Alpinismo: Sull'Everest senza gambe, l'incredibile scalata di Hari Budha Magar
L'ex soldato nepalese ha utilizzato speciali protesi dotate di un sistema di riscaldamento a batteria, uno stratagemma che ha evitato il loro congelamento. "Se non avessi perso gli arti non sarei mai salito sul tetto del mondo, non sarei diventato l'uomo felice che sono adesso".
di Antonio Panei
Giovedì 25 Maggio 2023
Roma - 25 mag 2023 (Prima Pagina News)
L'ex soldato nepalese ha utilizzato speciali protesi dotate di un sistema di riscaldamento a batteria, uno stratagemma che ha evitato il loro congelamento. "Se non avessi perso gli arti non sarei mai salito sul tetto del mondo, non sarei diventato l'uomo felice che sono adesso".
Il 17 aprile del 2010 Hari Budha Magar ha perso entrambe le gambe, in Afghanistan, a causa dell'esplosione di una bomba. Stava combattendo contro i terroristi di al-Qaida come soldato della Royal Gurkha Rifles, uno speciale reggimento dell'esercito britannico composto da militari reclutati esclusivamente in Nepal. 13 anni dopo è riuscito a raggiungere la vetta dell'Everest. Il primo doppio amputato sopra il ginocchio a scalare il tetto del mondo.


"Quando mi hanno amputato gli arti ho dovuto combattere un'altra guerra, quella contro la depressione. Inizialmente ho pensato che la mia vita fosse completamente finita. Ho tentato anche il suicidio. Sono cresciuto in Nepal fino all'età di 19 anni e nel mio villaggio le persone portatrici di handicap vengono completamente emarginate, considerate come degli scarti. Nel mio Paese d'origine in molti pensano che la disabilità sia una condanna per un peccato commesso nella vita precedente".


Per sua fortuna Hari Budha non è tornato in Patria. Ha beneficiato, in Inghilterra, della pensione di veterano e si è potuto permettere una casa a Canterbury, nel Kant. Ha usufruito dei programmi inglesi di reinserimento sociale e ha iniziato a fare sport. "Ho praticato il basket in carrozzina, il golf, il paracadutismo. Poi mi sono innamorato dell'alpinismo". Il quarantaquattrenne alpinista nepalese è salito sul Mera Peak, sul Monte Bianco, sul Kilimangiaro.


"La mia carriera mi ha dato molte soddisfazioni, ma il mio chiodo fisso è sempre stato l'Everest". L'ex soldato, accompagnato dal connazionale Krishna Thapa e da una squadra di sherpa, ha coronato il suo sogno himalayano lo scorso 19 maggio, superando difficoltà estreme connesse ai muri di ghiaccio, ai crepacci, al gelo e alla carenza di ossigeno. "Sono potuto rimanere in cima alla montagna soltanto per pochi minuti. Avevo gli occhiali da sole ghiacciati ed anche la maschera per l'ossigeno stava per congelarsi, rischiavo di non poter più respirare".


Il suo motto è: niente gambe, niente limiti. "Sull'Everest ho utilizzato protesi speciali dotate si un sistema di riscaldamento a batteria per evitare che mi si congelassero". Ora Magar ha un altro obiettivo. Un obiettivo non sportivo ma spirituale. Vuole tornare in Afghanistan nel luogo esatto dove è rimasto ferito dallo scoppio dell'ordigno. "Voglio dire grazie a quel luogo e a quell'evento. Se non avessi perso le gambe non sarei mai salito sull'Everest, non sarei diventato l'uomo felice che sono adesso".

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