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"Le Paralimpiadi dovrebbero rappresentare un momento di celebrazione delle capacità atletiche e delle conquiste sportive delle persone con disabilità, ma spesso il linguaggio utilizzato dai media e dagli spettatori continua a essere intriso di pregiudizi e stereotipi".
"Le Paralimpiadi dovrebbero rappresentare un momento di celebrazione delle capacità atletiche e delle conquiste sportive delle persone con disabilità, ma spesso il linguaggio utilizzato dai media e dagli spettatori continua a essere intriso di pregiudizi e stereotipi".
Le Paralimpiadi di Parigi 2024 rappresentano un’occasione straordinaria per promuovere l'inclusione e migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità attraverso lo sport. Tuttavia, secondo Valentina Tomirotti, giornalista, attivista del mondo della disabilità, c'è un aspetto cruciale che rischia di compromettere questo obiettivo: l'uso che verrà fatto di un linguaggio abilista, soprattutto dai media, è ancora troppo presente nella narrazione degli eventi sportivi dedicati agli atleti con disabilità.
"Le Paralimpiadi dovrebbero rappresentare un momento di celebrazione delle capacità atletiche e delle conquiste sportive delle persone con disabilità, ma spesso il linguaggio utilizzato dai media e dagli spettatori continua a essere intriso di pregiudizi e stereotipi abilisti," afferma Tomirotti. "Descrivere gli atleti come ‘eroi’ semplicemente perché competono, non fa altro che rafforzare l’idea che la disabilità sia una condizione di sofferenza da superare, piuttosto che una delle tante forme di diversità umana."
Non solo di eroismo si etichetta questo tema, ma ci sono errori purtroppo molto comuni:
“Patronizing”: con questo termine si intende la tendenza a trattare le persone con disabilità in modo condiscendente, attraverso comportamenti molto invasivi, come dialogare in modo rallentato o ad un volume di voce più alto;
Parlare con gli accompagnatori, ignorando l’interlocutore con disabilità, atteggiamento negativo che tende a sminuire l’autonomia e la dignità, oltre che a minarne l’autostima, perché mette in discussione le capacità di far parte ed essere riconosciuti dalla società;
Considerare solo ed esclusivamente le disabilità visibili: alcune disabilità sono invisibili e quindi più difficili da individuare, ma non per questo meno reali. Le persone con queste disabilità devono affrontare una doppia discriminazione e dover dimostrare constantemente la propria condizione;
Utilizzare un linguaggio discriminatorio o che abbia accezioni negative nei confronti della disabilità, utilizzando tutte quelle etichette lessicali che pongono l’attenzione esclusivamente sulla disabilità e non sulla persona, come ad esempio “diversamente abili”, "costretto in carrozzina", “affetto da/ colpito da/vittima di”. Questo tipo di termini vanno anche contro il “modello bio-psico sociale”, adottato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), che interpreta la disabilità come il risultato dell’interazione tra un individuo non conforme agli standard e alle norme sociali e una società non preparata ad accogliere e valorizzare chi si discosta da tali standard;
come se fossero inferiori, minimizzando le loro capacità. Questo atteggiamento può manifestarsi nel modo in cui ci si comporta, ad esempio, parlando con una persona con disabilità in modo eccessivamente lento, o attraverso il linguaggio, come nell’espressione “Lascia che ti aiuti, non credo che tu possa farcela da solo”, che presuppone che l’altra persona non sia in grado di affrontare un compito autonomamente.
In Italia i risultati sportivi arrivano, anche a livello internazionale, ma ancora faticano ad emergere anche solo mediaticamente. Secondo i dati Istat, solo il 9,1% delle persone con limitazioni gravi pratica sport, e 8 su 10 dichiarano di essere completamente sedentarie. Questo dato evidenzia quanto siano ancora presenti barriere, sia fisiche che sociali, che limitano l'accesso allo sport.
Per Valentina Tomirotti, il linguaggio può essere sia un facilitatore che una barriera. Approcci come il people-first language, che mette al centro la persona prima della sua disabilità, o l'identity-first language, che valorizza l'identità della persona disabile, sono fondamentali per una narrazione rispettosa e inclusiva. Il linguaggio è un potente strumento che può contribuire a plasmare le percezioni della disabilità nella società. Utilizzare espressioni rispettose e inclusive è fondamentale per abbattere le barriere psicologiche che spesso accompagnano le persone con disabilità. "Il linguaggio abilista non è solo una questione di parole sbagliate, è un riflesso di un pensiero che vede la disabilità come qualcosa di anormale. Le Paralimpiadi dovrebbero essere un’occasione per cambiare questa narrazione, non per reiterarla."
L'abilismo, un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità, si manifesta spesso attraverso narrazioni distorte, come il concetto di supercrip che dipinge gli atleti paralimpici come eroi straordinari per aver "superato" la disabilità. Questa narrazione, secondo Tomirotti, “è altrettanto dannosa quanto l’uso di linguaggi discriminatori, poiché sposta l’attenzione dalle capacità sportive agli sforzi legati alla disabilità”.
"Chiedo ai media di riflettere su come raccontano le storie degli atleti paralimpici. Non abbiamo bisogno di narrazioni pietistiche o di supereroi, ma di un racconto onesto che riconosca la loro professionalità e il loro talento, senza ridurli alla loro disabilità." In vista delle Paralimpiadi di Parigi 2024, Valentina Tomirotti lancia un appello affinché l’attenzione verso un linguaggio rispettoso e inclusivo diventi una priorità per tutti: atleti, organizzatori e media. Solo così lo sport potrà davvero diventare uno strumento di inclusione e promuovere una società senza barriere.