RAI Storia. La TV delle Regioni e Peppuccio Tornatore, una storia tutta italiana

Questo è un anno molto speciale per la RAI. Sono infatti 100 anni dalla nascita della radio e 70 dalla nascita della televisione. Un’occasione più rara che mai, e che non ha mai smesso di stimolare l’interesse e l’attenzione di giornalisti, autori televisivi critici e saggisti che da sempre studiamo il mondo della comunicazione radiotelevisiva.

di Pino Nano
Sabato 20 Aprile 2024
Roma - 20 apr 2024 (Prima Pagina News)

Questo è un anno molto speciale per la RAI. Sono infatti 100 anni dalla nascita della radio e 70 dalla nascita della televisione. Un’occasione più rara che mai, e che non ha mai smesso di stimolare l’interesse e l’attenzione di giornalisti, autori televisivi critici e saggisti che da sempre studiamo il mondo della comunicazione radiotelevisiva.

RAI Storia. La TV delle Regioni e Peppuccio Tornatore, una storia tutta italiana
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Francesca Scancarello, autrice della puntata di Storie della TV, ricorda qui la nascita della Terza Rete. “Sabato 15 dicembre 1979 alle 18:30 con la trasmissione Il Pollice prende il via la Terza Rete Rai che inizialmente trasmette per tre ore al giorno. A guidarne la programmazione è Giuseppe Rossini mentre alla direzione di Biagio Agnes e alla condirezione di Sandro Curzi, è affidato il Tg3 nazionale. In onda alle 19 con un’edizione di 15 minuti, è seguito dai 25 minuti del TgR, diretto sempre da Agnes e in replica alle 21”.

Ma cosa giustifica in Italia la nascita della Terza Rete?

Per Francesca Scancarello “La Terza Rete vuole essere strumento di comunicazione di quel decentramento contenuto nel dettato costituzionale che nel 1970 ha trovato attuazione nella nascita dell’istituto delle Regioni e si configura come risposta al proliferare delle tante TV private che la Corte Costituzionale, con la sentenza n.202 del luglio 1976, ha autorizzato a trasmettere. Un passaggio che di fatto ha ufficializzato una situazione già esistente tanto che una stima del Ministero delle Poste nel 1981 vede 676 emittenti televisive e 3353 radio private occupare l’etere”.

Ecco allora che la Terza Rete -racconta l’autrice del programma- “in quel momento cerca nuove voci in grado di raccontare le Regioni, intese come “giacimenti culturali” ed è la regista Lina Wertmuller, nella puntata d’esordio de Il Pollice, a fare un appello «ai giovani poeti che sono nei paesi, ai giovani scrittori, ai giornalisti aspiranti». La nuova rete Rai «è uno spazio che si può conquistare. Mandate davvero, mandate progetti».

Comincia così l’avventura di Giuseppe Tornatore, ben raccontata nel documentario andato in onda su RAI Storia- che nel 1980 alla sede Rai della Sicilia propone Il carretto, un documentario girato in Super8 dedicato al carretto siciliano che lo impegnato per cinque anni. Tramite l’escamotage del montaggio cinematografico Tornatore, ancora giovanissimo e agli esordi, vuole «dare l’idea che si sta costruendo un carretto che in realtà non esiste» e restituire la cultura e la realtà antropologica in cui questo mezzo da lavoro nasce e si sviluppa.

Ma nel frattempo, alla direzione della Sede regionale del Lazio arriva Angelo Guglielmi, che produce La verità non si dice mai (1986), un film dal sapore neorealistico ambientato in periferia che ha per protagonisti gli alunni di una scuola odontotecnica del quartiere Prenestino di Roma.  La regia del film è della programmista regista Maria Bosio che ne ha scritto la sceneggiatura con Ugo Pirro e Nico Garrone, il critico teatrale di Repubblica, insieme al quale ha proposto alla Terza Rete anche un documentario sul teatro d’avanguardia delle cantine romane degli anni Settanta.

“L’altro teatro (1981) -ricorda ancora Francesca Scancarello- racconta i primi anni di ricerche e sperimentazioni sceniche dei teatri La Fede, Beat ’72, la Maschera, Spazio Zero in cui muovono i primi passi Carmelo Bene, Leo De Berardinis ma anche Roberto Benigni e Carlo Verdone che per l’occasione ripropongono al Teatro Alberichino i loro primi spettacoli. In quel documentario Benigni replica il monologo su Berlinguer e Verdone reinterpreta alcuni dei suoi primi personaggi, che ha poi portato in TV nel celebre Non Stop stagione 1978-79. Con pochissime risorse e la collaborazione dei colleghi di altre sedi e centri di produzione Rai, in modo rocambolesco, il Capostruttura della programmazione regionale dell’Abruzzo Gaetano Stucchi realizza il film Sciopèn di Luciano Odorisio, che nel 1982 arriva a vincere il Leone d’oro “opera prima” al Festival del Cinema di Venezia”.

Ma c’è anche da ricordare, della stessa sede regionale abruzzese, a Pescara, il ciclo Droga in provincia (1980), una coproduzione con la regione Marche che affronta il tema delle tossicodipendenze e intercetta un fenomeno nazionale tanto che il format migra verso Raiuno con Droga che fare, un titolo rimasto impresso nella Rai degli anni ‘80.

“In Calabria sono invece gli anni dei sequestri, ben 132 nel corso di una quindicina d’anni, che duravano in media uno o due anni e che avevano come vittime grandi imprenditori, donne, bambini e che la testata giornalistica con giornalisti come Gregorio Corigliano e Pietro Melia si organizza per seguire al meglio. Antonio Minasi, a capo della struttura di programmazione, apre ai documentari. Il focus sono le culture presenti in Regione, come quella della comunità arbereshe protagonista di Vallja di Vito Teti, ma anche i calabresi all’estero con Paisà (1982) e Canada Canada (1984). Documenti d’attualità e testimonianze storiche che vengono organizzate nella Teca Regionale grazie a un giovane volenteroso, Giuseppe Nocito, che ha creato -così come tanti esponenti di quella generazione entrata in Rai con la Terza Rete- una mediateca unica nel suo genere”.

“E a proposito di archivi, ricorda ancora Francesca ScancarelloVito Molinari, uno dei registi decani della TV, ritrova nei magazzini di Corso Sempione le pellicole di alcuni spettacoli registrati negli anni ’50 e realizza per la sede regionale della Liguria Tutto Govi, il programma del 1981 dedicato all’attore Gilberto Govi che mescola le pièce con note di critica, racconti di sua moglie Rina che ne svela trucchi e manie e testimonianze dei suoi colleghi e dei molti spettatori che lo hanno amato”.

Il progetto della Terza Rete nei primi anni 80 prevede che il 60% delle trasmissioni sia prodotto dalle sedi regionali impegnate a offrire alternative anche alla programmazione della domenica pomeriggio. È il caso della Lombardia con il programma Carissimi, la nebbia agli irti colli…, per il quale lo stesso Aldo Grasso esordisce in Rai nel 1980 con un’intervista a Benigni al Festival di Sanremo, realizzata grazie a Renzo Arbore, che scherza e improvvisa nel corso delle riprese. Ma la Terza Rete è soprattutto la fucina di nuovi registi che sarebbero poi apparsi sulla scena italiana dando lustro non soltanto alla televisione ma anche al cinema.

Un caso per tutti, Giuseppe Tornatore, “Peppuccio” come amava indicarsi nei titoli dei suoi lavori per la Rai di Palermo, che realizza nel 1981 Ritratto di un rapinatore, la storia di un ragazzo condannato per rapina a mano armata a cui è stata concessa la grazia per essersi laureato in giurisprudenza con una tesi sulla delinquenza minorile mentre sconta la pena all’Ucciardone.

«Scoprii la sua storia man mano che lo intervistavo». Un programma non progettato né scritto «molto povero, come erano quasi tutti i programmi che facevamo all'epoca». Una povertà che non impedisce a Tornatore di mescolare il linguaggio dell’inchiesta con quello della fiction come quando le riprese restituiscono l’atmosfera dinamica della rapina alla pompa di benzina con denaro che cade a terra, qualcuno che corre, la ruota di un’auto che scappa. Quel programma «nacque da un contesto di libertà creativa, come era quella che caratterizzava la vita di una struttura come quella della Rai della Terza Rete in quegli anni».

Esordi puri. La povertà di mezzi caratterizza anche Diario di Guttuso (1981) che racconta la Sicilia attraverso gli occhi del pittore. Peppuccio Tornatore lo riprende alla spiaggia dell’Aspra di Bagheria dove faceva i bagni da ragazzo, e guardava i pescatori riparare le reti, dettagli che gli ricordano i Malavoglia di Verga e lo accompagna al mercato della Vucciria di Palermo dove Guttuso ricorda la sua adolescenza e racconta la genesi di uno dei suoi dipinti più famosi.

«Convivere due giorni insieme fu bellissimo. Mi colpì molto la sua disponibilità a parlare di sé stesso e della sua storia anche senza veli». Un esperimento, quello di Diario di Guttuso che, dichiara Tornatore «devo alla flessibilità della struttura di programmazione della terza rete Rai di Palermo di quegli anni».

Anni, insomma, -il documentario lo spiega benissimo- il cui valore complessivo per il regista è stato «avere imparato che tutto era realizzabile. Tutto si poteva realizzare con semplicità, con niente. Perché entro quei limiti che si imponevano e che non potevano essere altrimenti, potevi raccontare tutto. È stato un grande insegnamento, ma è stato un momento, una stagione dinamica, felice, piena di speranze, anche piena di lezioni che abbiamo potuto assorbire, delle quali far tesoro».

Come dire? La testimonianza di un premio Oscar, partito da una sede regionale Rai verso i lidi del successo internazionale è la summa di una storia di servizio pubblico che Rai Storia, con Aldo Grasso, ha voluto fissare in un documentario ricco di testimonianze e di documenti recuperati in quei preziosi giacimenti che sono le videoteche delle sedi regionali Rai.


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