Annamaria Frustaci, “la ragazza che voleva sconfiggere la mafia” sognava di fare la giornalista. Oggi vive sotto scorta.
“C’è un mondo intero, popolato di ragazzi che non riescono a immaginare un futuro diverso da quello di chi li ha preceduti, ma anche di ragazzi che invece decidono di percorrere una strada nuova, differente, in cui la direzione è indicata da quella bella parola che lì in paese fa tanta paura: giustizia”.
di Pino Nano
Venerdì 31 Marzo 2023
Catanzaro - 31 mar 2023 (Prima Pagina News)
“C’è un mondo intero, popolato di ragazzi che non riescono a immaginare un futuro diverso da quello di chi li ha preceduti, ma anche di ragazzi che invece decidono di percorrere una strada nuova, differente, in cui la direzione è indicata da quella bella parola che lì in paese fa tanta paura: giustizia”.

La ragazza che voleva sconfiggere la mafia” è un libro bellissimo. Si legge in una notte, tutto d'un fiato. Dentro ci siamo tutti noi. C’è la nostra vita, i nostri paesi, le nostre realtà, i nostri rapporti personali, le nostre emozioni, la nostra infanzia, il nostro modo di intendere la vita con il mondo che ci circonda e che ci appartiene. E’ un libro che racconta in maniera magistrale e leggiadra la Calabria di sempre. Dentro queste pagine, c’è la Calabria che ognuno di noi ha incontrato almeno una volta nella sua vita, e di cui poi si è perdutamente innamorato. Che non è una Calabria sempre bella o positiva come si potrebbe a prima vista immaginare, ma è la Calabria della nostra vita, della nostra giovinezza, di noi ragazzi che crescevano nei paesi tutti insieme, appassionatamente tutti insieme, tra la piazza del paese la chiesa o l’oratorio, e dove eravamo davvero tutti uguali, e dove la linea di demarcazione tra ciò che era lecito e ciò che era l’esatto contrario collimava così perfettamente bene che era difficile stabilire da che parte stesse uno o stesse l’altro.

C’era la mafia nei nostri paesi, così come c’è dovunque, così come la racconta sfacciatamente e in maniera sublime Annamaria Frustaci, ma noi come lei non la vivevamo come tale, perché in realtà c’eravamo dentro. In un piccolo paese come Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, che è il paese natale della scrittrice, “San Maurilio” lo chiama così lei nel suo romanzo, o in paese poco più grande come lo era il mio per esempio, Sant’Onofrio, si era davvero tutti figli della stessa mamma e della stessa fede. Difficile separare le due cose. Difficile negare di non esserci dentro con il cuore e lo spirito fino in fondo.

Questo romanzo mi ha riportato al mio passato, ai miei vecchi compagni di gioco di un tempo, alle mie processioni di Pasqua, l’Affruntata, all’incanto dei santi e della Madonna Addolorata, statue che puntualmente venivano “prese” e portati in spalla da ragazzi con cui io trascorrevo i miei pomeriggi di libertà dopo la scuola. Solo tanti anni dopo qualcuno ci ha poi spiegato che certe dinamiche della processione andavano lette in una chiave totalmente diversa da quelle che noi avevamo assorbito crescendo tutti insieme. E questo rapporto ambivalente, che Annamaria Frustaci racconta tra Lara e Totò, che sono i protagonisti del suo romanzo, è storia vera di centinaia di realtà e di paesi come il suo e come il mio.

Giustizia: che bella parola! Eppure, è impronunciabile, in quel paese che dall’alto della collina scambia sguardi con il mare infinito della Calabria. Lara l’ha capito presto, tra gli ulivi del nonno, alle prese con i soprusi del vicino di casa, e sui banchi di scuola, dove a dettare legge sono Totò e i suoi amici”.

La ragazza che voleva sconfiggere la mafia” è un libro superbo. Un romanzo scritto con una leggerezza senza pari, dove si coglie con mano che in realtà l’autrice – lei lo racconta benissimo- abbia finito per fare il magistrato per un caso fortuito della vita, e non perché lo desiderasse fino in fondo. In realtà lei voleva fare la giornalista, sognava di poter scrivere tutta la vita, di girare il mondo a caccia di storie, complice sua madre che con lei condivideva il sogno dell’eterna globetrotter, e se Annamaria lo avesse fatto oggi sarebbe di sicuro una scrittrice di grande successo e una cronista da prima pagina del Corriere. Un libro dai toni forti. Pieno di rabbia, di amore, di illusioni, di speranza, di ricordi personali. Tenerissimo il riferimento al padre falegname che lavora più di dodici ore al giorno per mantenere la figlia agli studi all’Università di Pisa, e dolcissima la carezza che Annamaria dedica alla mamma, e al resto della sua famiglia, che d’estate si ritrova a casa dei nonni in campagna per una vita finalmente spensierata e diversa da quella a cui il paese ti costringe tutto l’anno. Commovente e quasi struggente, infine, la descrizione di Michi, il cucciolo che accompagna la storia, che Annamaria ha adottato e che a cui poi rinuncia per amore della vita che va avanti, e che fa da contorno alla disgrazia finale capitata a Totò, il ragazzo più discolo e più difficile di Sant’Andrea- San Maurilio.

Di questo romanzo se ne potrebbe fare un film. Un giorno, in un edificio abbandonato, Lara e Totò trovano un cagnolino bianco e morbido, che guaisce chiedendo aiuto. “Lo chiamerò Michi. Come Michelangelo, vero nome del Caravaggio, il pittore che ha dipinto il quadro che rappresenta Giuditta e Oloferne”. È lei a vederlo per prima, eppure il ragazzo reclama prepotentemente il suo diritto di tenere il cucciolo tutto per sé: non ci sta a farselo portare via da quella ragazzina che lo affronta a testa alta, senza paura. Ma Lara ha ormai intuito che il solo modo per sconfiggere la mafia, che serpeggia tra le case e le vie del paese, è guardarla in faccia con onestà e coraggio. Così decide di fare a Totò una proposta che non può rifiutare...”.

Delicatissimo, e strettamente personale. Impossibile -mi son detto dopo averlo letto- che lo abbia scritto un magistrato di frontiera come oggi lo è Annamaria Frustaci, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, alle prese con un "mastino" come Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, e che è il suo capo e la sua guida, e a cui lei dedica un grazie molto speciale. 

Ma il romanzo -come poteva essere altrimenti?- è costellato dalle figure straordinarie di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, magistrati vittime della mafia nel 1992, e come Gherardo Colombo, che è il magistrato che Lara-Annamaria incontra un giorno al Galluppi di Catanzaro per una conferenza sulla giustizia e ne resta ammaliata, così tanto che alla fine decide di abbandonare per sempre il sogno di fare la giornalista per fare invece il giudice. Una storia di “crescita e riscatto” per raccontare ai ragazzi - spiega l'autrice alla giornalista Paola Bottero nel suo salotto televisivo di Via Condotti- che di fronte alla mafia c’è sempre la possibilità di percorrere una strada diversa.

Lei probabilmente lo negherà, ma il giudice Annamaria Frustaci non poteva scrivere un'autobiografia più bella di questa, che oggi la Mondadori presenta nelle librerie di tutta Italia. Questo è un romanzo da leggere, da distribuire nelle scuole, da regalare per Pasqua ai propri figli, perché vi assicuro ne resterebbero molto colpiti. Felicemente molto colpiti.

Ma chi è Annamaria Frustaci? È nata a Catanzaro e cresciuta a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio. Dopo essersi laureata con il massimo dei voti in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pisa, nel 2010 è diventata magistrato ed è tornata a Catanzaro per svolgere la formazione, spostandosi poi alla procura di Reggio Calabria, dove ha lavorato con Nicola Gratteri. Dopo altri incarichi, nel 2016 è di nuovo a Catanzaro per lavorare nel pool antimafia, costituito dallo stesso Gratteri, che ha rivelato legami tra criminalità organizzata, politica e imprenditoria. Da due anni vive sotto protezione. Annamaria aveva quattordici anni quando il magistrato Gherardo Colombo è stato in visita al liceo classico che frequentava. Quell’incontro le ha insegnato che è sempre possibile cambiare le cose e lottare per la legalità, anche quando si vive in territori difficili. Oggi ne è nato un best seller.


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