Maurizio Federico: “Vi racconto la tragedia di mia figlia. Lisa, non credo che meritiamo il tuo perdono”.
Il racconto disperato di un padre che ha perso la sua bambina affidato ad un post su Facebook. In redazione ogni giorno arrivano decine di lettere diverse, questo che oggi vi proponiamo e in maniera integrale è quanto il Prof. Maurizio Federico, racconta la tragedia di sua figlia Lisa, una ragazza di appena 18 anni ricoverata al Bambin Gesù di Roma e morta prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto. Un racconto- scrive il professore- che aiuti a riflettere e ad aiutare chi verrà dopo Lisa.
(Prima Pagina News)
Lunedì 09 Novembre 2020
Roma - 09 nov 2020 (Prima Pagina News)
Il racconto disperato di un padre che ha perso la sua bambina affidato ad un post su Facebook. In redazione ogni giorno arrivano decine di lettere diverse, questo che oggi vi proponiamo e in maniera integrale è quanto il Prof. Maurizio Federico, racconta la tragedia di sua figlia Lisa, una ragazza di appena 18 anni ricoverata al Bambin Gesù di Roma e morta prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto. Un racconto- scrive il professore- che aiuti a riflettere e ad aiutare chi verrà dopo Lisa.

Sono Maurizio Federico, attuale responsabile del Centro per la Salute Globale presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma. Biologo come formazione di base, ho sviluppato nel tempo esperienze e conoscenze in virologia, microbiologia, oncologia e nanotecnologie. Nella vita mi è capitato di pubblicare su riviste “peer-reviewed” più di cento tra articoli, libri e monografie. Tutte a loro modo hanno avuto una loro utilità. Ora mi accingo a scrivere il più inutile ma più importante articolo della mia vita, cosciente che al meglio mi potrà portare guai e ritorsioni. La storia degli ultimi giorni della mia adorata figlia Elisabetta, Lisa.

E’ ovvio che per un padre che perde una figlia nel fiore dell’età descrivere a caldo la successione degli eventi, oltre a rappresentare uno sfogo emotivo, sicuramente porta a distorsioni, esagerazioni ed imprecisioni, soprattutto in assenza dei dati certificati dalla cartella clinica. Non potrò scendere nei dettagli clinico/medici che ho conosciuto o percepito (ne risulterebbe un indigeribile testo di decine di pagine), e molto di quello che racconterò è frutto di colloqui a quattr’occhi con personaggi che, in mancanza di testimoni, potranno facilmente smentire le mie versioni dei fatti. Io, noi della famiglia ora non abbiamo alcuna intenzione di rivolgerci alla spesso inaffidabile giustizia italiana, anche se avremmo forze e mezzi per sostenere qualsiasi battaglia legale. Cionondimeno non abbiamo nemmeno alcuna intenzione di far passare sotto silenzio la storia di Lisa, per quanto possa essere considerata aneddotica.

- I PROTAGONISTI PRINCIPALI:

- Lisa, al secolo Elisabetta Federico, avrebbe compiuto 18 anni il prossimo marzo. Nata in Ucraina, abbandonata insieme al fratello in un orfanotrofio in Ucraina. I due fratellini vengono adottati da me e mia moglie Margherita nel 2009;

- Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, al quale affidiamo nostra figlia per le cure;

- Margherita Eichberg, mia moglie, attuale soprintendente per l'area metropolitana di Roma, Viterbo e l'Etruria meridionale.

 -COSA E’ SUCCESSO PRIMA

Era dall’inizio di questo disgraziato 2020 che Lisa tornava a casa la sera mostrando sulle braccia un numero insolito di lividi. Sensibile ai frequenti episodi di prepotenze e sopraffazioni contro le donne, le chiedevo, in tono faceto, se quei lividi fossero il frutto delle discussioni con il suo fidanzatino. Finché una sera si presenta a casa con uno smisurato livido su una coscia come frutto di una caduta da un monopattino elettrico apparentemente non così catastrofica, come suggerito dall’assenza di graffi.

Mia moglie ha il merito (anche) di allarmarsi e spedire Lisa a farsi un emocromo, dal quale risulteranno livelli troppo bassi di piastrine, 10.000 -15.000 per microlitro, quando le persone sane ne hanno al minimo 100-150.000. Era metà di giugno 2020.

Portata di corsa all’ospedale Bambino Gesù, viene ovviamente ricoverata e subito falliscono gli immediati interventi terapeutici mediante infusione di gammaglobuline volti a contrastare una possibile porpora trombocitopenica idiopatica.

Inizia così un lungo e noioso cammino volto a stabilire una diagnosi che, dopo due prelievi di midollo dalla cresta iliaca intervallati dai canonici 15 giorni di intervallo tra i due prelievi, e dagli altrettanto sindacali 15 per completare le analisi citologiche (tutti trascorsi da Lisa in ospedale nonostante le sue condizioni generali più che buone), sentenzia lo sviluppo di una citopenia refrattaria dell’infanzia-adolescenza (RCC: refractory cytopenia of childhood).

Il sospiro di sollievo riguardava tutto e solo il fatto che non sembrava esserci traccia di neoplasia. Cionondimeno, la patologia di per sé era seria e andava trattata. Esistono trattamenti di prima linea, poco invasivi e che non avrebbero compromesso successivi approcci terapeutici più avanzati, anche se con possibilità di riuscita limitata, sotto il 50% (ad es., trattamento con siero anti-linfocitario e ciclosporina) ai quali i medici decidono però di rinunciare per motivi mai chiariti. Bisognava esclusivamente puntare sul trapianto di midollo osseo

Nel frattempo Lisa rimaneva parcheggiata su un letto del Bambino Gesù in apparente buono stato di salute (necessitava solamente di trasfusioni di piastrine con cadenza settimanale e pochissime volte di globuli rossi) e in pessimo stato di umore. Questo fino all’inizio di agosto quando, invece del preannunciato intervento per l’applicazione del catetere venoso centrale (CVC, considerato da noi come un annuncio dell’avvio delle procedure per il trapianto di midollo osseo), le vengono somministrate dosi di G-CSF, il fattore di crescita per i granulociti. Tra questi, i neutrofili nei circa due mesi di ospedalizzazione e trattamenti continui con antibiotici, antifungini e aciclovir, erano scesi, a partire dai 1.500 per microlitro al momento del ricovero, sotto la soglia considerata neutropenia grave dei 500 per microlitro, fino ad arrivare a soli 50 per microlitro.

Il fattore di crescita fa miracoli, ed i neutrofili arrivano dapprima a 1.500 fino, in seguito, a raggiungere addirittura a superare i 5.000 per microlitro.

Sulla base di questa evidenza, che si sarebbe potuta tranquillamente ottenere settimane prima, a Lisa vengono concessi quella sorta di “arresti domiciliari” rappresentati dal regime di Day Hospital, che comunque vengono accolti da Lisa con gioia smisurata. Siamo alla prima settimana di agosto.

-COSA E’ SUCCESSO DOPO

Come detto, la patologia andava trattata, e prova ne sia il fatto che le finestre temporali tra una trasfusione e l’altra andava riducendosi con il passare delle settimane. Finalmente ci viene annunciato il programma organizzato per procedere al trapianto di midollo osseo. E’ stata identificata una donatrice tedesca di 45 anni praticamente identica a Lisa riguardo gli antigeni di istocompatibilità: 10 su 10. SI poteva dare il via al MUD, trapianto di midollo osseo con un “Matched Unrelated Donor”. Siamo a pochi giorni prima della metà di ottobre.

Una volta richiamata in ospedale, la cosiddetta fase di condizionamento trascorre come atteso, e Lisa soffre al più di nausea, mai di vomito, smettendo però di mangiare. Ma pure questa non è una sorpresa.

Arriviamo quindi al “gran giorno”, 16 ottobre 2010. Anzi no, il giorno prima una dottoressa mi informa che Lisa verrà sottoposta a plasmaferesi. La donazione è, scoprirò il giorno dopo, di pessima qualità. Il numero di bianchi totali (cellule CD45 positive) è scarso ed inevitabilmente i precursori ematopoietici (cellule CD34 positive) vengono valutati essere nei laboratori del Bambino Gesù circa un terzo della quantità minima richiesta. Di norma, le donazioni di midollo osseo vengono ripulite dai globuli rossi prima della reinfusione nel ricevente. Va da sé che a questo trattamento consegue una riduzione anche delle cellule CD34 positive, e quindi nel nostro caso avrebbe comportato l’ulteriore riduzione delle cellule utili per Lisa.

Quindi una dottoressa dello staff del reparto che si occupa dei trapianti di cellule ematopoietiche mi annuncia che Lisa subirà una procedura di plasmaferesi il giorno prima dell’infusione delle cellule ematopoietiche visto che il gruppo sanguigno della donatrice è AB e Lisa, gruppo 0, aveva sviluppato anticorpi anti- A e anti-B probabilmente a seguito delle numerose trasfusioni di piastrine, che normalmente vengono presentate al ricevente come prodotto di pool di donatori.

Io mi mostro sorpreso e anche irritato alla dottoressa per questa inaspettata novità, e lei mi liquida con una frase del tipo: “Non capisco questo processo alle intenzioni” quando io, non avendo ancora ben chiaro il quadro complessivo (molto peggiore di quello che immaginavo) chiedevo sommessamente ed un po’ ingenuamente la ragione per cui il donatore non fosse stato scelto anche in base al gruppo sanguigno.

Inciso per i non addentro alla materia: la trasfusione in un soggetto che ha sviluppato anticorpi contro i globuli rossi che riceve genera una reazione immunitaria nell’ospite che porta all’emolisi, il più delle volte associata, bene che vada, a tremendi dolori e infiammazione sistemica.

I dottori trionfanti mi annunciano che la plasmaferesi ha abbattuto di almeno dieci volte il titolo di anticorpi anti-A e anti-B. Peccato che non dicano (non voglio immaginare che non sappiano) che la quantità residua di anticorpi nel plasma della povera Lisa restano ancora più che sufficienti a scatenare l’inferno dell’emolisi massiva.

Arriva il gran giorno dell’infusione, venerdì 16 ottobre, e per l’occasione mi viene concesso di accedere alla camera di Lisa, privilegio fino ad allora e per quasi tutti i giorni seguenti concesso ad una sola persona, ovviamente nel nostro caso mia moglie, sostituita per qualche giorno dalla generosa sorella Agnese.

Il materiale da infondere si presenta come una sacca di sangue rosso scuro, molto grande, più di un litro di materiale. Nonostante l’aspetto sinistro per essere un infuso di precursori ematopoietici, il nostro sguardo verso la sacca al momento era quello che si riserva a chi ci può salvare da un incubo. Neanche immaginavamo che l’incubo sarebbe cominciato proprio da quella sacca.

Il racconto qui si interrompe per porre una questione per me fondamentale, ed alla quale nessun medico, a posteriori, è stato in grado di rispondere in maniera minimamente plausibile. In base alla organizzazione internazionale che gestisce la rete di donatori di midollo osseo, il controllo di qualità della donazione non avviene al centro trasfusionale dove avviene la donazione, ma esclusivamente nel centro dove si pratica l’infusione nel ricevente. Visto che a condizionamento (chemioterapia) avvenuto il paziente non può rimanere senza l’infusione per troppo tempo, l’ordine delle cose porta semplicemente alla necessaria infusione del materiale del donatore, a prescindere dalla sua qualità. La domanda mia è stata: NON ESISTE UN PIANO B per situazioni del genere? Risposte dei medici: “No, non è previsto dai protocolli internazionali, non accade mai di averne bisogno. al più si può richiedere un “boosting” inteso come una seconda donazione dallo stesso soggetto” (che ovviamente non può avvenire in tempi stretti), e così via. La sfortuna di Lisa sarebbe stata andare oltre il “mai”…

Per banalizzare con un esempio, sappiamo tutti che i moderni areoplani commerciali vengono costruiti in modo che se uno dei due motori va in panne, è sufficiente l’azione del secondo motore per salvare le vite. Il piano B è rappresentato dalla spinta del secondo motore di per sé sufficiente a far volare l’aereo. Quante volte si rompe un motore di un aereo? Per fortuna pochissime volte, ma non per questo non si è pensato, per salvare vite umane, di progettare gli aerei in modo che possano volare con un solo motore.

Allo stesso modo: quante volte la donazione del midollo osseo risulta essere praticamente inutilizzabile? Pochissime volte, mi dicono, non per questo non bisognerebbe pensare ad un piano B per salvare vite umane. Nel nostro caso, ed in tutti quelli riferibili a trapianti di midollo osseo, il piano B potrebbe semplicemente consistere nell’allertare un donatore alternativo, magari anche con qualche “mismatch” negli HLA (il rischio a lungo termine di non avere un “matching” 10/10 è ovviamente sopportabile in casi del genere), al quale chiedere un pronto aiuto in caso di fallimento della prima donazione. “E’ inutile..” mi è stato detto…chissà cosa ne penserebbe Lisa…

Ritornando alla cronaca, l’infusione, che era stata presentata della durata di 3-4 ore massimo, è terminata dopo più di 12 ore. Questo è nulla. L’emolisi ha provocato dolori lancinanti e sempre crescenti, al punto che ad un tratto l’infusione è stata interrotta. Lisa ha urlato di dolore per 12 e più ore, urla potentissime, con voce alterata, continue. La dose di morfina utilizzata mi è stato detto la sera non essere neanche stata praticata al massimo possibile, e visto come è andata qualcuno mi dovrà spiegarne la ragione. Si forma un versamento pleurico di circa 500 mL che verrà aspirato solo poche ore dalla fine della povera Lisa.

La giornata di venerdì 16 ottobre si conclude per me all’una di notte del 17, quando il mio permesso di stare insieme a Lisa e Margherita scade e devo andare via. I dolori atroci di Lisa continueranno fino alla sua morte, ed io Lisa praticamente non la rivedrò più.

I giorni immediatamente successivi dal punto di vista clinico sembrano essere incoraggianti. A fronte della fastidiosissima quanto inevitabile mucosite che si affaccia, la tremenda infiammazione generalizzata tende a regredire, come suggerito dai valori in diminuzione del marker di infiammazione PCR (Proteina C reattiva). L’urina passa da color coca-cola a giallo/arancione, quasi normale.

Come atteso non c’è ancora traccia di attecchimento. Comunque sia per aiutarlo sabato 26 ottobre viene somministrato per la prima volta il fattore di crescita G-CSF, ma viene deciso per il momento, nonostante il suggerimento di un componente lo staff, di soprassedere alla richiesta del “boosting”.

La verità è che a partire da questo giorno si inizia a profilare, trascurata, la minaccia che ucciderà Lisa, tanto mortale quanto prevedibile: l’infezione batterica.

Secondo inciso per le persone non del campo: il nostro corpo alberga naturalmente un gran numero di batteri, virus, funghi e miceti che possono risultare letali solo in particolari condizioni, quali l’immunosoppressione totale che si genera dopo chemioterapie come quella che ha dovuto sopportare Lisa. Tra i batteri, ne esiste un genere particolare (Pseudomonas aeruginosa) che alberga ovunque, dentro e fuori il nostro corpo, che in condizioni di immunosoppressione totale accompagnata da mucosite può facilmente traslocare e svilupparsi in tessuti diversi. Quando si trova nel sangue, attraverso analisi molecolare di amplificazione genica o emoculture, è segno che ha già allignato nei tessuti ed ha già indotto danni irreversibili mediati in gran parte dal rilascio da parte dei macrofagi dell’ospite di una citochina definita “Tumor-necrosis factor alpha”, a sua volta indotta dalla loro interazione con componenti della parete batterica. Il problema fondamentale di questo genere di batteri, prìncipi delle infezioni ospedaliere, è che si sono selezionati ceppi resistenti praticamente a tutti gli antibiotici in uso (fenomeno della “multi-drug resistance”, che miete migliaia di vittime all’anno solo in Italia). Mi si riferisce che esistono solo due preparati antibiotici che, seppure di tossicità generale elevata, possono bloccare questo terribile nemico. Lisa li riceverà, ma troppo tardi.

Né mia moglie che assisteva Lisa, né tantomeno io che stavo a casa abbiamo avuto accesso ai dati delle analisi di Lisa, così come era invece successo sempre fino al secondo ricovero. Ciononostante riuscivamo ad apprendere da notizie date a mezza bocca dai medici che, dopo una discesa, la PCR ritornava a salire in modo molto significativo, con valori sopra i 25 mg/dL (valore normale < 0.5). Nella mia mente di padre e di non clinico mi illudevo che fosse solamente conseguenza della recrudescenza dello stato infiammatorio scatenato dalla tremenda emolisi. A posteriori, era invece il killer invisibile che avanzava. Invisibile alle analisi obiettive, alle TAC, alle radiografie, alle ecografie, alle emoculture, ma così solito a colpire. Facilmente immaginabile per chi ha esperienza, avvedutezza, prudenza, attenzione.

Ancora venerdì 30 ottobre sia le emoculture che le analisi di amplificazione genica sul sangue risultavano negative. Ad una ripetizione nel giorno successivo, arriva il primo risultato positivo all’analisi molecolare per Pseudomonas (diranno a mia moglie: “non si preoccupi, questa analisi dà spesso falsi positivi”…), ancora niente alle emoculture, che ovviamente richiedono più tempo. Figuriamoci i relativi antibiogrammi. Lisa morirà alle 0.15 di martedì 3 novembre.

La settimana a partire da lunedì 26 è stata per Lisa un’escalation di dolore e di sofferenze. La temperatura tendeva a salire, il mal di testa era una tortura,  la PCR restava alta, la respirazione sempre difficoltosa, e di attecchimento del midollo neanche a parlarne…perché, visto questo quadro in chiaro peggioramento, anche in assenza di una evidenza analitica ma ben sapendo quanto possa essere micidiale l’attacco di Pseudomonas, non si è utilizzata la carta dei pochi antibiotici super-specifici, limitandosi invece a continuare a sostituire un antibiotico “convenzionale” con un altro altrettanto inefficace contro Pseudomonas? Perché, visto il pericolo anche solo possibilmente incombente non si è pensato da subito, vista la perdurante aplasia, di provare adesso, subito, e non ad un giorno dalla morte come si è fatto, la trasfusione di granulociti compatibili, tentativo terapeutico che ha in verità una solida base biologica?

Siamo a giovedì 29 e venerdì 30..Lisa respira sempre peggio, ora anche il suo cuore inizia a dare segni di sofferenza severa..l’infezione in corso e la ridotta capacità polmonare lo sottopone ad un super-lavoro, e iniziano ad affacciarsi le temute fibrillazioni atriali. Lisa ha bisogno di ossigeno, prima attraverso i cosiddetti “occhialini”, e poi con il casco.

 I polmoni via via si riempiono di essudati, muco, batteri, e perdono sempre più le zone capaci di scambiare aria. Nella notte tra sabato 30 ottobre e domenica primo novembre l’immagine radiografica dei suoi polmoni si deteriora drammaticamente. Lisa nonostante tubi, maschere o caschi per l’ossigeno, respira sempre peggio e viene trasportata in terapia intensiva.

Una immagine qui sotto riportata riassume lo stato di Lisa subito prima del trasferimento in terapia intensiva. Dall’alto, il tracciato del cuore impazzito, i livelli di saturazione dell’ossigeno irregolari nonostante il casco, ed in basso il tracciato della respirazione che si commenta da solo.

In terapia intensiva per poche ore Lisa sembra stabilizzarsi, ma è un’illusione. Il killer aveva già messo a segno i suoi colpi mortali, e in pratica non c’era già più nulla da fare. Domenica primo novembre si decide di avviare la raccolta di granulociti per “l’estrema infusione”, come ora la definirei. La risposta degli amici e dei parenti è commovente, e dal centro trasfusionale si indispongono per l’eccessivo numero di donatori.

Intanto Lisa subisce altri interventi per stabilizzare il cuore, e viene intubata. Non vedrà più la luce, povera Lisa. Il pomeriggio di lunedì 2 novembre si procede alla prima (e ultima) infusione di granulociti, ma intanto Lisa perde sangue dai polmoni ed è passata dalla terapia intensiva alla rianimazione, in una struttura definita “Zona Rossa”, denominazione che rappresenta un sicuro incoraggiamento per le residue speranze di genitori disperati.

Ora Lisa, oltre al cronico deficit di piastrine, ha il sangue che non coagula più…anche il fegato è andato..è la fine. Curiosamente esce dalla zona rossa il medico ematologo responsabile della procedura trapiantologica. Molto cortesemente ingaggia con me e mia moglie un colloquio di più di un’ora in cui ci mostra le ultime analisi di Lisa (100.000 piastrine, granulociti neutrofili rilevabili!!). Sembrano buone notizie, ma poi ci mostra la fotografia del midollo di Lisa quale appare in quel momento: un desolato camposanto di cellule morte nel quale si aggira uno sperduto macrofago che cerca di fare pulizia. Il trapianto è fallito, e si ragiona sui successivi passi.

Noto però con sgomento che due transaminasi epatiche sono schizzate a 4-5.000 (valori normali 20-40). L’ematologo non vuole dargli molto peso, ma io capisco che è finita. Infatti, il successivo colloquio con i medici della rianimazione delinea un quadro che era ben a conoscenza dell’ematologo, che io temevo, e che ora ci si presentava in tutti i suoi dettagli. “Cosa vi ha detto l’ematologo”? esordisce. E io inizio a discettare di problemi ematologici sofisticati, di infusioni di granulociti, e così via. Lui mi ribatte: ”Il sangue di Lisa non coagula più, il fegato è fuori uso, ha già avuto un arresto cardiaco, tutti gli organi sono in acidosi, in un quadro quindi di deficit multiorgano”. Il killer ora vede i frutti del suo lavoro svolto durante la settimana passata, e se la ride di super-antibiotici, granulociti o altre cose date a babbo morto.

Torniamo a casa rassegnati. Margherita è sempre stata il riferimento per il Bambino Gesù. Non so come mai, ma per comunicarci che Lisa ci ha abbandonato hanno chiamato me.

Domande senza risposta:

- Perché non sono stati tentati approcci terapeutici di prima linea di per sé non invasivi?

- Perché per salvare vite non si prevede un piano B in caso di donazione di midollo non adeguata?

- Perché non si è proceduto in via preventiva a contrastare l’azione del batterio killer Pseudomonas con il trattamento con adeguati antibiotici ed infusioni di granulociti?

Volti e nomi

Ho parlato dei fatti fornendo poche interpretazioni. Ora vorrei parlare dei personaggi principali che hanno popolato questa storia.

Prof. Franco Locatelli

È direttore del dipartimento di onco-ematologia e terapia cellulare e genica all'ospedale pediatrico Bambino Gesù e occupa la cattedra di professore ordinario di pediatria presso l'Università La Sapienza di Roma.

Ha sviluppato nuove tecniche per il trapianto di cellule ematopoietiche, contribuendo alle cure per la leucemia. Il 1º aprile 2005 riceve la medaglia d’oro al merito della sanità pubblica. Attuale presidente del Comitato Tecnico-Scientifico che sta guidando l’Italia attraverso la pandemia, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Presidente dell’“European working group on childhood myelodysplastic syndromes”, una serie di sindromi in cui ricade la RCC che ha colpito Lisa.

Ditemi chi, avendo a pochi passi da casa un ospedale il cui responsabile è il prof. Locatelli non avrebbe affidato la persona più preziosa, una figlia, colpita da una malattia del sangue, all’ospedale di cui è responsabile il prof. Locatelli?

E’ ovvio che la enorme somma di incarichi e responsabilità fa sì che la immaginata ed auspicata funzione di coordinatore attivo dei suoi gruppi al Bambino Gesù debba essere limitatissima nel tempo. Eppure almeno due volte Lisa ha avuto il privilegio di essere visitata personalmente dal prof. Locatelli, sempre di sabato (forse uno dei pochi giorni che residuano al professore dai suoi impegni extra-ospedalieri), precisamente sabato 17 e sabato 24 ottobre. La seconda volta, mi ha raccontato Lisa con orgoglio, ha anche ricevuto un bacio sulla sua testolina dal professore. Quanta fiducia aveva Lisa in noi genitori, in tutto il personale dell’ospedale, nel suo responsabile. Nessuno di noi è stato all’altezza.

-         Dott. Luciani

E’ stato l’ematologo di riferimento, almeno fino a quando Lisa non è entrata in ospedale per il trapianto. Persona riservata, di poche parole, umanamente molto apprezzabile. Aveva instaurato con Lisa un rapporto speciale, con annessi abbracci e baci, come una sorta di secondo papà. Lisa aveva una fiducia illimitata nel dott. Luciani. Non sono a conoscenza dei rapporti che intercorrono tra i vari medici ematologi del Bambino Gesù. E quindi non so se per trascuratezza, mancanza di informazioni, o altro, il dott. Luciani si è fatto promotore dell’iniziativa volta a trasfondere granulociti in una Lisa ormai moribonda. Avrebbe avuto senso farlo una settimana prima, una volta accertata la risalita della PCR. Considero questo una grave mancanza, ma almeno il dott. Luciani, facendo visita a Lisa ormai deceduta, ha avuto il coraggio di ammettere fra le lacrime. “Non sono stato capace di curarla”. E in questi pochi attimi, in ciascuna di queste parole ha dimostrato tutte le sue qualità umane.

-         Dott. Palumbo

E’ stato uno dei due ematologi, insieme al dott. Luciani, che ha preso in carico Lisa ai primi tempi del ricovero. Dopodiché non se ne è più occupato, senza peraltro provocare in noi sensazioni di abbandono. Dicono eccellente professionista (ma dalla letteratura non sembra elevarsi particolarmente sopra la media), dotato di spiccato complesso di superiorità, le sue due frasi che mi sono restate impresse sono: “Io non mi appassiono mai dei problemi e delle esigenze dei genitori” e “Io sono il Day Hospital del Bambino Gesù”. Qualsiasi commento è superfluo.

-         Dott. Merli

Ha condotto insieme ai colleghi di reparto il trapianto. Giovane medico che sa darsi una credibilità, sicuramente cortese e disponibile a condividere informazioni, anche se solo fino ad un certo punto. Tutto sommato, lui e tutta la squadra che opera nel suo reparto vanno considerati gli attori decisivi del fallimento che ci ha portato via Lisa. E’ plausibile che, stante l’organizzazione delle cose, non potesse esimersi dall’ infondere il litro di veleno (al posto delle cellule ematopoietiche) nel corpo di Lisa. A posteriori fa quasi tenerezza quando annuncia trionfalmente che la plasmaferesi aveva abbattuto di non so quante volte il titolo degli anticorpi anti-A e anti-B. Peccato che quel che residuava è bastato a trasformare l’infusione in una sorta di tortura medioevale. Fatto salvo con il dichiarare, alle dieci della sera del giorno del trapianto, che sì, la morfina potrà tranquillamente essere aumentata.

Ignoro i livelli decisionali operativi nel reparto dove lavora il dott. Merli. Con lui operano altri medici anche meno giovani di lui. Ad ogni modo, la successione delle valutazioni e delle decisioni nella settimana decisiva sono apparse a cose fatte, e anche senza avere il conforto dei dati della cartella clinica, al minimo sciatte, se non mortali. Nella drammatica notte tra sabato 31 ottobre e domenica primo novembre un suo collaboratore, mostrandomi le enormi opacità nelle radiografie dei polmoni di Lisa, mi volle far credere che potessero anche essere conseguenza positiva del richiamo nella zona infetta dei globuli bianchi generati dal nuovo midollo. Tante piccole e grandi bugie forse devono essere raccontate per gestire al meglio la psicologia dei pazienti e dei genitori, e noi abbiamo seguito coscienti e rassegnati questo destino, ma uno sfondone del genere, detto in buona fede o no, supera l’immaginabile. Il midollo nuovo di Lisa non ha mai dato segni di attività.

Sorprendenti infine il tono e le argomentazioni che il dott. Merli ha messo in campo nella riunione che abbiamo avuto la sera di lunedì 2, quando anche lui già sapeva che il fegato di Lisa aveva ceduto e che era tutto finito. Come detto, la immediatamente successiva chiacchierata con i medici della rianimazione ci ha chiarito il drammatico quadro.

 -         L’ospedale Bambino Gesù

La struttura nel suo complesso così come i servizi vanno considerati di prim’ordine. Il personale infermieristico nel suo complesso (con le inevitabili eccezioni) molto competente e cortese. Lisa ha sempre avuto un ottimo rapporto con tutti, anche al Day Hospital dove in effetti il sovraccarico di pazienti fa diminuire drasticamente la qualità dei servizi offerti. Salendo nella scala delle responsabilità, ci è apparsa lampante la mancanza di una figura intermedia tra il prof. Locatelli e i suoi collaboratori che fosse di grande esperienza ed avesse la funzione di coordinamento fra i diversi responsabili di specialità. Per spiegarmi meglio, un dr. House della situazione, anche senza necessariamente possedere le sue enormi virtù e le sue estreme debolezze. Il dubbio che mi martella è che se un microbiologo medico avesse esaminato per tempo la situazione di Lisa, forse i super-antibiotici contro lo Pseudomonas sarebbero stati usati al tempo giusto.

-         Margherita

Il suo ruolo è stato semplicemente eroico, come si addice a una mamma. Il suo grado di esasperazione nel momento critico la ha portata ad avere addirittura paura a rientrare in una stanza dove tutti gli strumenti attaccati a Lisa suonavano, e Lisa stessa non riusciva a respirare nonostante avesse in testa un casco montato più o meno a regola d’arte. Una forza inimmaginabile.

-         Lisa

Sempre fiduciosa, mai abbattuta nemmeno nei momenti più drammatici, sempre gentile con medici e infermieri, con i quali è riuscita ad avere anche ottimi rapporti. Era l’ultima delle persone da tradire, ma siamo riusciti anche in questa impresa.

Ciao Lisa, non credo che meritiamo il tuo perdono.

Maurizio Federico


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