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Torna prepotentemente di scena nel panorama letterario italiano lo scrittore calabrese Carmine Abate, e torna questa volta con un romanzo bellissimo, dai toni forti, e dalla narrazione avvolgente, un romanzo dedicato ancora una volta alla sua terra di origine, la Calabria, e il dito puntato su una delle realtà più iconiche della storia dello sviluppo meridionale, il paese di Eranova, alle porte di Rosarno, oggi il paese non esiste più perché al suo posto hanno costruito negli anni il grande porto di Gioia Tauro.
Un romanzo che si porta dentro la malinconia di chi è emigrato per sempre, e di chi da emigrato continua a tornare nella sua casa di origine per ritrovare quel poco che è ancora rimasto di lui e della sua vita in questo angolo remoto del mondo. Questa volta il suo “Paese felice” diventa Eranova, il paese fantasma attaccato a San Ferdinando, tra Rosarno e Gioia Tauro, e “dove le pietre con cui sono state costruite le case di Eranova, parlano la lingua della leggenda e sono impastate di un magma ribollente capace di travolgere il mondo per come ci viene consegnato”.
Il romanzo che segue è di un lirismo unico al mondo, ma solo Carmine Abate è ancora capace di questi voli pindarici e sentimentali, quasi un acrobata dei sentimenti e del ricordo, della tradizione e dell’orizzonte che sta di fronte.
Negli anni Settanta – racconta lo scrittore- Eranova è ancora un paese giovane, fondato nel 1896, quando alcuni massari e contadini si ribellarono al marchese proprietario delle terre in cui vivevano per rivendicare la propria libertà, dare sostanza a un’utopia, edificarla in pietra e carne. Lo sa bene Lina, una studentessa idealista e caparbia come i fondatori del suo paese.
Fantasia e realtà si fondono insieme, e ancora una volta Carmine Abate riesce a commuovere chi lo legge, trasferendo nel romanzo verità storiche che hanno profondamente segnato la storia dell’intero mezzogiorno.
“Lina, quando Lorenzo la incontra all’università di Bari, ignora il motivo dell’inquietudine che si annida nei suoi occhi verdi, non sa che Eranova rischia di sparire per far posto al quinto centro siderurgico italiano. Lina non si dà pace, e cerca di convincere la gente a lottare contro questa colossale follia, utile solo per riempire le tasche voraci della ‘ndrangheta. Aiutata da Lorenzo, scrive appelli al presidente della Repubblica, al papa, al presidente del Consiglio, a politici e persino a Pasolini, conosciuto in una libreria di Bari, perché blocchino il progetto, prima che sia troppo tardi”.
In questo suo ultimo libro Carmine Abate supera sé stesso, probabilmente è questo il libro cardine della sua maturità di scrittore, ma dipinge il quadro di un’Italia pronta a cedere alle lusinghe del benessere, timorosamente fatalista, in balìa delle emergenze politiche e sociali come nessun altro era riuscito a farlo prima di lui. Cosa che lo scrittore calabrese fa attraverso la sua scrittura di sempre, una scrittura densa, scattante, potente, evocativa, alla sua maniera di sempre, avvolgente, carismatica, come se lui stesso fosse figlio di Eranova, e non di Carfizzi come in realtà lo è, e avesse trascorso la sua infanzia tra gli aranceti che sorgevano un tempo da quelle parti.
“Un paese felice” è un’abbagliante storia d’amore e di rabbia, di destini individuali e destino collettivo, di “violenza delle memorie” e, nonostante tutto, di speranza.
“Perché i protagonisti -tutto questo Carmine Abate lo scrive con la fierezza che da sempre segna la sua vita di intellettuale e di scrittore moderno- sono due giovani conquistati dalla forza dell’utopia, che lottano contro i potenti e non rinunciano a portare il loro impegno nel flusso indifferente della Storia. Attorno a loro, un coro di voci possenti e vive che incrociano la storia di un secolo, catturano la nostra coscienza e rendono attualissima e universale la vicenda di Eranova”.
Meraviglioso, a tratti sublime, perfettamente aderente alla realtà di quegli anni, Carmine Abate si riconferma ancora una volta testimone straordinario di una Calabria che muore ogni giorno che passa, e soprattutto cantore superbo di una tradizione antica che è quella del suo popolo e della sua gente, lui arberesch dalla testa ai piedi ancora oggi, e che confessa candidamente come il dialetto calabrese sia rimasta la sua lingua del cuore, dovunque egli sia in giro per il mondo.
Un uomo, uno scrittore, una leggenda.
“Il mio luogo è ormai un pluriluogo, un mosaico di luoghi a me cari, fatto di tante radici, tante lingue, tante culture, tanti sguardi. Sono i luoghi che mi parlano, che mi raccontano le loro storie più segrete. Il luogo centrale, dove sono nato e da dove sono partito, è un piccolo paese arbëresh della Calabria, Carfizzi, che da sempre è stato il microcosmo multiculturale e plurilinguistico da cui ho attinto a piene mani, è una Calabria in miniatura, che nei miei libri chiamo Hora, Roccalba, Spillace, Carfizzi. Da microcosmo, diventa macrocosmo, universale come la Calabria, una terra bellissima ma ferita, e io cerco di raccontarne sempre la bellezza senza dimenticare le ferite e viceversa. Dentro ci trovo i grandi temi della letteratura di tutti i tempi: la ricerca dell’identità, l’emigrazione, il ritorno, la natura e soprattutto l’amore. Soprattutto, l’amore”.
L’autore. Carmine Abate è di origine albanese ma è nato in un paese calabrese. Ora vive tra la Germania, il Trentino e la regione d'origine. Ha esordito come narratore nel 1991 con II ballo tondo, che è stato tradotto anche in Germania e in Albania. Ripubblicato nel 2000 da Fazi, ha vinto il premio Arge-Alp. Nel 1999 con La moto di Scanderbeg ha avuto un grande successo di critica e di pubblico, al quale sono seguiti altri romanzi, Tra due mari (Mondadori, 2002), La festa del ritorno, (Mondadori, 2004, finalista al Premio Campiello), II mosaico del tempo grande (Mondadori, 2005), Vivere per addizione e altri viaggi (Mondadori, 2008), Gli anni veloci (Mondadori, 2009), La collina del vento (Mondadori, 2012), Il bacio del pane (Mondadori, 2013), Il banchetto di nozze e altri sapori (Mondadori, 2016), Le rughe del sorriso (Mondadori, 2018).