Le Leggende dell'alpinismo: Le Ande, i Boney M. nel crepaccio e l'amico che tagliò la corda
Siula Grande, giugno 1985. Due giovani scalatori inglesi, dopo aver aperto una nuova via sulla parete ovest, stanno affrontando un'agevole discesa. Poi, improvvisamente, uno dei due si trova di fronte al più drammatico dei dilemmi: morire insieme al compagno di cordata o salvarsi in cambio della morte dell'altro. Una straordinaria storia ai limiti della sopravvivenza in cui i protagonisti, da un momento all'altro, passano dal trionfo all'incubo più terrificante per un alpinista.
di Antonio Panei
Venerdì 03 Febbraio 2023
Roma - 03 feb 2023 (Prima Pagina News)
Siula Grande, giugno 1985. Due giovani scalatori inglesi, dopo aver aperto una nuova via sulla parete ovest, stanno affrontando un'agevole discesa. Poi, improvvisamente, uno dei due si trova di fronte al più drammatico dei dilemmi: morire insieme al compagno di cordata o salvarsi in cambio della morte dell'altro. Una straordinaria storia ai limiti della sopravvivenza in cui i protagonisti, da un momento all'altro, passano dal trionfo all'incubo più terrificante per un alpinista.
Quando Joe Simpson cercò di disincastrare la piccozza per colpire di nuovo la parete, perse l'equilibrio e andò a sbattere violentemente su un muro di ghiaccio.

Si ruppe il legamento crociato, la cartilagine del menisco, la caviglia e il tallone. Si trovava sotto la cima del Siula Grande (6.344 metri). Lui e il compagno di cordata Simon Yates, qualche ora prima, avevano aperto una nuova via sul versante ovest e conquistato la vetta di una delle montagne più alte delle Ande Peruviane.

Dal trionfo all'incubo più terrificante per un alpinista a quella quota. Con la gamba in frantumi non poteva certo continuare a scendere a corda doppia. Il dolore era atroce.

Il suo amico, però, non lo abbandonò lì. Avrebbe potuto farlo con il pretesto di andare a chiamare i soccorsi. Era il 1985, non esistevano i telefonini o altri mezzi per comunicare con il campo base.

Invece Yates decise di calarlo giù, utilizzando un'unica corda. Legò un'estremità a sé stesso e l'altro capo all'imbracatura di Simpson. Era ormai buio e i due alpinisti avevano ancora da scendere una parete di 914 metri.

"Ogni 45 metri - scrive Simpson nel suo libro Touching The Void - il nodo che univa la corda si sollevava e colpiva il dispositivo di attrito di Simon. Quello era il segnale per togliere il mio peso dalla corda. Lui allora si sganciava, metteva il nodo sull'altro dispositivo, dava 3 strattoni e ricominciava ad abbassare. Siamo andati avanti così per una cinquantina di minuti. Dovevamo farlo soltanto altre 10 volte per arrivare in fondo alla montagna".

Alle 21.30, con in corso una forte bufera e una visibilità praticamente pari a zero, non si accorsero di un grosso scoglio di ghiaccio che sporgeva dal pendio. "Non lo vedemmo. Simon mi calò e rimasi sospeso nel vuoto, impossibilitato a raggiungere la parete per mettermi in sicurezza. Il mio peso era sulla corda, ma lui non riusciva a sciogliere il nodo".

Rimasero bloccati. Simpson era a penzoloni, oscillava nel vuoto, mentre Yates cercava con tutta la forza di non mollare la presa per non farlo precipitare. "Stringevo così forte la corda - ricorda Yates - che la mano mi era diventata viola. Non ce la facevo a tirarlo su. Ho resistito per un'ora. Poi mi sono reso conto che se non lo avessi mollato mi avrebbe trascinato giù con lui. Così ho preso dallo zaino il coltello e ho tagliato la corda".

Simpson volò nell'abisso, attraversò il tetto di un crepaccio schiantandosi venti metri sotto. Era miracolosamente ancora vivo. "Il dolore alla gamba si era accentuato, ma per il resto non mi ero fatto quasi niente, solo ferite e contusioni. Persi conoscenza. Al risveglio, non so perché, mi rimbalzò in mente la canzone Brown Girl In The Ring dei Boney M. Per ore e ore ho avuto quella musica in testa. Era un incubo. Nemmeno mi piacevano i Boney M.".

I crepacci sono luoghi spaventosi, soprattutto quando si insinua il pensiero che non ne uscirai vivo. "Dissi: non posso morire con in sottofondo la musica dei Boney M. Se devo morire devo farlo alla luce del sole. Cominciai a gridare nella speranza che Simon mi sentisse. Poi, per mia fortuna, riuscii a trovare una via d'uscita. Quando misi fuori il capo mi accorsi che ero alla base della montagna. Una lingua di ghiaccio lunga alcuni chilometri mi separava dal campo base".

Simpson non riusciva a stare in posizione eretta. Iniziò a strisciare da seduto con la schiena verso il fondovalle, facendo leva sulle braccia e sul piede sano. "Mi sono posto degli obiettivi: arriverò a quel crepaccio in 20 minuti. Se ci riuscivo in 18 minuti esultavo per la gioia, se ce ne mettevo 22 piangevo dalla rabbia. Ho strisciato per i successivi 3 giorni e mezzo".

Senza poter mangiare, bevendo solo ghiaccio sciolto, Simpson arriva alla fine del ghiacciaio e supera saltellando anche un lungo tratto caratterizzato da tumuli di detriti e rocce. "Non ho contato le volte che sono caduto. Ogni volta era come rompermi di nuovo la gamba. Soffrivo da cani per la frattura. Mi alzavo, un salto e di nuovo giù per terra. Fino a quando non ho visto le tende in lontananza".

In una di quelle tende c'era Yates che lo credeva morto. "Per arrivare da lui ho dovuto strisciare anche sulla latrina a cielo aperto del campo base. Quell'odore nauseabondo, però, mi aiutò ad uscire da uno stato di semi-incoscienza. Urlai il suo nome. Quando ho visto Simon incredulo venirmi incontro sono crollato. Avevo perso il 35% del mio peso corporeo. Stavo andando in chetoacidosi, ero ad un passo dalla morte".

I medici dell'ospedale stenteranno a credere alla sua straordinaria storia di sovrumana capacità di resistenza. Tornati in patria, la stampa inglese li dipinse come il superuomo e il vigliacco. Yates subì un vero e proprio processo popolare per aver tagliato la corda a cui era appeso il compagno.

A difenderlo dal linciaggio mediatico ci pensò lo stesso Simpson che dichiarò sui giornali, in tv, ovunque: "Se mi fossi trovato al suo posto lo avrei fatto anch'io. Simon fino ad un attimo prima e' stato un eroe. Quello che ha fatto per salvarmi, cercando di portarmi giù con la corda, non lo dimenticherò mai. E' lì che si vede la grandezza di una persona". Alla loro avventura sulle Ande è ispirato il docufilm "La Morte Sospesa" del regista Kevin Macdonald.

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