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L’uomo che era stato il primo portavoce di Beniamino Andreatta, Primo Rettore dell’Università della Calabria, all’età di 80 anni viene oggi celebrato dall’Associazione Internazionale Amici dell’Unical, all’interno del Campus calabrese che lui stesso ha raccontato per mezzo secolo.
L’uomo che era stato il primo portavoce di Beniamino Andreatta, Primo Rettore dell’Università della Calabria, all’età di 80 anni viene oggi celebrato dall’Associazione Internazionale Amici dell’Unical, all’interno del Campus calabrese che lui stesso ha raccontato per mezzo secolo.
Non è mai troppo tardi. Era ora, finalmente, che qualcuno si ricordasse di Franco Bartucci.
Alla manifestazione in programma per lunedì 11 giugno, nella storica Aula Caldora dell’Ateneo, faranno da padrone di casa Patrizia Piro, Prorettore del Campus calabrese, e la professoressa Silvia Mazzuca, Presidente dell’Associazione Amici dell’Unical. Una cerimonia in cui verrà ufficialmente presentato un libro sulle eccellenze del Camus,”Storie Luminose”, di Debora Colamino, ma che nei fatti sarà invece la celebrazione ufficiale del giornalista Franco Bartucci, per oltre 40 anni responsabile dell’Ufficio Stampa dell’Ateneo.
In realtà, quello che Franco Bartucci è stato per la storia dell’Università della Calabria non lo è stato nessun altro. Nessun rettore, nessun capo dipartimento, nessun professore, per quanto illustre possa essere stato o possa ancora essere. Franco Bartucci per mezzo secolo è stato il vero angelo custode dell’Università della Calabria.
E’ stato soprattutto il vero grande romanziere di questo Campus, che di americano ha ancora molto poco, ma che Franco ha esportato come immagine tale in tutto il mondo.
Questa di Arcavacata è una Università che ha vissuto momenti difficili, di crescita e di affermazione, di consolidamento sociale in una regione difficile e complessa, dove le faide territoriali, i municipalismi, non sono mai morti completamente. Ebbene, Franco Bartucci in tutti questi 50 anni di vita calabrese ha raccontato il Campus come se fosse sempre stato il vero cuore geografico dell’intera Calabria. Ma forse lo era anche.
Ricordo alcuni suoi comunicati iniziali, pareva di essere sbarcati ad Harvard, tanta era la passione che trasudava da quelle note stampa che ogni giorno Franco faceva arrivare a tutti noi. E ricordo gli anni del terrorismo, quando l’Università della Calabria era finita al centro dei riflettori della stampa internazionale, per via di quello che realmente era nato e si muoveva all’interno delle maisonettes di allora, e Franco puntualmente ogni giorno provava con le sue note a detronizzare e a spegnere ogni miccia accesa dall’esterno.
Ricordo che in quegli anni – anni 70- io lo chiamavo spesso perché Il Mattino di Napoli, giornale per cui allora lavoravo, voleva ogni giorno a tutti i costi qualcosa sulle rivolte studentesche all’Unical, e lui ogni giorno puntualmente riduceva il tutto a qualche incidente “del tutto insignificante e forse anche ridicolo”. Che non meritava, dunque, nessuna nota di commento. E in quel caos istituzionale cosi generale, lui continuava a ripeterci la favola dell’isola felice.
Pareva che l’Università fosse una sua creatura. In realtà nel ruolo di primo comunicatore della storia del Campus lui aveva avuto il privilegio di accedere e di leggere carte e documenti su cui di fatto stava nascendo la più importante università della Calabria.
Oggi l’Unical è diventata una delle più importanti Università del Sud del Paese. Ma in passato ci sono stati giorni mesi, anni, tanti anni, in cui Franco non frequentava solo le redazioni dei giornali, ma erano anni in cui Franco ti cercava, ti braccava, ti costringeva ad ascoltarlo, e non è sempre facile ascoltarlo, a volte serve molto tempo, perché ancora oggi a 80 anni compiuti ti riversa addosso, nello stesso discorso, centinaia di notizie e di informazioni diverse. E ricordo che molti di noi alla fine davano spazio alle sue note dall’Unical anche per evitare questo suo continuo stillicidio personale di appostamenti personali.
Professionista di altissimo valore. Giornalista e comunicatore come pochi. Cronista soprattutto di grande educazione e di immenso rispetto verso gli altri. Impeccabile, sempre. Mai un errore, mai una notizia falsa, mai un'informazione fuorviante, mai un “dietro le quinte”. Franco era la precisione in senso assoluto. Logorroico quanto volete, questo sì, insistente peggio di una zanzara, ma sul piano professionale un vero numero uno.
Se oggi esiste una Università della Calabria degna di questo nome il merito va anche a lui, e soprattutto a questa sua scuola di comunicazione che negli anni aveva saputo mettere in piedi, da solo e in assoluta solitudine.
Ricordo Rettori, ma anche molti professori che pensavano di essere Dio in terra, e che all’inizio del proprio mandato lo tenevano lontano. Ma dopo qualche mese dal proprio arrivo o dal proprio insediamento, dovevano per forza far riferimento al suo archivio e alle mille notizie utili che solo lui aveva conservato nel suo ufficio.
30 anni, 40 anni di comunicazione istituzionale sono bastati a fare grande la storia di questo ateneo. E senza di Franco Bartucci nulla sarebbe stato possibile. Nulla sarebbe stato così organico e così perfetto. Il suo ufficio era una sorta di portaerei americana. Non c’era notizia che lui non conoscesse. Non c’era angolo del territorio universitario che lui non vivesse in prima persona, non c'era dibattito o convegno che si tenesse all’interno del Campus che lui non avesse in qualche modo organizzato, o suggerito, o seguito.
Medaglia d’oro alla carriera, questo è il vero premio che l’Unical assegna oggi a Franco Bartucci, per tutto quello che lui ha scritto sul campus, sugli studenti, sui professori del Campus. Non c’è dipartimento che lui non abbia raccontato nei minimi particolari, e non c’è ricercatore -giovane o vecchio che sia- di cui Franco Bartucci non abbia il curriculum completo o aggiornato.
Altro che corsi di formazione sulla comunicazione pubblica. Franco è, lui stesso, in prima persona, l’esempio fisico di cosa sia la comunicazione pubblica in Italia.
Lo ricordo all’ARAN, a Roma, a difendere lo status dei comunicatori pubblici, e lo ricordo accanto ai Presidenti della Repubblica e ai vari Ministri che si sono succeduti in questo Campus con i suoi aneddoti e le sue storie fantastiche sul futuro dell’ateneo.
Ma lo ricordo soprattutto angelo custode di Beniamino Andreatta, alle prese allora con la fase forse più difficile del Campus, che era la fase della crescita e dell’affermazione accademica, in un Paese che non voleva una università come questa. E di quel Beniamino Andreatta, primo e carismatico rettore dell’Unical, lui continua ad essere ancora oggi testimone fedele e più autentico di quel processo di affermazione e di crescita del Campus.
Nemo profeta in patria. Capita nelle migliori famiglie. Ma non è mai troppo tardi per riprendere il filo della storia, e chiunque domani vorrà scrivere la storia del Campus di Arcavacata, dovrà per forza di cose studiare le carte di Franco, riprende gli appunti di Franco, rileggere le note stampa redatte da Franco, ristampare le foto, migliaia, scattate da Franco all’interno di questo Ateneo. Mi viene da sorridere quando penso a certe lezioni sul giornalismo, nessuno meglio di Franco Bartucci oggi potrebbe tenere qui per tutti noi la lezione di giornalismo più completa e più reale del momento.
Grazie Franco, per tutto quello che hai fatto.
Grazie per quello che hai dato alla vita degli studenti, che sono stati sempre al centro dei tuoi comunicati, allo spessore che hai dato ai sacerdoti, vero o falsi che siano oggi poco importa, e che nel Campus si sono mossi e hanno operato da 50 anni a questa parte.
Grazie Franco per non averci mai fatto pesare il solo fatto di averti spesso trattato male, a volte anche con estrema superficialità, ma nessuno di noi 50 anni fa avrebbe mai immaginato che prima o poi i conti si fanno con la storia, e che la storia dell’Unical in qualche modo l’avresti scritta solo tu.
Dopo di te sono venuti gli altri, ma a quel punto il più era già stato fatto.
Spero solo che il rettore attuale, il prof. Nicola Leone, che so essere un uomo profondamente illuminato, e di grande attenzione verso tutto ciò che si proietta nel futuro, si preoccupi ora di recuperare tutto il tuo archivio, di sistemarlo in un'unica sede fisica, dove possa essere facilmente consultato e consultabile da chi avesse voglia di scrivere di questo mondo accademico, e magari digitalizzarlo dalla prima all’ultima scartoffia, perché i 50 anni trascorsi restino per sempre nella memoria dei server digitali per le generazioni che verranno.
Il resto è vita, diceva Maurizio Costanzo, e chi vivrà vedrà.