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Mentre il mare continuava a restituire corpi senza vita si svolgeva a due passi dal luogo del tragico naufragio, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, una solenne via Crucis con l’intenzione di accostare la sofferenza e la passione di Gesù al dramma dei migranti che scappano dai loro paesi in fiamme osando la vita fino a trovare la morte in quelle acque del Mediterraneo diventato un cimitero che inghiotte corpi, a volte senza neppure restituirli per la sepoltura.
In poco più di dieci anni ci sono stati 26 mila morti. In maggior parte corpi di migranti partiti dall’Africa e dall’Asia, col sogno di raggiungere l’Europa. Il conto, è per difetto: molti naufragi restano infatti “invisibili” tant’è che spesso affiorano resti di barche o di corpi disfatti lungo le rotte del vecchio mare nostrum dominate dai “trafficanti di uomini”: uomini feroci e senz’anima. Milo Rau, regista e drammaturgo svizzero, conosciuto come “il rivoluzionario gentile” si è chiesto cosa predicherebbe Gesù nel XXI° secolo e ha messo in scena una “rivolta della dignità”, pensando ai migranti che attraversando il Mediterraneo soffrendo e morendo tornano alle radici del Vangelo, in quanto rappresentano la passione di un’intera civiltà.
Alcune tragedie del mare sono imprevedibili ma per altre, come quest’ultima di Steccato di Cutro, non si può dire lo stesso.
Qualcosa poteva essere fatto e non è stato fatto. Ora, si tratta di accertare le responsabilità del mancato soccorso, ma è miserevole consolazione conoscere la verità, semmai la conosceremo, di fronte ai corpi che il mare ha inghiottito e restituito morti, senza fretta.
Bambini, adulti, donne, uomini, madri, padri, figli. Anche un neonato c’era, nel mare davanti a Cutro. In comune tutti avevano la disperazione che li ha spinti a partire, ma neppure questo “bisogno” di lasciare la propria terra è stata compreso, nel nostro mondo dominato dall’indifferenza e dall’impietà.
Il ministro dell’Interno del Governo italiano Matteo Piantedosi, un ex prefetto del cui sventurato lessico abbiamo detto e scritto, ha candidamente affermato:” Da disperato non partirei io educato a chiedermi cosa posso fare al mio Paese”.
Qualcuno ha parlato di linguaggio osceno, ma non è il caso di aggettivare affermazioni che si commentano da sole. Se avessero un minimo di fondamento o di ragione le parole di Piantedosi neppure Enea, con caricato sulle spalle il padre Anchise, sarebbe dovuto partire.
E non sarebbero dovuti partire milioni di uomini e donne che nei millenni si sono messi in viaggio lungo della storia dell’umanità. E’ la necessità che spinge a partire, non c’entra l’educazione familiare e personale, signor ministro. Le sue parole stridono con la pagina del Vangelo che i soccorritori: gente comune, professionisti, pescatori, giovani, anziani, donne uomini, hanno scritto a Steccato di Cutro, nella notte buia e nella prima luce del giorno, quando generosamente si sono presi cura di essere umani che si sono trasfigurati nel Volto di Cristo.
Si capisce bene perché il tema scelto per la via Crucis sulla spiaggia fosse:” Con Cristo, tra i migranti, dinanzi all’indifferenza dei potenti”. Preghiere e solidarietà contro cinismo sono andati in scena a Cutro e un frammento di quella croce realizzata con i legni del barcone è stato portato al Papa. Ma non c’è niente di eccezionale in questa pagina scritta dai calabresi a Cutro.
L’esperienza cristiana in Calabria ha tradizioni antiche e consolidate, fa parte del Vangelo dei poveri, che è da sempre nutrimento per credenti e non credenti. Il messaggio del Vangelo, è lo sguardo più realistico e allo stesso tempo più positivo che la Calabria ha scritto sulla propria pelle.
Quello che l’Italia ha visto a Cutro è il volto “normale” della Calabria, è la risposta di un popolo all’assenza e al silenzio secolari dello Stato, che quando parla sproloquia.
Ad un mio post su Facebook dove ho scritto: “A Cutro, dove lo Stato non c’era, la Calabria ha scritto una pagina di Vangelo”, don Silvio Mesiti, punto di riferimento del volontariato calabrese, prete degli ultimi, cappellano del supercarcere di Palmi, il cui motto è: “C’è speranza dietro le sbarre”, ha commentato: “Sempre, ogni giorno, comunque, e non solo nei momenti di emergenza, sono disponibili i calabresi, anche con i più poveri, privi di lavoro, di sanità e spesso dimenticati dalla pseudo politica.
Si scriva e si dica nei vari servizi televisivi che la Calabria non è solo ndrangheta, anche se questa triste piaga esiste tra noi, come purtroppo esiste in tutta la nostra repubblica, dal nord al sud”.
Cutro è una pagina di Vangelo scritta tra mare, cielo e terra in una terra generosa che è un porto sicuro per chi fugge. Nomi come Cutro, Riace, Roccella e decine di altri paesi della costa ionica e tirrenica di tutta la regione rappresentano il cuore vero e sincero della Calabria che aspetta da secoli di spiccare il volo, mentre tanti sogni cadono sul suolo dell’indifferenza.
A volte succede che i Governi mostrino di voler accendere una luce sull’esilio della Calabria, come questa volta a Cutro, dove è accaduta una delle più gradi tragedie del mare. Ma sbagliano i tempi e i modi.
L’idea del consiglio dei ministri riunito a Cutro è poca cosa, non significa niente. E’ stato un viaggio inutile, burocratico, forse propagandistico, di un Governo che non spiega: resta distante dal dolore dei superstiti e dalle lacrime dei soccorritori e s’infastidisce alle domande dei giornalisti che chiedono di conoscere la verità.
A Cutro, senza neppure un saluto ai superstiti e un momento di raccoglimento sulla spiaggia o davanti alle bare in fila nel palasport è stata solo macchiata la pagina del Vangelo scritta dai cutresi.
Ma in tutto questo non dimentichiamo la dignità e la solennità del gesto del presidente Mattarella nel suo composto e cristiano saluto che ha salvato la faccia dello Stato italiano.