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Appena fresco di stampa: “Come si uccide la libertà di stampa, Anatomia di un omicidio”., Edizioni All Round, 255 pagine, il nuovo libro di Giancarlo Tartaglia, scritto per la Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi, di cui lui è Segretario Generale.
Appena fresco di stampa: “Come si uccide la libertà di stampa, Anatomia di un omicidio”., Edizioni All Round, 255 pagine, il nuovo libro di Giancarlo Tartaglia, scritto per la Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi, di cui lui è Segretario Generale.
Il 1924 – sottolinea l’autore -è stato l'anno della fine dell'età liberale e della nascita dello stato totalitario. Non solo questo. Il 1924 è stato l'anno delle elezioni per il nuovo Parlamento che avrebbe assicurato una maggioranza al fascismo e cancellato il Parlamento come istituzione di libertà. Ma è stato anche l'anno del rapimento e dell'uccisione di Giacomo Matteotti. Ed è stato l'anno dell'entrata in vigore del nuovo regolamento sulla stampa, per imbavagliare la libertà di espressione.
“Il pensiero di Mussolini, particolarmente sensibile all’importanza della stampa nella formazione dell’opinione pubblica, correva a come fare per imbrigliare i giornali e renderli inoffensivi”.
Giancarlo Tartaglia ricostruisce quei giorni “maledetti” dell’anno 1924 con una dovizia di particolari e di dettagli che fanno di questo libro un impeccabile testo di storia moderna, e racconta per esempio di un tale Cesare Rossi, che era in realtà il capo ufficio stampa di Benito Mussolini, e che confesserà nel suo memoriale, “scritto per difendersi dalle accuse di coinvolgimento nel delitto Matteotti, che Arturo Fasciolo, il segretario personale del capo del governo, quotidianamente, aveva l’ordine, su indicazione di Mussolini, di inviare ai Fasci locali i nomi dei sottoscrittori della Voce Repubblicana, dell’Avanti!, Giustizia Libera, ecc., affinché fossero purgati e bastonati”.
Il vero grande merito storico di questo libro -e quindi di Giancarlo Tartaglia, che è un vero maestro del nostro mondo- credo sia proprio quello di renderci oggi pienamente consapevoli e orgogliosi di vivere finalmente in un paese libero, ma libero nel senso più completo e più reale del termine, in un paese dove non c’è mai stata una stampa più libera e più indipendente di quella che abbiamo noi oggi, e che ogni giorno abbiamo la fortuna di vivere e di respirare in prima persona sulla nostra pelle e sulle nostre vite.
Mi viene solo da sorridere all’idea che qualcuno ancora oggi, in televisione o sulle piazze, o nelle università, o nelle scuole, o nelle assemblee di partito, o nelle aule di giustizia, o nelle anticamere sindacali, si permetta di osservare, o peggio ancora di contestare, che viviamo in un paese dove la stampa è fortemente condizionata dal potere politico dominante. Certamente chi lo pensa, e chi lo dice, dovrebbe allora correre in libreria e comprare e leggere il libro di Giancarlo Tartaglia, perché finalmente forse si renderebbe conto di cosa sia stata in realtà la stampa italiana negli anni bui del regime fascista. Perché di questo e solo di questo Giancarlo Tartaglia parla oggi nel suo libro.
“Benito Mussolini- spiega Giancarlo Tartaglia- benché presidente del Consiglio, si sentiva ancora direttore di un quotidiano, ponendo la massima attenzione alla stampa, considerandola il termometro su cui regolare la propria azione politica, ed era il primo presidente del Consiglio – lo ha scritto lo stesso Spadolini ricorda Tartaglia – che proveniva dal giornalismo militante, e Mussolini era un giornalista nell’intimo delle fibre, nella sua sfrenata passione pubblicitaria, nel suo calcolato dialogo con le folle: “vuole ammonire i colleghi, ma non ancora rompere i ponti con tutto il mondo della carta stampata. Una spada di Damocle, da far cadere al momento opportuno”.
Straordinariamente forte il racconto quasi intimo che ci fa Tartaglia di un Mussolini per il quale la stampa era” la sua ossessione, e come addomesticarla era il suo obiettivo”.
Come muoversi allora? Mussolini non ebbe nessun dubbio. “Oltre che proseguire nella tradizione dei suoi predecessori di finanziare giornalisti e giornali vicini al governo, aveva fatto avviare dal capo del suo ufficio stampa, Cesare Rossi, un’indagine, tramite le prefetture, per ottenere una precisa mappatura di tutti i giornali del Regno: la loro collocazione politica, i costumi dei direttori e dei redattori, gli interessi industriali che rappresentavano, chi erano i finanziatori dell’impresa ecc”. Insomma, il controllo più totale del mondo della comunicazione. Altro che Tele Meloni, o Tele-Salvini!
“Il passo successivo al primo -ricorda Giancarlo Tartaglia- sarà quello, proprio nel ’24, di favorire il passaggio di proprietà dell’agenzia Stefani, storica voce informativa nazionale, nelle mani del suo uomo più fidato, Manlio Morgagni, che era anche amministratore de Il Popolo d’Italia e che guiderà l’agenzia, trasformandola, con grande zelo, nel maggiore strumento di informazione del governo, sino alla caduta del fascismo, il 25 luglio del ’43, e che si sarebbe apprestato, «non senza trepidazione», come lui stesso ricorderà molti anni più tardi, a operare «una energica azione ricostruttiva» dell’agenzia «perché la vecchia, celebre istituzione potesse corrispondere adeguatamente ai poderosi compiti che il Duce d’Italia le additava”.
Il 1924 è stato soprattutto l'anno del tentativo di conquistare il controllo degli organismi rappresentativi della categoria giornalistica. Ma anche l'anno della nascita dell'Uri, l'unione radiofonica italiana, e del Luce, produttore di notiziari filmati che costituiranno gli strumenti necessari alla costruzione del consenso di massa. Quello sì che era un regime!
Un anno, quello del 1924, funestato anche dal rapimento e dall’uccisione del giovane segretario del Partito socialista unitario, Giacomo Matteotti, “reo – scrive Tartaglia- di aver denunciato in Parlamento i brogli elettorali, l’affarismo e le violenze del fascismo e che avrebbe indotto Mussolini a imporre la pubblicazione e l’entrata in vigore del nuovo regolamento sulla stampa, che, ripercorrendo la via intrapresa, con insuccesso, alla fine dell’altro secolo dai governi di Rudinì e Pelloux, iniziava a imbavagliare la libertà di espressione, che sarebbe stata definitivamente abolita con le leggi “fascistissime” approvate l’anno successivo da un Parlamento definitivamente nelle mani dei fascisti”.
Ma Tartaglia ci ricorda che il 1924 sarebbe stato, anche, “l’anno del tentativo, per il momento non riuscito, di conquistare il controllo degli organismi rappresentativi della categoria giornalistica: l’Associazione della Stampa Periodica e la Federazione Nazionale della Stampa. I fascisti ci sarebbero riusciti l’anno successivo e, in attesa, avrebbero dato vita a un sindacato dei giornalisti fascisti, destinato a sostituire la Federazione della Stampa, l’organismo che dal 1908 rappresentava l’intero mondo del giornalismo e che a settembre del ’24 avrebbe celebrato a Palermo il suo ultimo congresso, prima della conquista e della soppressione”.
Ma non solo il controllo assoluto della stampa scritta.Mussolini capì prima di tutti gli altri quanto fosse fondamentale anche il controllo della radio che era appena nata e dei primi documentari Luce. Comprendendo l’importanza di entrambe queste innovazioni, “Mussolini presto se ne approprierà, sottraendole all’imprenditoria privata e portandole sotto l’egida e il controllo del governo”. Costituiranno gli assi portanti necessari alla costruzione del consenso e fare del fascismo un regime di massa.
In un paese largamente arretrato e con spaventosi livelli di analfabetismo, soprattutto nelle regioni meridionali, -scrive Tartaglia- “la radio poteva essere ascoltata da tutti, non c’era bisogno di saper leggere, e la visione dei notiziari filmati, proiettati nelle sale cinematografiche tra il primo e il secondo tempo di un film, un nuovo mezzo di svago popolare sempre più diffuso, colpivano e impressionavano gli spettatori più di qualsiasi altro strumento di comunicazione di massa. Ma di questo futuro, che si costruirà nel corso degli anni, il 1924 segna l’inizio”.
Non credo che manchi nulla nel suo racconto, ma altrettanto interessante è l’Appendice finale, dove Giancarlo Tartaglia, da autentico professore di Storia Moderna ripropone nella sua versione integrale e originale il Regio Decreto-legge 15 luglio 1923 245, il Regio Decreto Legge 10 luglio 1924 248, e l’Appello al re dei direttori dei giornali italiani. Solo un topo da biblioteca come lui avrebbe potuto ricostruire questo “1924”, anno “maledetto” per il mondo del giornalismo italiano con tanta precisione e con tanto rigore. Chapeau.