Salvini, il leader di lotta e di governo
Un ritratto del capo del Carroccio.
di Mimmo Del Giudice
Giovedì 22 Aprile 2021
Roma - 22 apr 2021 (Prima Pagina News)
Un ritratto del capo del Carroccio.
C’era una volta un papà benestante il quale si rivolse al potente del paese in cui viveva per chiedergli un aiutino per il figlio maggiorenne che aveva bisogno di trovare un lavoro. Il boss gli domandò: cosa sa fare tuo figlio? Il benestante rispose: niente. Non ha nemmeno un titolo di studio. E il boss: allora può fare il giornalista.

La favola finisce qui. A onor del vero, non è affatto vero che per fare il giornalista non bisogna saper fare nulla. Come non è esatto dire che non bisogna avere alcun titolo di studio. Più corretto è puntualizzare che non occorre un particolare titolo di studio perché una norma della costituzione (art.21) stabilisce la libertà di stampa.

Ma con l’istituzione dell’ordine dei giornalisti (legge Gonella del 1963) occorre fare un esame di stato. Al quale si accede dopo aver frequentato una scuola di giornalismo oppure fatto il praticantato in un giornale per 18 mesi. La favola introduttiva e la precisazione vogliono essere la premessa a un ritratto del leader della Lega Matteo Salvini, il capo di un partito che nacque con intenzioni che si potrebbero definire insurrezionali. Infatti si chiamava Lega Nord per la secessione della Padania. E il suo fondatore, Umberto Bossi, sbandierava un giorno sì e un altro pure che la Padania si doveva staccare dall’Italia, il Paese la cui capitale veniva definita “Roma ladrona”.

Poi gli fu spiegato che la secessione è un reato e la parola venne sostituita con il termine “indipendenza”. Infine, con l’ intento di estendere la raccolta voti in tutta Italia si è giunti a soltanto un termine bisillabo, Lega. Salvini, milanese, 48 anni, è giornalista professionista dal 27 luglio 2003. Ha fatto il praticantato al giornale del partito La Padania, un quotidiano che riportava gli interventi in Parlamento e i discorsi di deputati e senatori leghisti e qualche notizia delle agenzie di stampa.

Poi è passato a Radio Padania Libera e ne è diventato il direttore. Insomma come giornalista non pare che si sia dato molto da fare e abbia lasciato ricordi significativi, ma ha fatto una bella carriera. Molto più interessante la sua attività politica. Ha fatto per diversi anni la gavetta come consigliere comunale nella città della Madonnina.

Poi è giunta l’ora di varcare i confini del Paese e approdare a Strasburgo. Dove si è trovato un ottimo stipendio, un lavoro tranquillo e qualche collega “rivoluzionario” come lui. Con il quale ha cercato di minare le basi della Unione Europea e il suo fiore all’occhiello, l’euro. Insomma pare che si sarebbe dato molto da fare ma di risultati concreti si sono visti pochi, anzi nessuno.


Tutto è cambiato quando ha deciso di rientrare in Italia e sbarcare a Roma per accomodarsi nei banchi di Montecitorio e Palazzo Madama. E’ stato soprattutto nella Camera Alta dove Salvini si è subito distinto prima nelle file dell’opposizione ai governi di centrosinistra e poi, finalmente nel governo cosiddetto gialloverde, composto dalla squadra da lui capeggiata e dai grillini dell’allora capo politico Luigi Di Maio.

Un gruppone di governanti pretenziosi e di belle speranze alla cui testa, dopo un lungo tira e molla, viene posto, anzi imposto, un avvocato e docente universitario pugliese con un ambizioso curriculum un po’ chiacchierato, Giuseppe Conte. Questi, in barba alla Costituzione, prendeva ordini soltanto dai suoi due vice, il pentastellato Luigi Di Maio e, appunto, l’ormai supernavigato Matteo Salvini.

Il quale stavolta si è davvero dato molto da fare e ha fatto tanto per sé e anche per i suoi colleghi ministri soprattutto per bloccare lo sbarco di quei disgraziati di migranti, tra cui donne incinte e bambini, che cercavano un porto sicuro per smaltire fame e sofferenze patite nei luoghi da cui provenivano. Sbandierando ai quattro venti che il suo compito era di salvaguardare i confini del nostro stivale, l’instancabile leader leghista ha tanto fatto e tanto detto che ora rischia un bel processo per sequestro di persone.


Ma egli non si scompone. Adesso non è più all’opposizione. Fa parte di quella larga maggioranza parlamentare che ha espresso la fiducia al governo dell’ex presidente della Bce Mario Draghi. Egli non dirige alcun ministero, ma come leader di un partito di governo si ritiene in dovere, anzi in diritto, di dire e fare. Quasi vorrebbe che Draghi si comportasse come l’ex premier “Giuseppi”.

E lo incalza, lo provoca arrivando a imporre al suo “portavoce” a Palazzo Chigi, il ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, di fare dietrofront e astenersi sul decreto che apre uno spiraglio sulle chiusure imposte dalla epidemia del covid. Così facendo spazientisce il molto paziente Draghi e fa saltare la sintonia della maggioranza su cui contava il premier.

Ecco il Salvini di lotta e di governo. Quasi a voler dimostrare che si sente già nella fase preparatoria alla realizzazione di quel sogno che non dice ma a cui pensa da tanto. Cioè che presto toccherà a lui sedere nell’agognata poltronissima di “primario” a Palazzo Chigi. E sobbarcarsi l’arduo compito di far grande quell’Italietta che tanto disprezzavano i suoi precursori.

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