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Guascone e poeta insieme, in tutti i sensi. 76 anni meravigliosamente ben portati. Arrogante, ma solo apparentemente, con questo suo sorriso invece eternamente pronto a rendergli giustizia, sempre e comunque, accattivante nei modi, ammaliante e avvolgente nella maniera per come ti saluta e ti tende le braccia, sia con gli uomini che con le donne, i baffi sempre ben curati, rigorosamente neri corvino come i capelli sempre ben fatti, e la smorfia beffarda di chi non ha paura di nessuno.
Eccolo “The King”, il solo vero re ancora rimasto dei famosi paparazzi romani. Ma lui si schermisce: “So che studiano le mie fotografie in ogni parte del mondo, e leggo che ho raccontato con le mie immagini 50 anni di storia repubblicana, ma non me ne sono reso conto francamente. Certo mi fa piacere, ma la vita continua”.
Sempre molto elegante, perfettamente impeccabile e a suo agio, il colletto della camicia bianca misteriosamente inamidato anche alle tre del mattino dopo ore e ore di appostamenti e di lavoro, mai senza polsini, con una collezione ostentata di giacche firmate da fare invidia a chiunque, e a volte anche mal portate per nasconderci dentro le sue macchine fotografiche. Mai una piega, o peggio ancora mai una macchia di caffè sul davanti, i pantaloni ampi e morbidissimi tenuti appesi da bretelle sempre nuove e dai colori sgargianti, fisicamente alto, possente, l’andatura dinoccolata e ciondolante, a tratti bullo, altre volte fanfarone, bohemienne di grande fascino, mai pesante, mai debordante, mai insolente. Con la classe innata di un principe decaduto, e a tratti anche sprezzante e sbruffone, con questo suo sguardo fiero e spaccone di chi sa di essere il primo della classe, eccentrico e spavaldo quanto basta per affrontare e superare gli ostacoli più complicati della vita. E soprattutto – confessa - “visceralmente calabrese”.
-Rino, se io ti dico “Limbadi”, e ti chiedo di collegare Limbadi ad un solo nome, chi ti viene in mente per primo?
“Uno per tutti, Nino Redi. Un pezzo fondamentale della mia vita passata, ma anche quella presente, e spero ancora di quella futura. Nessun dubbio, Nino Redi”.
Il grande Rino Barillari è dunque tutto questo insieme, e molto altro ancora.
Per Oliviero Toscani, il grande fotografo milanese che firma la prefazione del bellissimo libro che le Edizioni Sabinae hanno dedicato in questi mesi a Rino ,“The king”, lo storico re dei fotografi di strada, questo calabrese scapestrato e brillante che il mondo ci invidia se non altro per la sua arte rimarrà comunque una icona per sempre.
“I suoi scatti sul mondo, dice di lui Oliviero Toscani, ( titolo del libro “Rino Barillari. Il re dei paparazzi”, edizione italiana e inglese), raccontano con evidenza e sintesi una società che cambia e che non vuole prendersi sul serio, anche quando diventa tragica”.
Le foto di Rino Barillari -da poco esposte nella Sala delle Pietre a Todi- sono diventate, negli anni poi, in realtà il più grande archivio moderno del mondo del cinema. Un archivio che racchiude conserva e racconta per immagini la bellezza e il successo di personaggi famosi come Liz Taylor, Ingrid Bergman, Jacqueline Kennedy, Barbra Streisand, Brigitte Bardot, Ava Gardner, Silvana Pampanini, Virna Lisi. E poi ancora, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Marlon Brando, Vittorio Gassmann, Anna Magnani, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi. Ma non potevano mancare i Beatles, Robert De Niro, Sylvester Stallone, Al Pacino, Francis Ford Coppola, Michael Jackson, Demi Moore, Angelina Jolie, Elton John, Matt Damon, Madonna, Maradona e Lady Gaga.
-Che rapporto aveva Rino Barillari i con tutti questi personaggi del Jet set internazionale?
“Vedi, il personaggio famoso è come un parente, tu gli devi portare sempre rispetto. È così che anche tu alla fine continui a lavorare bene e senza problemi. Se lo distruggi, è finita anche per te. Con Marcello Mastroianni, ad esempio, abbiamo litigato mille volte, ma ci siamo sempre sopportati, perdonati, accettati per come eravamo. Ma insieme però abbiamo anche fatto cose bellissime. I grandi leader politici di quegli anni li ho fotografati praticamente tutti. Cossiga, Leone, Saragat, Andreotti che mi faceva sempre dei regali. Anche lì, ti accorgevi subito dei talenti. Quelli che ti trattavano male erano quasi tutti uomini senza storie da raccontare”.
-Che effetto ti fa oggi essere indicato come una “leggenda” del mondo della fotografia?
“Nessuna leggenda, ti prego. Ma non lo vedi con quanta semplicità io vivo ogni giorno la mia vita? Certo, tutto questo mi fa piacere, e mi aiuta ad andare avanti. Io ho fotografato Roma e le sue mille vite come forse nessun altro lo ha fatto prima. Roma in questi 50 anni è stata una città capitale in perenne movimento, e questo ha cambiato anche i miei ritmi e ha stravolto la mia vita professionale. Poi mi sento chiamare il “The king of paparazzi” e dopo quasi 60 anni di attività mi ritrovo dedicate decine di mostre sui miei scatti, come quella al Maxxi di Roma, recentissima. Addirittura, mi hanno dedicato un docu-film, entrambi i due eventi firmati da Massimo Spano e Giancarlo Scarchilli. E poi mi capita di leggere che le mie foto sono diventate immagini simbolo della storia italiana, che sono il fotoreporter più famoso al mondo, e che ho fotografato, con occhio da artista e da cronista, 50 anni di storia d’Italia. Mi studiano ovunque, persino in Cina. Che vuoi che ti dica? Forse il mio destino era questo, chi lo sa? Mai prendersi troppo sul serio comunque. Certo, in tempi di selfie e tormentoni, un po’ di orgoglio te lo puoi concedere e semmai perdonare”.”
-A chi devi tutto questo?
“A grandi fotografi, a quelli da cui ho imparato il mestiere, uomini come Marcello Geppetti e Tazio Secchiaroli, Ivan Kroscenko, Paolo Pavia, Antonio Tridici, Carlo Riccardi, Mario De Renzis, Luciano Di Bacco, gente seria, corretta, generosa, compagni di lavoro per niente gelosi. Esempi indimenticabili, da seguire, da imitare, da studiare. Tazio Secchiaroli era il fotografo che ispirò il personaggio de “La dolce vita”, il “Paparazzo” appunto, da cui venne poi fuori il nome di tutti quelli che come me fanno questo mestiere. Confesso, io non sarei mai diventato un fotografo se non lo avessi incontrato. Mi ha insegnato quello che c’era da imparare, mi ha trasferito i trucchi del mestiere, e una grande passione per la fotografia, e da lui ho imparato soprattutto a “rubare” lo scatto giusto. È stato lui a insegnarmi come fare una foto senza farsene accorgere dal personaggio inquadrato. Un vero e proprio blitz, ma elegante, riservato e quasi mai inopportuno o invasivo”
-Come nasceva uno scoop?
“A volte per caso, altre volte perché noi lo preparavamo con cura e con grande attenzione. Marcello Geppetti, oggi può essere considerato una sorta di “papà” di tutti i fotografi della generazione successiva agli anni ’60. Era uno con un grande bagaglio di esperienza giornalistica, fondamentale per capire i personaggi che si vedevano in giro per Roma. È stato lui a insegnarmi come costruire uno scoop. Quando Geppetti faceva una foto sapevi già prima che sarebbe stato uno scoop. Con Marcello giravamo insieme, io andavo in avanscoperta a provocare il personaggio e lui, dietro di me, scattava le foto. Mi insegnò soprattutto che una fotografia da sola non era mai sufficiente. La foto dovevi legarla a una storia, e la storia la trovavi spesso ricorrendo ad una provocazione. Spesso il personaggio che avevamo puntato non ci stava ad essere fotografato, e tu invece scattavi lo stesso, lui si irritava e tu continuavi a fare delle foto, cinque o sei foto, ed ecco fatto, alla fine riuscivi a portare a casa un servizio da prima pagina”.
-È vero che c’erano foto e personaggi per i quali certi giornali pagavano cifre altissime?
“Eccome. Se a un giornale portavi quello che cercava tu riuscivi a guadagnare tantissimi soldi. Ricordo di aver venduto a prezzi molto alti le foto di Lady D., del Papa, di Liz Taylor. Ma forse il colpo più grosso l’ho fatto con la foto del “figlio segreto di Soraya”. Lei, prima di morire aveva espresso il desiderio di adottare il “figlio segreto”, e che i grandi giornali avrebbero pagato a peso d’oro. E allora mi sono detto “troviamolo”.
-In realtà si trattò di un falso scoop però?
“Si è vero, una situazione davvero assurda. Decido di provarci. Prendo allora mio figlio, ancora un bambino, lo porto al mare, lo fotografo, poi in sede di sviluppo e di stampa opero una sfocatura sugli occhi e sul viso, in modo che nessuno potesse riconoscerlo e mando la foto ai settimanali. Chiamo i direttori e dico semplicemente “Secondo le mie fonti questo è il figlio segreto di Soraya”. Abboccano tutti, pubblicano e mi pagano. Solo che un giorno mia suocera, mentre sta dal parrucchiere, sfoglia la rivista e riconosce mio figlio. Poveri noi. Non puoi capire il finimondo che è successo. Alla fine, sono stato costretto a riconoscere che c’era stato un errore, e che la foto che avevo inviato era quella sbagliata. Ma ormai il danno era fatto”.
-Qual è stato invece il tuo primo vero scoop importante?
“Il primo servizio importante della mia carriera lo feci fotografando Irma Capece Minutolo, famosissima cantante lirica e attrice, compagna di Re Faruq d’Egitto. Ma ciò che mi fece diventare un personaggio da copertina fu invece la rissa in Via Veneto con Peter O’Toole. Quella sera lui aveva bevuto e non digerì in nessun modo il fatto che io lo avessi fotografato con accanto una donna che lui non voleva venisse ripresa con lui. Mi diede un pugno in faccia e mi fece finire in Pronto Soccorso. Fu necessario chiudere la ferita che mi aveva provocato con dei punti chirurgici”.
-Come andò a finire poi?
“Io allora ero ancora minorenne e mio padre sporse denuncia”
-Ma è vero che per quella lite guadagnasti tanti soldi?
“Da Peter O’Toole, con cui feci pace tre anni dopo, ebbi un milione di lire di risarcimento, forse la somma più alta mai ottenuta da un paparazzo. Intendo dire nel mondo, non in Italia”.
-È vero che nel tuo archivio privato, accanto al nome dei Vip incontrati, hai segnato in evidenza anche il luogo e l’ora dove li hai fotografati?
“Non è facile fare il mio mestiere. Per farlo bene devi essere sempre preciso fino all’inverosimile, e devi essere sempre in grado di ricordare e ricostruire in maniera dettagliatissima e impeccabile i tuoi incontri e i tuoi scatti proibiti.
-Mi fai un esempio?
“Nessun esempio, vieni ti faccio vedere le mie note di lavoro. Vedi? Frank Sinatra, in Via Veneto al Café de Paris, Charles Aznavour in Via dei Condotti, l'astronauta americano Buzz Aldrin alla "Cabala" Osteria dell'Orso, il marito di Brigitte Bardot Gunter Sachs von Opel presso Villa Pavesi a Genzano, Alfredo Bini con la top model Daniela Juan presso "Papè Satan" in via Tacito, Mickey Hargitay con la top Model Vatussa Vitta, Sonia Romanoff, Franco Nero a Fontana di Trevi, Elizabeth Taylor alla "Cabala", Barbra Streisand in via dei Condotti, Mickey Rourke a Fregene, Claudia Schiffer “dal Bolognese”, Sylvester Stallone con la fidanzata Jennifer Flavin al ristorante "Alfredo all'Agusteo", Mario d'Urso e Margaret d'Inghilterra al "Jackie'O", Bruce Willis ai “Due Ladroni” in piazza Nicosia, e mille altri ancora. Hai capito ora perchè studiano Rino Barillari anche nelle università straniere più prestigiose del mondo?”
-Qual è oggi il ricordo più triste che ti porti dentro?
“Forse la notte del 18 agosto 1966. Ero alla "La Bussola" di Viareggio dove si esibivano Charles Aznavour e Amália Rodrigues. All'alba del giorno successivo nei pressi di Altopascio, rimasi seriamente ferito in un incidente stradale. Con me a bordo viaggiavano altre due persone, e una di queste, il cantante Roby Ferrante, perse la vita. Fu davvero una esperienza traumatizzante e forte, che mi porto dentro da allora”.
-Quante volte Rino Barillari è stato picchiato? E quante macchine fotografiche gli hanno distrutto?
“Ora non sorridere, ma in più di cinquant'anni di carriera ho subito 162 ricoveri al pronto soccorso, 11 costole rotte, 1 coltellata, 76 macchine fotografiche fracassate, 40 flash divelti, e centinaia di manganellate negli anni del terrorismo soprattutto, quando avevo incominciato a seguire anche i vari tumulti di piazza. Il ‘68 in Italia fu molto violento rispetto ad altri paesi stranieri, e io lo raccontai in maniera fedele e rigorosa. Oggi le mie foto di quegli anni sono veri e propri pezzi di storia, almeno così scrivono di me i grandi critici e gli storici moderni. Alla fine, leggendo tutto quello che hanno scritto di me, mi sono convinto di essere stato un uomo fortunato e di aver vissuto una bellissima stagione della mia vita”.
-Ma che farà da grande “The King”?
“Intanto quattro anni fa mi sono sposato per la seconda volta, e mi sto godendo questo grande vecchio amore. Che si chiama Antonella Mastrosanti, lei è una giornalista, bellissima e soprattutto bravissima. È un amore puro che condivido con l’amore immenso che ho per i miei due figli Alessia e Roberto, frutto del mio primo matrimonio. Il futuro? Non so cosa risponderti. So solo che continuo a lavorare come prima, con la stessa passione e la stessa voglia di dare la caccia ai grandi personaggi del momento e ai grandi fatti di cronaca. Ma questa è l’unica cosa che so fare. Te lo immagini tu Rino Barillari che se ne sta chiuso casa, ad aspettare che faccia notte e poi ridiventi giorno di nuovo? No! Sorry”
È tutto questo che fa oggi di Rino Barillari una leggenda vivente del giornalismo internazionale.
Oliviero Toscani aggiunge al suo racconto altra carne al fuoco: “Il paparazzo- dice- è un’invenzione, anzi, una constatazione felliniana, che è diventata una ricchezza nazionale, una risorsa esportata da tutti i media in tutto il mondo della comunicazione moderna. Rino Barillari, fra passato e futuro, è quindi una risorsa mondiale: da anni documenta gli avvenimenti, gli eventi, le storie e le situazioni di vip e semi-vip che animano la città eterna, e che saranno eternamente gossip. La sua instancabile dedizione, testardaggine, insistenza e velocità di esecuzione gli hanno permesso, attraverso oltre 500.000 immagini prodotte in sessanta anni di carriera, di svelare la memoria storica di una certa umanità – e disumanità – che la interpreta e la vive”.
Insomma, la consacrazione ufficiale della sua vita di fotografo di strada.