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“Nelle pagine de La ‘Santa’ violenta – sostiene l’autrice - c’è storia e c’è ricerca sociale, ci sono pezzi di società e di umanità calabrese. Un archivio di esperienze che 30 anni dopo dovrebbero rappresentare uno dei pilastri, delle fondamenta, di ogni discussione su mafia e Calabria. Queste pagine – ché a leggerle davvero sembra che poco sia cambiato in Calabria e nella ’ndrangheta 30 anni dopo – sono testo, contesto e storia”.
Questo che vi raccontiamo è un libro che la professoressa Anna Sergi ha scritto a quattro mani con suo padre, giornalista di Repubblica, Pantaleone Sergi, per Pellegrini Editore, una prefazione bellissima di Enzo Ciconte che è uno dei massimi esperti di mafia calabrese in Italia, un libro che ribalta le vecchie analisi sulla ’ndrangheta, e sul suo potere tradizionale, argomentando e dimostrando come le grandi famiglie mafiose calabresi condizionino ormai l’economia di mezzo mondo. Questa di Anna Sergi è un’analisi sociologica di altissimo livello accademico, ma è soprattutto un esperimento editoriale suggestivo e singolare, in cui i due autori, padre e figlia, si confrontano a distanza di anni per arrivare a una conclusione finale comune, che significa dover riconoscere lo strapotere invasivo e transnazionale della ’ndrangheta nel corso degli ultimi trent’anni di storia italiana.
“Sono passati 30 anni dalla pubblicazione de La ‘Santa’ violenta, il libro scritto da mio padre e che io ho volutamente riproposto nel mio nuovo libro, in maniera integrale. Vede, dal 1991 sono cambiate tante cose. È cambiata la Calabria, certamente. Ed è cambiata la ’ndrangheta. Dopo un intervallo di circa 15 ho riletto tutto il libro di mio padre da capo. Negli anni, a volte l’ho sfogliato, cercando riferimenti a questo o a quello. Negli anni, non appena la ricerca accademica è diventata la mia scelta professionale a tempo pieno, sono tornata su qualche pagina del libro, consapevole che dietro a qualsiasi studio del fenomeno mafia, o ’ndrangheta che sia, stanno le storie di uomini e donne che hanno vissuto la storia in diretta”.
È a questo punto che nasce l’idea de La Santa ndrangheta. Da violenta a contesa. «Quando nel 2019 – ricorda la professoressa Sergi – ho ripreso in mano il testo di mio padre per rileggerlo da capo, stavo preparandomi alla stesura di un altro libro, un testo più personale dei miei studi accademici. Un testo radicato nella memoria, individuale e collettiva, della Calabria e della ’ndrangheta. Un testo che racconta anche i viaggi, che io, come altri tanti calabresi, alcuni anche ’ndranghetisti, abbiamo intrapreso. Nell’affrontare il peso e il significato di memorie e viaggi non potevo esimermi dall’affrontare anche questioni più complesse: la storia del territorio, l’identità delle comunità che lo abitano, la narrazione degli eventi ancora vicini sebbene passati».
Dietro questo saggio di “storia criminale” c’è poi anche la storia privata e personale di Anna Sergi, una carriera brillante, che negli anni la porta lontana dalla sua casa e dalla sua terra natale, e ne fa una delle giovani intellettuali italiane più interessanti e più brillanti dell’Università di Essex nel Regno Unito. Nella prefazione che la professoressa Sergi fa oggi al suo libro ricostruisce il suo passato e il suo presente, emigrata e cittadina del mondo, ma ormai davvero troppo lontana da casa.
«Crescere tra Cosenza e l’Aspromonte, con intramezzi nel Vibonese, è stata la normalità della mia infanzia e adolescenza. E il lavoro di mio padre, anche quello, in sottofondo. Non come un rumore, ma come una «cosa da grandi», di quelle cose che non ti è permesso vedere, perché non le capiresti; quelle cose da cui vieni protetto, perché sono brutte, cattive e spaventano i bambini. Eppure, si sa, i bambini sono spugne, e da assorbire ce n’era. C’erano i lunghi viaggi di papà, c’erano le sue apparizioni al telegiornale regionale o in qualche altro canale tv nazionale, c’erano sicuramente le sue giornate passate a scrivere, e quelle in cui il giornale chiamava, nel mezzo di una vacanza, o di una domenica, o di una festa comandata e tutto si bloccava perché era successo chissà cosa e papà doveva scrivere o doveva partire”.
Ecco allora La santa ndrangheta. Da violenta a contesa, scritto da una sociologa che ha fatto della ricerca criminologica la sua attività prevalente.
«Quello che ne La ‘Santa’ Violenta era indagine, – afferma la criminologa – è diventato sentenza. Quello che era intuizione è diventato analisi. Quello che era rischio è diventato spesso realtà. La natura della ’ndrangheta, i suoi riti, le sue trasformazioni, da un lato. La società, la politica, l’economia calabrese dall’altro. Le connessioni, le zone grigie, l’informalità dei rapporti semi-legali e semi-illegali, al centro. Sembra cambiato tanto eppure non sembra essere cambiato molto in 30 anni. Se non, forse, solo un elemento, distinguibile allora per tutti, più complesso da decifrare oggi: la violenza. La Santa, la ’ndrangheta, non sembra più violenta. Le storie di ’ndrangheta e di ferocia, di faide e di sequestri e di vittime innocenti, sembrano essere storie di un tempo passato».
Ma se la Santa non è più violenta, negli ultimi trent’anni, cosa è diventata?
Anna Sergi è impietosa, anche se ci spiega il tutto con un sorriso disarmante: «La Santa è diventata, tra le altre cose, una Santa “contesa”. Ecco perché a distanza di 30 anni, ho ritenuto non solo opportuno ma necessario ripubblicare il testo integrale de La ‘Santa’ violenta. Le informazioni, la cronaca e l’analisi su questo fenomeno non hanno mai smesso di popolare i giornali, i libri, e la curiosità di molti. Ma la storia scritta in diretta, come quella di molte pagine in questo libro, è un’altra cosa».
A Londra oggi Anna Sergi è diventata un punto di riferimento per gli studiosi della criminologia internazionale, e già un suo libro precedente, ‘Ndrangheta. Le dimensioni locali della più potente mafia italiana, scritto nel 2016 con Anita Lavorgna (Palgrave Pivot Serie, London–New York: Palgrave Macmillan) aveva fortemente appassionato la critica specializzata, oltre che i suoi studenti, proprio per la chiarezza e il rigore con cui la professoressa italiana ha saputo spiegare ai londinesi il “mito”, il “fascino negativo”, e le “dimensioni reali” del crimine calabrese. Ma soprattutto la straordinaria leggenda del “male aspromontano”.
«E poi c’era l’Aspromonte, la bellissima montagna che per noi era casa dei nonni. Dove succedevano «cose», ma non sempre le capivo, dove ho trascorso estati bellissime e annoiate, senza la minima percezione di quello che intorno stava accadendo. Se non in certe domande nervose di mia madre al telefono la sera o negli sguardi inquisitori di mia nonna se rientravamo tardi. Era tutto antico e calmo in Aspromonte, in quegli anni per me. E d’inverno Cosenza era lontana dal rumore della ’ndrangheta. Che invece, forse, assordava qualcuno giù a Reggio, proprio laggiù in Aspromonte. Ero bambina, si, durante gli ultimi anni dei sequestri. Cesare Casella e sua madre Angela, Mamma Coraggio, me li ricordo come un sogno alla tv. Ma me li ricordo».
Anna Sergi è figlia d’arte in tutti i sensi, e come suo padre anche lei impastata di malinconia e angoli di solitudine che sono di tutti noi, emigrati chissà dove.
Suo padre, Pantaleone Sergi, giornalista e scrittore, è stato per 30 anni ha lavorato per “La Repubblica”. Come “inviato speciale” del quotidiano romano, diretto prima da Eugenio Scalfari e poi dopo da Ezio Mauro, direttori a cui Sergi faceva diretto riferimento, ha raccontato 30 anni di fatti di cronaca, senza mai una pausa, giorno per giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, dai sequestri di persona ai primi maxi processi per mafia, dalle inchieste più scottanti sulla politica alle prime novità che il Sud del Paese aveva da raccontare a chi invece preferiva continuare a relegare le regioni più povere nello storico dimenticatoio di sempre. Cronista e scrittore a 360 gradi, per giunta impietoso, coraggioso, incapace di piaggerie o peggio ancora di ipocrisie professionali, scontroso, arrogante, a tratti anche saccente, refrattario al potere, e nemico dichiarato delle lobby.
Ieri suo padre, oggi lei, la figlia Anna. E mentre suo padre, Pantaleone, arrivato il momento della pensione riscopre una sua seconda giovinezza, da trascorrere tutta intera nelle biblioteche dell’America Latina per ricostruire la storia della stampa italiana tra Otto e Novecento, e le mille vicissitudini dei giornalisti che per primi si cimentarono nel racconto delle migrazioni italiane in Sud America, la figlia Anna invece sceglie oggi il terreno della ricerca e dell’analisi su un fenomeno, quello della ndrangheta, che suo padre ha raccontato per anni in maniera davvero magistrale e asettica come nessun altro aveva mai fatto prima di lui.
Padre e figlia, oggi sono invece l’immagine reale della continuità assoluta di una professione e di un mestiere, quello dell’inviato speciale, che spesso e volentieri per forza di cose finisce con l’invadere e con l’occupare i piani della ricerca scientifica e dell’analisi sociologica.
«La ’ndrangheta – commenta lo storico Enzo Ciconte nella prefazione al libro – è uno strano soggetto criminale ancora tutto da scoprire, e le informazioni che si possono ricavare dalle carte giudiziarie sono a volte ambivalenti e non del tutto esaustive.
Anna Sergi ha le sue convinzioni e le esprime con la chiarezza e la precisione di una giovane studiosa che, per la sua esperienza personale di studi e di percorso formativo, ha uno sguardo locale e globale, esattamente come è l’oggetto del suo scritto: la ’ndrangheta glocale, l’ultima trasformazione di questa mafia antica e moderna, dai tratti ancestrali e selvaggi, con cui, purtroppo, ancora i conti – e gli studi! – non sono chiusi. E questo libro è un buon lasciapassare per intraprendere questo viaggio che, è bene saperlo, è ancora lungo».
Per la studiosa calabrese è l’ennesimo riconoscimento professionale. Anna Sergi oggi è Vicedirettore del Centro di Criminologia all’Università di Essex. Dopo aver completato la laurea quinquennale in giurisprudenza in Italia, all'Università di Bologna nel 2009, laureandosi con il massimo dei voti (cum laude) in Procedura Penale Internazionale ed europea, finisce a Londra per un “Master of Law” (LL. M.) in Diritto Penale, più esattamente Criminologia e Diritto Penale, al King College, di Londra.
Una volta chiuso brillantemente il suo Master inizia a lavorare nel settore privato per un anno, prima come stagista presso il “Dipartimento Forensics e Riciclaggio di denaro” di Pricewaterhouse Coopers a Milano, e subito dopo sbarca all’Ufficio Legale di Withers LLP a Londra. Nel 2014 consegue un PhD in Sociologia, con specializzazione in Criminologia, presso il Dipartimento di Sociologia dell'Università di Essex, dove si specializza in Ricerca e Analisi dei grandi fenomeni di criminalità organizzata nel mondo, ma l’occasione è quella giusta anche per specializzarsi in Diritto Penale Comparato. Per Anna Sergi sono gli anni delle prime pubblicazioni importanti, e i suoi primi lavori finiscono sulle riviste più prestigiose di criminologia internazionale.
Alla fine, nel settembre 2015, corona il suo sogno, diventa docente di criminologia presso la stessa l'Università di Essex, e qualche mese più tardi viene chiamata come consulente all’Australian Institute of Criminology di Canberra, e subito dopo, come se tutto questo già non bastasse da solo a dare l’idea del suo spessore culturale, ad Adelaide come Research Fellow presso la Flinders Law School.
Una carriera tutta di corsa, dunque, ma vissuta e costruita a migliaia di chilometri lontana da casa, tra uno scalo aereo e l’altro, tra un jet lag e un seminario internazionale, a diretto contatto, sempre e comunque, con il fior fiore della Giurisprudenza penale internazionale e della Sociologia.
La cosa che oggi di lei ci colpisce di più è vederla seduta alla sua scrivania in questo austero Dipartimento dell’Università londinese mentre scrive la relazione che dovrà tenere in uno dei tanti Congressi Internazionali dove è stata invitata a parlare di Mafia, o meglio di Mafie: scopriamo che scrive velocissimamente ma solo in inglese, e quando glielo facciamo notare si schermisce con questo suo sorriso magnetico quasi scusandosi: «Si è vero, ormai scrivo solo in inglese, ma penso anche in inglese, e purtroppo ho anche qualche difficoltà ora a scrivere correntemente in italiano».