Eccellenze Italiane. Trame Festival, Anna Sergi con “L’inferno ammobiliato”, un evento letterario

Venerdì prossimo,21 giugno, il lancio ufficiale dell’ultimo saggio della criminologa calabrese Anna Sergi, professoressa all’Università di Essex, nel Regno Unito, e studiosa di altissimo profilo scientifico della criminalità organizzata e delle sue proiezioni internazionali.

di Pino Nano
Lunedì 17 Giugno 2024
Catanzaro - 17 giu 2024 (Prima Pagina News)

Venerdì prossimo,21 giugno, il lancio ufficiale dell’ultimo saggio della criminologa calabrese Anna Sergi, professoressa all’Università di Essex, nel Regno Unito, e studiosa di altissimo profilo scientifico della criminalità organizzata e delle sue proiezioni internazionali.

“A nonna Mimma, per sempre nella nostra Montagna. E’ dedicato alla nonna Mimma questo nuovo lavoro di Anna Sergi,“L’inferno ammobiliato: di ‘ndrangheta, di memorie e di Calabria” (170 pagine, Edizioni Blonk),che è assolutamente un momento narrativo di alto spessore, alternato alla solidità di una ricerca e di una conoscenza del mondo organizzato del crimine fuori dal comune, e che riconferma il peso specifico del lavoro accademico di questa giovane intellettuale calabrese emigrata da anni a Londra. La premessa al volume è una vera e propria lezione di deontologia professionale per chi come noi fa il giornalista per mestiere: “Alcuni dei fatti raccontati in questo libro -precisa la studiosa- fanno riferimento a indagini e/o processi attualmente in corso. Le persone citate sono quindi da ritenersi non colpevoli fino al terzo grado di giudizio della Suprema Corte di Cassazione”.

 

“Scrivendo questo libro, Anna Sergi -chiarisce nella prefazione che fa Enzo Ciconte- non solo ha aggiunto un altro titolo ai suoi tanti saggi, ma ha superato sé stessa perché è un testo davvero unico nel suo genere. Esso mescola generi diversi di scrittura e di lettura. Procede in modo inusuale con un ritmo particolare, ponendo domande, a volte retoriche, a volte taglienti, altre spiazzanti, altre ancora che aprono uno squarcio impensabile”.

 

Il lancio ufficiale del volume, in prima nazionale, avverrà nella prestigiosa cornice del “Festival Trame” di Lamezia Terme il prossimo 21 giugno, ma già oggi il saggio si preannuncia come un vero e proprio evento letterario.

 

“La ‘ndrangheta -spiega Anna Sergi- viene spesso indicata come il primo nemico dei calabresi. Eppure, bisogna riconoscere che proprio in Calabria nella forzosa convivenza della popolazione con la ‘ndrangheta spesso di quest’ultima non si percepiscono le vessazioni, non se ne avverte l’oppressione. Se la Calabria è l’inferno della ‘ndrangheta, molti calabresi hanno imparato ad ammobiliare l’inferno, per usare una felice espressione del sociologo Alessandro Pizzorno. Vi sono insomma luoghi in Calabria dove il “rumore” della ‘ndrangheta non perviene, dove si tenta disperatamente di “abbellire” – ammobiliandola – la propria necessaria convivenza con violenza, degrado, sopraffazione. E questi luoghi vanno ricordati, raccontati e analizzati nella loro complessa relazione con questa mafia onnipresente”.

 

Anna Sergi, professoressa ordinaria di Criminologia all’Università di Essex (Regno Unito), in questo libro -la prefazione è di Enzo Ciconte- in realtà fonde la sua infanzia di bambina e ragazza nata e cresciuta in Aspromonte con il profilo di ricercatrice di alto livello che l’ha poi portata in giro per il mondo a pubblicare quelle che sono ritenute tra le più importanti ricerche sul fenomeno della ‘ndrangheta sia in Italia sia all’estero. La studiosa muove dalla considerazione che durante la sua infanzia, nel pieno della stagione dei sequestri di persona, la mala calabrese stava già salendo sul podio delle mafie internazionali, eppure ancora non faceva molto “rumore”.

 

Enzo Ciconte, che oggi viene considerato uno dei massimi interpreti e conoscitori del mondo della ndrangheta calabrese scrive di Anna Sergi cose molto belle: “Appena inizi a leggere le prime pagine di questo libro la sensazione è di avere in mano un romanzo; poi, man mano che t’inoltri nella lettura, avverti che il romanzo lascia il posto ad altro, ad una biografa molto particolare, “ad un libro di memorie sotto forma di auto-etnografa”, e poi ad altro ancora, a raffinate e sorprendenti analisi criminologiche e sociologiche per cercare di capire e di spiegare agli altri una terra, la Calabria, e un fenomeno mafioso, che lì è nato, è cresciuto e s’è fatto talmente forte da essere presente nel nord Italia e nelle lontane terre del Canada e dell’Australia: la ‘ndrangheta, che un tempo era una mafia sconosciuta ed ora è diventata debordante, al punto che ne parlano tutti e dappertutto. Un tempo “la ’ndrangheta era un ronzio di fondo, non un disturbo, ma una costante naturale, una di quelle cose che esistono e stanno là e fanno parte dell’arredamento”. Adesso non è più così, fa rumore. Tanto rumore”.

 

Da questa premessa scaturiscono complessi interrogativi di ricerca, ai quali l’autrice fornisce risposte non scontate, che sfidano stereotipi e visioni correnti. Si rievocano così ricordi di fatti ed eventi dai quali sono scaturiti interrogativi e domande inizialmente inespresse, ma che avrebbero poi indotto l’autrice, in qualità di ricercatrice e studiosa, a cercare di spiegare perché in Calabria – “anziché riconoscerlo come tale e combatterlo come molti si aspetterebbero – si continua tuttora ad ammobiliare l’inferno”.

 

C’è un passaggio della prefazione che ne fa Enzo Ciconte al libro che vale per tutto il resto, dove lui scrive: “Il libro è la storia della bimba, della fanciulla, dell’adolescente, della donna ricercatrice che scopre via via la ‘ndrangheta e la Calabria, e impara che certe cose non si debbono fare. Ad esempio, le è stato detto che mai avrebbe dovuto accettare un caffè pagato che è un’abitudine che esiste in Calabria ed in altre zone del Sud che consiste nel fatto che una persona entra in un bar a consumare un caffè, o qualsiasi altra cosa, e quando va alla cassa a pagare si sente dire “caffè pagato… Ma rifiutare un caffè pagato non è così semplice perché il rifiuto è un atto che può essere interpretato come un’offesa o una mancanza di rispetto. L’autrice racconta che spesso quando era in vacanza in Calabria si sentiva fare una domanda: “a cu apparteni?” E lei era costretta a recitare come un rosario i nomi dei parenti, i soprannomi per distinguerli dalle omonimie. Voglia di sapere con chi si ha a che fare, ma anche voglia di controllo”.

 

Storie comuni a ognuno di noi, e che oggi diventano saggio sociologico e antropologico insieme. Un libro forte questo di Anna Sergi, assolutamente nuovo rispetto a mille altre analisi sul tema, e certamente provocatorio e coraggioso. Ma le donne, si sa, hanno più coraggio di noi uomini quando scrivono di queste cose.


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