e di scelta sindacale dei lavoratori dell’informazione?
L’assenza di Unirai dal comunicato letto nei telegiornali appare ancora più incomprensibile se si considera il contesto. Lo sciopero riguarda un contratto giornalistico bloccato da dieci anni, una situazione che indebolisce stipendi, tutele, diritti, in un settore già messo a dura prova dalla crisi economica, dalla trasformazione digitale e dalla precarizzazione. Su un obiettivo così chiaro – il rinnovo contrattuale e la difesa di una professione essenziale per la democrazia – ci si aspetterebbe massimo coinvolgimento e massima inclusività, non il gioco delle esclusioni.
Il rischio concreto è duplice. Da un lato si alimenta la percezione che esistano giornalisti di “serie A” e giornalisti di “serie B” in base alla tessera sindacale. Dall’altro, si indebolisce proprio la forza dello sciopero, che dovrebbe mostrare compattezza davanti agli editori e alle istituzioni. Ogni gesto che fa apparire divisa la categoria, ogni comunicato che non restituisce l’intera mappa della rappresentanza, è un regalo a chi punta a mantenere lo status quo e a rimandare ancora il rinnovo del contratto.
La domanda è semplice, ma resta sospesa: chi ha deciso che nei comunicati da leggere nei tg dovessero comparire solo la Fnsi e l’Usigrai? E, soprattutto, in base a quali criteri si è ritenuto legittimo non menzionare l’Unirai, pur essendo un soggetto sindacale riconosciuto e parte della giornata di lotta? Se le redazioni rivendicano giustamente trasparenza da parte della politica e degli editori, dovrebbero applicare gli stessi standard anche a sé stesse, chiarendo procedure, scelte e responsabilità.
Non si tratta di una guerra tra sigle, ma di una questione di principio: il pluralismo non può essere difeso a giorni alterni. La pluralità delle voci, anche in ambito sindacale, è una ricchezza che andrebbe valorizzata, non compressa. Ignorare una parte dei colleghi solo perché inquadrati in un sindacato “non allineato” significa mandare un messaggio pericoloso: chi non appartiene al perimetro tradizionale rischia di non esistere, neppure quando contribuisce in modo leale e convinto a una mobilitazione comune.
Per questo, tra i giornalisti che aderiscono all’Unirai, ma anche tra tanti cronisti che guardano con preoccupazione a queste dinamiche, cresce l’amarezza. Non si contestano le ragioni dello sciopero, anzi: la battaglia per il contratto è condivisa, urgente, fondamentale. Si contesta invece un metodo che appare escludente, non spiegato, contrario a quella cultura del confronto e della trasparenza che la categoria dovrebbe incarnare, non solo predicare.
In un momento storico in cui il lavoro giornalistico è sotto attacco, tra tagli, intimidazioni e campagne di delegittimazione, il minimo che ci si possa aspettare è che nessun collega venga messo ai margini per la sua appartenenza sindacale. Riconoscere l’Unirai nel racconto dello sciopero non è un favore a una sigla, ma il rispetto dovuto a chi fa parte a pieno titolo della comunità professionale. Se si chiede dignità per il lavoro dei giornalisti, questa dignità va praticata a partire da casa propria, nei testi che si leggono in video e nelle scelte che si compiono nelle redazioni.
Il prossimo passo dovrebbe essere chiaro: fare chiarezza sulle regole con cui si costruiscono i comunicati ufficiali, garantire spazio a tutte le rappresentanze riconosciute in azienda, impedire che si ripetano episodi di esclusione. Solo così la giornata di sciopero potrà essere ricordata come un momento di reale unità e non come l’ennesima occasione in cui, dietro la retorica della compattezza, sono emerse logiche opache e discriminazioni che la categoria non può più permettersi nel rispetto anche della sentenza più recente e significativa della Corte Costituzionale in tema di pluralismo sindacale e rappresentatività, la sentenza n. 156 del 30 ottobre 2025.
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