Venezia ricorda Pierre Cardin, l’inimitabile

Il ricordo personale che di Pierre Cardin fa Maurizio Crovato volto storico del TG2 e analista fine di grandi eventi internazionali.

di Maurizio Crovato
Mercoledì 13 Luglio 2022
Venezia - 13 lug 2022 (Prima Pagina News)

Il ricordo personale che di Pierre Cardin fa Maurizio Crovato volto storico del TG2 e analista fine di grandi eventi internazionali.

Lo scorso 2 luglio a Venezia, Ca’ Bragadin, dimora nobile vicino a Rialto, parenti e amici hanno voluto ricordare i cento anni di Pierre Cardin, artista e creatore di moda che non ha bisogno di presentazioni.

Morto due anni fa a Parigi. Celebrato il compleanno post-mortem di un centenario. Una bella manifestazione proprio nel suo “buen retiro” veneziano.

Mi sono rimbalzate nella mente due cose. In Francia, all’inizio della sua carriera, lo chiamavano “Pierre le Venitien”. Poi la sua frase ricorrente: nella mia vita sono stato molto fortunato, ho avuto l’occasione di conoscere tutte le persone più influenti del pianeta, da Kennedy a Mao Tse Dong, da Gorbaciov a Margaret Thatcher.

Detto questo, io posso dire, con orgoglio, di avere conosciuto Pierre Cardin, ovvero Pietro Cardín, trevigiano di S.Andrea di Barbarana, poetica località sulle rive del Piave.

Successe nel 2010, Pierre Cardin era un magnifico signore di 88 anni. Alto, occhi azzurri, presenza magnetica, curiosità infantile. Era stato il mio amico Patrizio Baroni che ora vive in Messico, a telefonarmi. “Senti Maurizio, la prossima settimana viene a Venezia, un mio conoscente importante. Vuol vedere il luogo dove è nato e vuole parlarti di un suo sogno lagunare. Mi raccomando, massima discrezione. Ci vediamo al Lido e facciamo un volo in elicottero perché vuol vedere Venezia dall’alto. Poi andremo in barca in laguna. Tu parli francese, vero? Perché lui ha dimenticato l’italiano. Si chiama Pierre. Pierre Cardin”.

Ça va sans dire.

Ci incontriamo e mi dice subito, come se ci conoscessimo da mo’ che “son père” Alessandro gli diceva sempre che “noi siamo nati a Venezia, siamo di Venezia”. A quel tempo in Francia erano trattati male, erano dei “macaronis”, o “ritals”, termini dispregiativi. Cittadini di serie b.

Come smentire uno che è nato in comune di San Biagio di Callalta? Mi viene una illuminazione, forse contagiato dal suo magnetismo. Pietro e la sua famiglia, composta da papà, mamma e dieci fratelli, lui era l’ultimo, lasciarono l’Italia nel 1925, in pieno fascismo e furono accolti in Francia come profughi politici. Suo papà era antifascista, proprietario terriero, ma soprattutto a causa delle distruzioni belliche (avevano la casa vicino al Piave…) aveva perso tutto. Nel 1925 il termine geografico “Veneto” non esisteva ancora. Geograficamente si chiamava “la Venezia”. Assieme alla Venezia Tridentina, alla Venezia Giulia, c’era la Venezia Euganea, o Venezia propriamente detta. In parte Pierre e suo papà Alessandro avevano dunque ragione.

In elicottero lasciamo la laguna nord, per seguire subito la striscia bianca del Piave (o della Piave come si diceva nel 1925). “Voilà, M.Cardin, vous êtes né la bas”. Lui è felice come un bambino: “Donc, mon père, avait-il raison?” Sì, sì, suo padre aveva ragione, voi siete veneziani per, per…estensione geografica del termine. Anche Venezia si chiamò così solo nel ‘500, prima era Rivus Altus…

Ma torniamo al Lido. C’è la barca che ci aspetta. Cardin mi dice subito: “Se dobbiamo andare a mangiare, scegliamo un posto semplice, “populaire”, dove non voglio essere riconosciuto. Niente ristoranti famosi”. Ok Pierre, andiamo alle Vignole dalla Rina. “Parfait”, conferma Pierre. Raggiungiamo l’isola, dove i veneziani veraci andavano “a ombre e cicheti”, oppure semplicemente, a mangiare il pesce alla griglia. Luogo veramente “populaire”. A Cardin il posto piace subito, c’è una bella panoramica della laguna, ci sono le frasche, c’è il verde, c’è un tavolo tipico da vecchia osteria. Ci sediamo sulla riva e comincia a parlare del suo progetto su Venezia. “Ho passato una vita fantastica - dice- oltre alla felicità, sono anche diventato ricco. Vorrei fare qualcosa per la mia città d’origine”. Cardin fa un disegno su un tovagliolo e dice che l’ispirazione gli è venuta guardando un vaso di fiori. Poi l’ha sviluppato ed è venuta fuori una torre, “il Palais Lumière”, che gli piacerebbe fare ai bordi della laguna. Dalle parti di Porto Marghera. Una torre ecologica d’avanguardia, che auto-produce riscaldamento ed elettricità. Un centro della cultura e della moda. Quasi tutto trasparente. “Qualcosa che voi in Italia non avete. Sono sufficientemente vecchio per capire che questo è il mio ultimo progetto. Un ringraziamento alle mie origini”.

Appena illustrato il progetto, sono francamente stordito. Penso alle Soprintendenze, ai comitati dei No, alle invidie, agli altri architetti, a quello che diceva il vecchio sindaco democristiano degli anni Sessanta, Giovanni Favaretto Fisca: è più facile costruire un grattacielo a Milano che chiedere l’apertura di una finestrella a Venezia.

Ma i sogni sono sogni. Cardin mi chiede se posso essere messo in contatto con il sindaco. Chiamo Giorgio Orsoni e si dimostra subito favorevole. Cardin lo invita a Parigi per discuterne con calma. Ha una casa al Moulin Rouge che è anche suo.

Torniamo contenti a Venezia e Cardin mi confessa un piccolo segreto.

A palazzo Labia, dove all’epoca io lavoravo, nel 1951 ci fu “Le Bal Oriental”, organizzato da Charles de Beistegui, proprietario del palazzo. “Fu il mio primo exploit internazionale - mi ricorda Cardin - siccome a Parigi ero Pierre Le Venitien, Christian Dior mi incaricò di preparare assieme i costumi per la grande festa. Doveva essere una cosa d’altri tempi. Rivivere il Settecento della Serenissima. De Beistegui non badava a spese. Era un nobile di origine messicana, miliardario che aveva il passaporto francese e viveva a Venezia. Diciamo così, era un tipo “un po’” strano.

Fu definita la festa del secolo. Vennero per un giorno e una notte “affittati” tutti i gondolieri di Venezia, anche loro in costume. Fu la mia prima vetrina internazionale, avevo 28 anni…”. Tra gli invitati Orson Welles, Salvador Dalì, Winston Churchill, Aga Khan, Re Farouk, Giulia Maria Crespi proprietaria del Corriere e altri personaggi, oltre a principi e regnanti che preferivano l’anonimato. Cardin mi ricordò il particolare della contessa milanese Crespi. Aveva la sua età. Dentro una vasca colma di latte, si divertiva a recitare il ruolo di Agrippina, con finti schiavi africani che le facevano fresco con enormi ventagli di piume. Nina Ricci lo aiutava per i costumi. De Beistegui indossava un enorme damasco scarlatto, con parrucca bianca e sui piedi un plateau di 40 centimetri. In pratica navigava come nelle onde. La stragrande maggioranza degli invitati erano uomini. C’erano anche tre fotografi alla festa: Cecil Beaton, Robert Doisneau, Cornell Capa. Non tre semplici “scattini”. Tre leggende della fotografia mondiale. C’era anche un operatore della Rai, in pellicola. Le immagini non vennero diffuse. A Venezia il sindaco comunista Giobatta Gianquinto, mal tollerava queste mondanità estreme, oggi diremmo “di genere”. Fatto sta che durante la festa, qualcuno pensò ai vecchi patrizi Labia. Di origine ebraica catalana, avevano fatto una fortuna nel Seicento con i tessuti di Damasco e avevano ottenuto la cittadinanza serenissima, finanziando a suon di ducati oro, l’onerosa guerra di Candia contro i Turchi. Guerra che durava da parecchio tempo. “Labia o non l’abia, sempre Labia!”era un gioco di parole, un calembour, per dirla alla francese. I Labia gettavano le argenterie dopo le feste in rio di Cannaregio, per vedere i popolani tuffarsi subito in acqua, per recuperare i tesori. Durante “le Bal Oriental” qualcuno pensò, maldestramente, di lanciare delle banconote da mille lire al popolo in campo S.Geremia. Per il sindaco Gianquinto ce n’era abbastanza per decretare un foglio di via obbligatorio per “indegnità”. De Beistegui, tornò a Parigi, dove poi morì, mentre Pierre le Venitien divenne un’étoile nel bizzarro mondo della moda parigina. Elsa Schiaparelli, la sua prima madrina, lo lanciò in quel mondo frou frou.

Ora Pierre Cardin pensieroso, davanti palazzo Labia, mi dice: “Sarebbe bello poter vedere quelle immagini del 1951”.

Vite fait. Quando mi invitò a Ca’ Bragadin, gli feci avere la cassetta della vecchia pellicola, recuperata direttamente agli archivi Rai di Milano. Pierre le Venitien, era un bambino felice. Mi ringrazió di cuore.

Torniamo al Palais Lumière. Il nipote di Cardin, l’ingegner Rodrigo Basilicati, seguiva la burocrazia e l’iter dei permessi. Nel 2012 ci fu il sigillo della Regione Veneto, che appoggiava il progetto e anche quello del Comune di Venezia. Si trovarono i terreni nelle aree industriali abbandonate vicino al canale Bottenigo. Venne organizzata a Marghera una conferenza stampa per presentare il progetto. “È la sublimazione della mia carriera d’artista”, ricordò nell’occasione il novantenne Cardin.

Cominciò un fuoco incrociato per l’annientamento di un sogno. A me vennero in mente, subito, il mancato ponte di Rialto di Palladio e il palazzo sul Canal Grande di F.L. Wright. L’invidia è il più stupido dei peccati capitali.

La torre di 60 piani e 244 metri era troppo alta e ostacolava i voli dell’aeroporto (falso), c’era il vincolo paesaggistico del 1972 (falso), progetto finanziario insostenibile (falso). Si parlava di un miliardo e mezzo di euro e posti lavoro per 10 mila persone. Per i sindacalisti si offendeva la gloriosa storia del lavoro di Porto Marghera (falso). Pierre Cardin aveva deciso in quei tempi di spostare la sua immensa fortuna accumulata in Cina e a Hong Kong (fu il primo imprenditore europeo a investire in Oriente…) e riportarla in Francia e in Italia. I francesi erano un tantino gelosi. Falso anche il chiacchiericcio che Pierre Cardin chiedesse assistenza pubblica tipica dell’impresa italiana.

Nel 2014 il sogno di Pierre le Venitien era già morto e sepolto. Anche i partiti locali gli avevano chiesto di tutto e di più. E lui si era rotto.

Alcuni rapidi commenti benevoli. Paolo Portoghesi: un orribile vaso di fiori, roba da dilettanti. Il campanile di San Marco ne uscirebbe umiliato. Vittorio Gregotti: un’enorme porcata. Massimo Cacciari: una vera schifezza. Salvatore Settis: una torre di Babele targata Cardin. Solamente due intellettuali di peso: Cesare De Michelis e Bruno Zevi si dichiararono favorevoli al progetto.

L’ultimo sogno di Pierre Cardin meriterebbe un film. Storia di un bambino che a 8 anni è convinto di diventare sarto e artista e che a 90 anni, Venezia, la sua matrigna, lo ucciderà come sognatore. Morirà a 98 anni.Più telegrafica l’enciclopedia francese: Pierre Cardin, né le 2 Juliet 1922 dans un petit village de la Vénetie, mort a Paris le 29 décembre 2020.

Riposa in pace Pietro il Grande Veneziano.


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