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Di recente abbiamo letto una relazione dell’Ing. Sergio Minotti su “Il Penitenziario di Domani. Superare l’emergenza per garantire una vivibilità sostenibile e il rispetto dei diritti dell’uomo”.
Di recente abbiamo letto una relazione dell’Ing. Sergio Minotti su “Il Penitenziario di Domani. Superare l’emergenza per garantire una vivibilità sostenibile e il rispetto dei diritti dell’uomo”.
L’analisi dell’ing. Sergio Minotti offre l’opportunità di comprendere come sia possibile garantire i diritti dei detenuti attraverso azioni concrete, integrate e sostenibili economicamente per la collettività. Per questo motivo chiediamo al Presidente Minotti la sua visione del “Penitenziario di Domani…”.
Come interagiscono le infrastrutture e la complessità detentiva con i Diritti delle Detenute/dei Detenuti? Ma prima, ci può descrivere brevemente cosa è Téchne PA.
“La ringrazio della domanda e dell’opportunità di esporre la nostra visione e le nostre proposte come Associazione Nazionale dei Tecnici della Pubblica Amministrazione. Rispondo prima alla seconda parte della domanda: l’Associazione Téchne Pa, che mi onoro di presiedere, costituita da soci per lo più appartenenti ai profili tecnici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, è partner dell’iniziativa che fra poco segnalerò; tale importante iniziativa prende il via proprio all’alba dell’ennesimo e ciclico tentativo (mai andato a buon fine) di far fronte al sovraffollamento nelle carceri italiane attraverso un approccio emergenziale affidato ad una struttura commissariale (la terza nel giro di pochi anni), piuttosto che sistemico-strutturale per mezzo degli organi istituzionalmente competenti (Ministero della Giustizia – DAP e MIT), che pur esistono e sono dotati di adeguata e consolidata expertise nel settore penitenziario e degli appalti pubblici.
Come dicevo prima, nel mese di maggio 2025 la “LUMSA Human Academy – Fondazione Luigia Tincani”, con la collaborazione dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, della Fondazione dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, delle Associazioni CESP, Across, A.I.G.A, e Téchne P.A., darà il via al Corso di Alta Formazione in “Strutture detentive e management gestionale complesso. L’approccio sistemico alla complessità detentiva, tra storia, norme e metodologie progettuali teorico pratiche”.
Non si vogliono qui prendere in esame le prime soluzioni architettoniche (!) ed ingegneristiche, delle quali abbiamo appreso da poco i contenuti attraverso il web, che - se confermate - pur destano non poche perplessità in termini di spazi per il trattamento (in primis), contestualizzazione, vivibilità, durabilità, sostenibilità energetica, ambientale, safety e security, augurandoci un aggiustamento della rotta in corso d’opera.
Non possiamo però esimerci dall’esprimere un giudizio sul metodo, sull’approccio al problema del cronico sovraffollamento carcerario. Infatti, ritornando alla prima parte della sua domanda, quella in cui introduceva i Diritti dei Detenuti, devo subito precisare che la realtà penitenziaria è una realtà assai complessa, della quale il cittadino, nella maggior parte dei casi, è ignaro.
È pertanto possibile che l’osservatore poco esperto possa sottovalutare le dinamiche e i processi che regolano le attività di ristretti, operatori e di chiunque, a qualsiasi titolo, si trovi ad operare e a vivere all’interno di un penitenziario, processi e attività quasi sempre ignote alla collettività, come se quel “recinto” che delimita le prigioni, il muro di cinta, costituisca non solo una delimitazione fisica, ma anche di consapevolezza, una barriera sociale e culturale difficile da abbattere.
I Diritti dei detenuti, come quelli di tutti, passano innanzitutto attraverso azioni che salvaguardino contro trattamenti disumani e degradanti, oltre a favorire il trattamento, la rieducazione e il recupero dei ristretti. In questo l’edilizia e l’architettura, in una parola la qualità degli spazi, sono un fattore decisivo”.
Parole pesanti ed importanti, ma allora cosa intendete proporre sul versante
della Dignità Umana, quale percorso occorre seguire?
“Abbattere, se pur virtualmente, gli innumerevoli recinti che delimitano e limitano la conoscenza del pianeta carcere è l’unica speranza per far sì che possano essere attuate realistiche ed efficaci azioni di trattamento dei detenuti, che devono decisamente puntare al rispetto della dignità umana, al reinserimento nella società civile e alla drastica riduzione delle recidive. E questo non perché lo pensiamo noi, ma perché ce lo impongono la nostra Costituzione e le regole internazionali sui diritti dell’uomo.
Diversamente il risultato lo conosciamo: ciclico sovraffollamento e sistematico degrado delle strutture. Daltronde è banale comprendere il fatto che per non far tracimare un contenitore – quanto grande sia non ha importanza - o si riduce l’afflusso, oppure di tanto in tanto devi necessariamente svuotarlo.
Ma la stessa osservazione empirica degli accadimenti storici ci insegna che l’aumento della capienza detentiva non è da sola una soluzione: si pensi all’esempio della città di Milano: quando fu completato il carcere di Opera si sarebbe dovuto dismettere San Vittore, ma ciò non è accaduto; quando fu poi completato il carcere di Bollate si tornò a parlare di chiudere San Vittore, ma ancora una volta fu un nulla di fatto.
Per questo, personalmente, ho sempre pensato che, per mantenere costante l’equilibrio tra costi e benefici per la collettività, nonché garantire una sostenibilità del sistema, nel rispetto delle regole internazionali sui diritti dell’uomo, le politiche di tipo “contenitivo” devono andare di pari passo con le politiche di tipo “deflattivo”.”
Dove vede la maggiore criticità?
“Puntare tutte le fiches sulla nuova edilizia è assodato essere un errore macroscopico, primo perché è quasi certo che i benefici vengano vanificati dal contemporaneo degrado del patrimonio esistente, ma soprattutto il rischio maggiore è l’insostenibilità economica dell’organismo monstre generato per incapacità a sostenere i costi diretti e indiretti necessari alla governabilità a regime (per il personale, per il mantenimento detenuti, per la manutenzione, per i servizi energetici, la sicurezza e il facility management in genere).
Il risultato sarebbe inesorabilmente il collasso del sistema e un aggravamento delle condizioni, verso trattamenti disumani e degradanti dei “ristretti”, ancor più accentuati di quanto è già oggi in molti istituti penitenziari.”
Quali soluzioni operative proponete con la vostra organizzazione Téchne PA?
“La manutenzione e ottimizzazione dell’esistente, investire nel trattamento, puntare decisamente sul reinserimento sociale e sulla riduzione delle recidive, in tal senso, sono indubbiamente buone politiche e questo a prescindere da ogni discussione sull’entità e la certezza della pena, sulle quali, troppo spesso inutilmente, si anima il dibattito cultural-politico tra gli esperti (!) del settore”.
Dalla sua descrizione sembra che esistano due biosfere, quella all’interno e quella “fuori”.
“Certo, il carcere, sotto un certo punto di vista, potrebbe apparire un microcosmo, se lo si pensa solo come elemento contenitivo di persone in attesa di giudizio o condannate, limitate all’interno di spazi confinati: la cella o, meglio, la camera di pernottamento, la sezione, il cortile di passeggio, il penitenziario, una sorta di matrioska di spazi confinati.
Ma il carcere è molto di più, è una realtà dinamica con le sue dinamiche particolari, che potrebbe paragonarsi ad un piccolo comune o addirittura ad una cittadina se si pensa ai complessi penitenziari di dimensioni più importanti come ad esempio Roma-Rebibbia o Milano-Bollate, con il direttore nelle vesti di sindaco, la polizia penitenziaria che assolve alle funzioni di sicurezza, spazi per il trattamento, la rieducazione, il culto religioso, il lavoro, l’assistenza sanitaria, la socialità e molto altro ancora.
Ecco che allora capiamo che quel microcosmo in realtà si espande, perché ognuna di quelle attività prevede l’inclusione e l’apporto di professionisti, imprese, istituzioni, enti e persone a vario titolo coinvolte: gli affetti famigliari, la magistratura, gli avvocati, gli architetti, gli ingegneri, il personale tecnico e sanitario, le ditte, gli operatori addetti al trattamento, gli enti e le associazioni di volontariato ecc. ecc.
Tutto ciò deve esser ben regolato, perché le politiche organizzative non dipendono solo dalla governance interna, ma anche dalla suddivisione spesso gerarchica delle competenze a livello locale, regionale e nazionale (penitenziario-provveditorato-dipartimento).
Il sistema penitenziario, non il carcere in sé, è pertanto un sistema gestionale complesso, sia nel micro che nella macro, di grande interesse per la collettività per la sua importanza sociale e che quindi merita la massima attenzione e adeguatezza dei sistemi organizzativi, nonché una corretta integrazione all’interno di una più vasta realtà che investe fattori che interessano la giustizia, la sicurezza e la lotta all’emarginazione sociale”.
Quindi come si può gestire l’emergenza penitenziaria?
“L’emergenza penitenziaria deve essere gestita accompagnandola con la programmazione e l’azione integrata di idonee politiche socioeconomiche; certo è un processo complicato, in realtà mai iniziato nel nostro Paese e non più procrastinabile, che richiede l’apporto coordinato e integrato di professionalità esperte in svariati settori della società.
Per concludere, nell’interesse della collettività, al bando le ricette facili! E se proprio le autorità governative - in attesa di un auspicato nuovo e moderno approccio metodologico – hanno deciso, nei limiti della propria autonomia, che è comunque utile adottare azioni emergenziali con interventi in via di urgenza, ciò non può essere messo in discussione, ma ci auspichiamo che almeno per le attività di programmazione, progettazione ed esecuzione utili al raggiungimento del doppio obiettivo della sicurezza e del vivere civile, ci si possa avvalere delle strutture governative istituzionali deputate ed esperte in materia, che esistono e sono le uniche che, dotate di maggiore autonomia, risorse e poteri adeguati, possono garantire, in conformità alle norme nazionali e internazionali di settore, il perseguimento del risultato atteso con il massimo livello di qualità”.