Rai, Corte di Cassazione. Sentenza a favore dei giornalisti precari utilizzati nelle reti

La Corte di Cassazione interviene su una vicenda di precariato in Rai condannando Viale Mazzini al risarcimento totale del danno prodotto.

di Pino Nano
Mercoledì 03 Luglio 2024
Roma - 03 lug 2024 (Prima Pagina News)

La Corte di Cassazione interviene su una vicenda di precariato in Rai condannando Viale Mazzini al risarcimento totale del danno prodotto.

La Corte di Cassazione è chiara: “Al giornalista cui è riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato, a fronte di un simulato contratto a partita IVA, l’azienda deve corrispondere tutte le differenze retributive e il risarcimento del danno dalla messa in mora fino alla effettiva riassunzione in servizio. non si applica dunque la legge Fornero che impone un tetto massimo di mensilità da corrispondere a titolo risarcitorio”.

 

Il caso in questione – spiega l’avvocato giuslavorista romano Vincenzo Iacovino- riguarda una giornalista RAI che, “pur avendo lavorato con plurimi contratti di lavoro autonomo dal 2002 al 2014, ritenendo di aver svolto invece attività giornalistica subordinata, ha promosso ricorso al Tribunale del lavoro di Roma rivendicando l’assunzione a tempo indeterminato, la qualifica di redattore, le differenze retributive, la regolarizzazione previdenziale e il risarcimento dei danni per il periodo non lavorato”.

 

Vediamo per ordine cosa è successo.

Il Tribunale in primo grado rigetta la domanda. La sentenza viene quindi impugnata davanti alla Corte di Appello che nel 2021 accoglie parzialmente le ragioni della giornalista, dichiarando “sussistente fra le parti il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di natura giornalistica dal 6.7.2002”. Avendo dimostrato – spiega la Corte- l’inserimento continuativo ed organico della sua prestazione lavorativa nell’organizzazione imprenditoriale; la sua presenza e il suo inserimento nella redazione funzionale al programma avente carattere informativo; e la natura giornalistica della prestazione”.

La Corte “condanna la RAI a riammettere in servizio l’appellante con qualifica di redattore ordinario con più di 30 mesi di anzianità”, ma limita il risarcimento dei danni condannando la Rai al “pagamento della sola indennità risarcitoria determinata nella misura pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione, ritenendo applicabile la legge Fornero”.

 

A questo punto, la giornalista, con il patrocinio dell’avvocato Vincenzo Iacovino, ritenendo ingiusto il riconosciuto danno liquidato in via forfettaria, promuove ricorso in Cassazione chiedendo il “maggiore danno, da commisurarsi alle retribuzioni lorde maturate dalla messa in mora all’effettiva riassunzione in servizio”.

 

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 26 giugno 2024, accoglie il ricorso, disponendo che “nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro al cospetto di un contratto stipulato dalle parti come formalmente di lavoro autonomo, non trova applicazione il regime indennitario dettato dall’art. 32 L. n. 183/2010 meglio denominato collegato lavoro, bensì quello risarcitorio a decorrere dalla costituzione in mora”.

 

-Che cosa vuol dire tutto questo, Avvocato Iacovino?

“Che la Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, ora dovrà decidere e determinare il risarcimento del danno tenendo conto che la giornalista ha messo in mora la Rai nel maggio del 2014 e pertanto la stessa avrà diritto alla corresponsione delle retribuzioni maturate e non godute da quella data fino alla effettiva riammissione in servizio intervenuta nell’ottobre del 2021”.

 

-Quanto sarà importante questa decisione della Corte di cassazione?

“Moltissimo. La decisione è importante considerato che in RAI come in altre aziende, sono moltissimi i giornalisti che lavorano in uno stato di precariato e di sfruttamento che oggi vedono la possibilità di una loro stabilizzazione, una regolarizzazione economica e previdenziale per tutto il periodo pregresso, e un risarcimento dei danni per tutto il periodo riconosciuto, senza alcun tetto massimo. E non è poco mi creda”.


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