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Intervista al Prof. Ing. Marco Petrangeli che ci racconta il progetto dell’arco della Pace: una sfida tecnica, sostenibile e urbana nata per connettere infrastrutture e comunità.
Intervista al Prof. Ing. Marco Petrangeli che ci racconta il progetto dell’arco della Pace: una sfida tecnica, sostenibile e urbana nata per connettere infrastrutture e comunità.
Nel cuore del quadrante est di Roma, una nuova infrastruttura ha ridisegnato la mobilità e il paesaggio urbano: il Ponte di Tor Vergata, noto anche come Arco della Pace. Progettato da Marco Petrangeli, uno dei massimi esperti italiani nella progettazione di ponti e grandi strutture, il ponte non è solo un collegamento viario, ma un vero e proprio simbolo architettonico. In questa intervista esclusiva, Petrangeli racconta l’idea progettuale, le difficoltà tecniche, le scelte sostenibili e il significato urbanistico dell’opera. Un racconto tecnico ma umano, che mette in luce l'importanza dell'ingegneria civile nel migliorare la vita quotidiana e rigenerare le periferie.
Qual è stata l’idea progettuale che ha guidato la realizzazione del ponte di Tor Vergata e quale significato ha per il quartiere?
Il ponte sorge dove era già previsto e parzialmente realizzato il nuovo attraversamento. Era una classica travata, su 4 appoggi, le due pile centrali sorgevano, parzialmente realizzate, tra l’asse principale e le contro strade. In questi casi intervenire per demolire e rifare le pile in quella posizione è fortemente sconsigliato, abbiamo deciso di optare per una luce unica, grande ma non grandissima, qualcosa che non costasse troppo insomma. Si è potuto riutilizzare le spalle esistenti adeguandole, e tra le due ovviamente un salto, un arco in cielo ed una catena a chiudere le spinte, il classico bow string che abbiamo affinato nel corso degli anni. Questo infatti è il quarto realizzato e collaudato in Italia negli ultimi 10 anni, uno in provincia di Ferrara, Bondeno, poi i due grandi archi sul Ticino a Vigevano, poi il bellissimo ponte ad Imperia sul Prino ed ora questo, che fa tesoro delle precedenti esperienze ponendosi al vertice della ottimizzazione strutturale ed architettonica.
Al quartiere abbiamo voluto donare un simbolo oltre che un’opera funzionale. Le periferie hanno tanti svantaggi ma senz’altro il vantaggio di poter osare nel realizzare opere belle e tecnologicamente all’avanguardia.
Durante il processo di progettazione e costruzione, quali sono state le principali sfide tecniche e come sono state superate?
Il ponte come detto è un classico bow string, ovvero arco a spinta eliminata. Il tipo di struttura è abbastanza collaudata.
La vera sfida sono stati i tempi, non si è potuto preassemblare il ponte in officina, l’assemblaggio è stato fatto in cantiere e ci sono stati ovviamente degli aggiustamenti da fare, anche importanti. Tutto questo è stato condotto mentre si cercava di ottenere la geometria indeformata che avrebbe permesso al ponte di essere messo in esercizio senza ulteriori aggiustamenti geometrici o ritiro dei pendini, a fine varo.
Una volta messo in geometria e saldato, il ponte è stato spinto utilizzando le vecchie pile come appoggi provvisori senza interferire quindi con la sede autostradale. Una prima spinta, circa 20 metri, è stata necessaria per avere spazio in coda per finire di assemblare il ponte: dopo ulteriori 2 mesi di lavori in 2 notti l’opera è stata quindi spinta nella sua posizione definitiva.
La sostenibilità è oggi un tema centrale in ogni opera pubblica: in che modo questo ponte risponde a criteri di sostenibilità ambientale e innovazione?
La sostenibilità è innanzitutto ottimizzazione delle risorse. La sostenibilità ambientale del ponte è la sua efficienza in termini di costi-benefici, lato costi noi progettisti abbiamo fatto quello che ci competeva. Un’opera bella, snella, leggera che richiede il minimo di calcestruzzo ed acciaio.
Dal punto di vista urbanistico e della mobilità, quali cambiamenti concreti porterà il ponte nella vita quotidiana dei cittadini della zona?
Questa è una domanda che deve rivolgere ad altri componenti dell’imponente gruppo di lavoro che è dietro a questo progetto. Per sviluppare un progetto di queste dimensioni in circa 6 mesi si devono coinvolgere in parallelo una serie di professionalità ad ampio spettro. Insieme alla Integra, mandataria e responsabile del ponte, che ha impiegato una squadra di strutturisti coordinata dall’Ing. Luca Gasperoni, hanno lavorato ingegneri ed architetti della Vams, capitanata dall’Ing. Niccolo Saraca, e gli altrettanto forti professionisti della React, guidati dall’arch. Francesco Azzopardi e dall’Ing. Davide Presta.
L’inaugurazione di un’opera pubblica è sempre un momento simbolico: che sensazioni ha provato nel vedere il progetto completato e restituito alla città?
Siamo ovviamente contenti di vedere che l’opera realizzata entra subito in esercizio senza perdite di tempo. Le inaugurazioni in Italia tendono ad essere sempre un po’ affollate, quella di oggi mi è parsa composta e ben organizzata. Forse in questi eventi si dovrebbe dare maggiore evidenza a progettisti ed imprese che hanno concorso materialmente a ideare e realizzare l’opera.