Immigrazione. Un anno fa la tragedia di Cutro. Il ricordo delle 94 vittime nelle parole del cardinale Matteo Zuppi.
Oggi ricorre un anniversario terribile per la storia della Calabria. Un anno fa a Steccato di Cutro, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, il mare si portava via per sempre la vita di 94 migranti e almeno una decina di dispersi.
di Pino Nano
Lunedì 26 Febbraio 2024
Roma - 26 feb 2024 (Prima Pagina News)
Oggi ricorre un anniversario terribile per la storia della Calabria. Un anno fa a Steccato di Cutro, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, il mare si portava via per sempre la vita di 94 migranti e almeno una decina di dispersi.

È storia di un naufragio e di una tragedia del mare di cui si sono occupati i giornali di tutto il mondo. Per una notte, per un giorno, per un anno, i riflettori della grande stampa internazionale sono rimasti puntati su questo paesino del crotonese dove lacrime, disperazione, solitudine e senso di abbandono hanno fatto da cornice naturale ad una delle tragedie del mare più ingenerose della storia.

Cosa fare per ricordare quella notte? E soprattutto, come fare perché queste vite spezzate dalla furia del mare, e forse anche dalla distrazione degli uomini, possano essere ora ricordate in eterno? Mi tornano allora in mente le parole del Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, rilasciate alle agenzie di stampa qualche ora dopo la prima notizia di quella tempesta di dolore e di morte

“Una profonda tristezza e un acuto dolore attraversano il Paese per l’ennesimo naufragio avvenuto sulle nostre coste. Le vittime sono di tutti e le sentiamo nostre. Il bilancio è drammatico e sale di ora in ora: sono stati già recuperati 40 corpi, tra cui molti bambini. Ci uniamo alla preghiera del Santo Padre per ognuno di loro, per quanti sono ancora dispersi e per i sopravvissuti. Li affidiamo a Dio con un pensiero per le loro famiglie”.

Ma il cardinale quel giorno disse altre cose ancora. Per recuperare il testo completo delle sue parole chiedo allora aiuto ad un giornalista che lo conosce personalmente molto bene, Mimmo Nunnari, che del Mediterraneo sa tutto e su cui ha scritto alcune delle cose più belle oggi in circolazione nelle librerie di tutta Italia, e che del cardinale Matteo Zuppi conserva ogni ritaglio e ogni dettaglio di questa sua straordinaria missione pastorale. E nel giro di qualche ora, l’ex Vice direttore della TGR della RAI (autore fra l’altro di un libro “Lo stivale spezzato” che porta proprio la prefazione di Zuppi), mi manda tutto quello che il Presidente della CEI ha scritto e detto sulla tragedia di Cutro. E che rimane per tutti noi -ancora oggi, a distanza di un anno dalla tragedia- una indimenticabile lezione di vita.

“Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero. Occorrono scelte e politiche, nazionali ed europee, con una determinazione nuova e con la consapevolezza che non farle permette il ripetersi di situazioni analoghe”.

Passeranno dei giorni, e Matteo Zuppi torna sul tema, con nuove motivazioni morali.

“Per dirla con le parole di papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti, occorre superare “la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità”. Per questo ci vuole empatia, ma ci vuole anche cultura, cioè conoscenza dell’altro, ci vuole un recupero della missione nobile e allo stesso tempo vitale che l’educazione svolge nella società dalla scuola all’università. Educare alla pace è quindi aprire le menti e i cuori all’incontro con l’altro. Penso allora che il mondo di oggi ha bisogno di immaginazione e audacia culturale ed evangelica”.

Passeranno altri giorni ancora, e mentre il mondo continua ancora a interrogarsi su quello che è accaduto a Steccato di Cutro, chiedendosi anche a più voci “se tutto questo si poteva evitare?”, Matteo Zuppi nel giorno della “Preghiera della Comunità di Sant’Egidio per i profughi” affida al mondo una delle sue omelie più intense e più sentite.

“Oggi ricordiamo le persone morte di speranza, quelle per cui nessuno ha dato da mangiare o che ha accolto. Sono morte non per caso, ma per omissione di soccorso. Non ci abituiamo. Non possiamo abituarci, e la tragedia della guerra ci aiuta a comprendere la tragedia di tutte le guerre, tutte uguali nell’orrore del fratello che alza le mani contro suo fratello. Capiamo come le conseguenze delle guerre durano a lungo dopo la fine del conflitto armato e sono fame, carestia, malattie”.

La cappella è stracolma di gente in preghiera e in religioso silenzio. Molti in fondo si chiedono il perché il cardinale faccia riferimento alla guerra, ed ecco che arriva immediata la sua risposta.

“E’ dalla guerra che scappa chi si aggrappa alla speranza, chi affronta il pericolo perché la disperazione è più forte della paura, perché la voglia di dare speranza ai propri cari è più forte dell’amore per sé. Noi diciamo questa sera, ascoltando i loro nomi e facendoli nostri: ti abbiamo visto affamato, assetato, carcerato nei

Dal “Vangelo secondo Matteo Zuppi”, è il caso di dirlo. Dopo aver riempito le Chiese dei suoi appelli, dopo aver raccontato ai cronisti di tutto il mondo la filosofia morale di Papa Francesco, dopo aver ricordato alle grandi agenzie internazionali il valore della solidarietà e dell’accoglienza, ecco che il messaggero del Papa nella grande casa di Russia affida al suo ultimo libro “Dio non ci lascia soli .Riflessioni di un cristiano in un mondo in crisi” (Grazie Mimmo Nunnari per avermelo mandato in tempo) la linea di demarcazione tra ciò che si deve fare in futuro e ciò che va invece relegato negli archivi della storia.

È questo il racconto bellissimo che Matteo Zuppi fa della “primavera della Chiesa moderna”, la "primavera della Chiesa" dentro una primavera globale, annunciata da un papa santo, Giovanni XXIII, che desiderava una Chiesa "di tutti e particolarmente dei poveri". Ma non è una stagione del passato, anche se tante cose sono cambiate. È possibile anche oggi. Come?

E rieccolo il Vangelo “secondo Matteo Zuppi”.

“La questione migratoria dovrebbe essere trattata come una grande questione nazionale e internazionale, che richiede la cooperazione e il contributo di tutte le forze politiche. Andrebbe tolta dallo scontro politico-elettorale, per creare il clima in cui anche la popolazione possa tornare a essere protagonista nel processo di integrazione, e per avviare soluzioni di medio e lungo periodo. Siamo davvero a un bivio: «Cultura della fraternità o cultura dell'indifferenza», ha ricordato papa Francesco. Piaccia o no, la scelta e tutta qui. E la cultura della fraternità non ha niente a che vedere con gli scenari apocalittici dei milioni che sommergeranno l'Italia e l'Europa. Ma per questo è davvero necessaria una concertazione tra le forze politiche e sociali, indispensabile per creare un sistema di accoglienza che sia tale, non opportunistico, non solo di "sicurezza": una sicurezza senza visione rischia di essere illusoria, dal momento che solo l'integrazione crea davvero sicurezza, riducendo la marginalità. La vera sfida è iniziare a governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un'opportunità così come esso è”.

Credo che abbia ragione il cardinale Matteo Zuppi quando scrive che la vera sfida è iniziare a governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un'opportunità.

“Lo è per i singoli stati e per l'Unione. E una comune visione europea è più facile da costruire e trovare in un clima di dialogo e non di scontro. Esiste un diritto umano alla pace, e alla sicurezza personale, che Africa ed Europa possono, dovrebbero contribuire a consolidare e costruire assieme: la guerra e stata troppo banalizzata come fatto naturale, eventualità normale, triste compagna della storia umana e della politica. La guerra è ridiventata popolare man mano che si spegneva l'eco del grande sogno di pace nato nei lager e nei gulag, cresciuto sotto le rovine della Grande guerra mondiale, sopravvissuto anche alla Guerra Fredda e al Muro di Berlino. Penso che abbiamo la responsabilità di riaffermare questo sogno, che non può essere solo autoreferenziale, per sè e basta: dimenticando di lavorare per la pace attorno a sè, l’Europa sta scoprendo con preoccupazione di averla sprecata, almeno in parte. Imparare di nuovo a lavorare assieme, europei e africani, e un'arma potente che abbiamo tra le mani e che non abbiamo ancora utilizzato a pieno per riaffermare e ricostruire le basi umanistiche di quel sogno affinché divenga realtà. Si, democrazia e sviluppo, ma occorre la pace, perché apre alla riconciliazione ed è una scuola di apprendimento del vivere assieme”.

Bellissima la preghiera che Matteo Zuppi affida oggi al mondo dell’immigrazione.

“Venite, e siate benedetti. È proprio una benedizione volere bene. Così prenderemo parte alla gioia, donando. Ero io e lo hai fatto a me, dirà Gesù. I poveri sono sacramento di Cristo. Il loro corpo è il suo. Chi ama i poveri ama Dio. Dare da mangiare, visitare, coprire: così apparteniamo a Lui. Amare perché Lui ci possa amare. Il futuro è frutto dell’amore. Lo è personalmente per ognuno di noi e lo è anche per il nostro mondo, che non ha futuro senza amore per i più deboli e poveri. Chi lotta per la speranza, tanto da morire come in una guerra contro l’indifferenza e la paura, ci aiuta a sperare, a non avere paura, a costruire il futuro. Assieme, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. E prima impariamo che siamo fratelli tutti, prima vinceremo le pandemie, quelle che poi travolgono tutti. Se siamo una benedizione troveremo benedizione”.


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