Addio a Claudio Donat Cattin, una storia da grande cronista e grande interprete dei sentimenti del Paese
“Con Claudio Donat Cattin – scrive sul suo profilo Twitter Bruno Vespa- scompare un grande professionista, un amico di lunga data, un instancabile compagno di lavoro.  Vicedirettore del Giorno e di Raiuno, è stato un punto di forza di Porta a porta fin dalla Fondazione”. Qui Pino Nano ricorda il suo primo incontro con lui, complice Vito Napoli, storico giornalista a La Stampa di Torino e poi più volte uomo di Governo democristiano.
di Pino Nano
Martedì 27 Dicembre 2022
Roma - 27 dic 2022 (Prima Pagina News)
“Con Claudio Donat Cattin – scrive sul suo profilo Twitter Bruno Vespa- scompare un grande professionista, un amico di lunga data, un instancabile compagno di lavoro.  Vicedirettore del Giorno e di Raiuno, è stato un punto di forza di Porta a porta fin dalla Fondazione”. Qui Pino Nano ricorda il suo primo incontro con lui, complice Vito Napoli, storico giornalista a La Stampa di Torino e poi più volte uomo di Governo democristiano.

È morto l’altra notte all’ospedale Gemelli di Roma Claudio Donat Cattin. Aveva ancora 79 anni, era nato a Murazzano, in provincia di Cuneo, ed era il primogenito dei figli di Carlo Donat-Cattin, personalità storica della Dc, di cui presiedeva la Fondazione dedicata al padre. Appassionato di giornalismo, Claudio Donat Cattin aveva iniziato la sua carriera alla 'Gazzetta del Popolo' di Torino, come cronista di nera, in seguito ne divenne Vicedirettore, e poi anche vicedirettore de 'Il Giorno'. Autore, tra l’altro, con il collega Vito Napoli, di un'inchiesta sullo scandalo delle Cliniche nella Sanità Torinese nel 1969, un reportage che fece scalpore per quei tempi, e che vinse il Premio 'Saint Vincent' per la cronaca nel 1971. Poi a Roma come Capo struttura di RAI UNO per lunghissimi anni.

“Onorò il padre con discrezione, presiedendo la fondazione a lui dedicata, ma ebbe sempre luce propria in ruoli professionali di primissimo piano”, dice di lui Gianfranco RotondiOsvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione, parla invece di un “caro amico” perso per il suo “tesoro di umanità e di cultura” che ha “pagato, in silenzio, per il peso del nome che portava”.

A presentarmi Claudio Donat Cattin fu esattamente 45 anni fa Vito Napoli, allora lui appena eletto deputato nelle file della DC in Calabria e per lunghi anni a Torino Capo dell’Ufficio Stampa di Carlo Donat Cattin, suo padre ministro.

Io allora non ero ancora diventato giornalista professionista e la mia aspirazione era quella di poter fare l’inviato per un grande giornale nazionale. Chiesi allora aiuto a Vito Napoli, che avevo appena conosciuto a Saint Vincent, in uno dei tradizionali raduni che Carlo Donat Cattin teneva ogni anno a settembre al Billia, dove il “vecchio” riuniva la sua corrente, Forze Nuove, per definirne programmi e strategie. La scelta di Saint Vincent era legata al fatto che Forze Nuove, da Vittorino Colombo e Guido Bodrato in giù, avesse nel Nord Italia il numero maggiore di iscritti e soprattutto di parlamentari legati al gruppo.

Allora nei giornali si arrivava solo così. Se avevi qualcuno che ti inseriva, bene, e poi pian piano -se ne eri capace- andavi avanti da solo. Altrimenti, si tornava a casa propria. E quando io manifestai a Vito Napoli, che allora era soprattutto un giornalista di grande livello professionale prima ancora che un parlamentare, e poi ancora sottosegretario di Stato alle Attività Produttive, Vito mi disse immediatamente che forse conosceva la persona giusta per darmi se non altro un consiglio utile.

Eravamo ricordo a settembre del 1977-78, e di rientro dal raduno di Saint Vincent Vito Napoli mi disse che a ottobre sarei dovuto tornare a Torino per un primo colloquio con un suo amico giornalista.

Non mi disse altro quel giorno. Io aspettai due settimane, poi la terza settimana Vito mi chiamò al telefono, per queste cose era sempre impeccabile e puntualissimo, e mi disse che il suo amico lo avrei trovato alla Gazzetta del Popolo di Torino e che mi avrebbe visto molto volentieri per la fine del mese di ottobre.

Un lunedì pomeriggio mi presentai allora a Torino, nella sede centrale della Gazzetta del Popolo, che allora era diretta da Michele Torre, giornalista succeduto nella guida del giornale a Giorgio Vecchiato Arturo Chiodi, Ugo Zatterin e Riccardo Forte e chiesi di Claudio Donat Cattin. Claudio era ancora giovanissimo, ma la cosa che quel giorno di lui mi colpì di più fu la cordialità e la semplicità con cui mi accolse nella sua stanza, che stava proprio accanto a quella del Direttore della Gazzetta del Popolo Michele Torre.

Mi chiese subito della mia vita, delle mie aspirazioni, delle mie esperienze passate, e dopo avermi interrogato a lungo e con un garbo estremo, mi disse “Se hai voglia di provare qui da noi, qui c’è posto per un giovane che ha voglia di stare per strada dodici ore al giorno e capire come va il mondo delle fabbriche”. Praticamente mi stava offrendo una prima collaborazione importante.

Gli chiesi una settimana di tempo per riflettere sulla sua proposta, volevo parlarne prima di tutto con mio padre, tornando in Calabria. Mio padre era un uomo di grande cultura, si era laureato in tedesco alla Ca Foscari di Venezia, e non digeriva molto l’idea di avere un figlio giornalista. Da vecchio preside continuava a pensare che il mestiere del giornalista non fosse un mestiere serio, che fosse più adatto a uomini di spettacolo o di teatro che non invece a professionisti completi. Era questo che continuava a ripetermi ogni qualvolta io affrontavo il discorso con lui.

In compenso mi concessi però tre giorni di vacanza sotto la Mole Antonelliana, volevo rendermi conto di che razza di posto fosse Torino, e volevo soprattutto capire in che modo io avrei potuto incominciare a raccontare la realtà urbana di quella che allora era considerata la vera grande capitale industriale d’Italia. E qui viene il bello.

Per tre giorni vado in giro per la città come un automa, a caccia di chissà che cosa, non lo sapevo neanch’io, ma alle tre del pomeriggio accadeva quello che io non avrei mai immaginato. La città si rabbuiava, per le strade scendeva una coltre di nebbia fitta come una barriera di vapore, e il cielo si tingeva di nero. Alle tre del pomeriggio la giornata sembrava essere già finita, avvolta dalle tenebre, e la cosa mi provocò grande senso di solitudine e di angoscia.

Ma come avrei mai potuto vivere in una città come questa?

Io venivo dalla Calabria, e a ottobre la gente laggiù andava ancora al mare, di solito faceva sera dopo il tramonto, e il sole lambiva le nostre vite almeno fino alle sette della sera. Altra vita, altro clima, altra dimensione, soprattutto altra qualità esistenziale.

Dopo il terzo giorno trascorso a Torino, chiamai Claudio Donat Cattin al telefono e gli dissi la verità. “Claudio io ti ringrazio tantissimo, ma non è la città ideale per me. Troppo smog, troppa poca luce solare, preferisco tornarmene al Sud e aspettare ancora”.

Ricordo che Claudio la prese male. Da piemontese doc non poteva evidentemente capire il mio disagio e mi rispose a muso duro: “In questo mestiere un’occasione come questa è rara, se hai deciso così io rispetto la tua decisione, ma tu ti assumi una grande responsabilità verso te stesso e le tue aspirazioni”.

Io lasciai Torino quel giorno e non ci feci più ritorno, se non per vacanza tanti anni dopo, ma Claudio lo ritrovai vent’anni dopo a Roma alla RAI, dove nel frattempo – diventato io professionista al Popolo- ero stato assunto in RAI proprio grazie all’aiuto di suo padre Carlo Donat Cattin.

La lottizzazione allora era una regola ferrea nel gioco delle assunzioni alla RAI, e nel 1982 un posto toccò anche alla corrente di Forze Nuove. Vito Napoli fece il resto. Convinse Carlo Donat Cattin che la mia assunzione alla RAI sarebbe stata strategica per il rilancio al Sud della corrente, e che sarebbe valsa la pensa di provare. Il “vecchio ministro del lavoro” chiamò allora nella stanza accanto alla sua, eravamo nel suo ufficio romano di Piazza di Pietra, il suo braccio destro, che era ricordo Emerenzio Barbieri, e gli disse di segnalare il mio curriculum al direttore generale della Rai. Un mese dopo io ero già dentro.

Andai così alla Sede RAI di Cosenza, dove incominciai il mio lavoro, in attesa che si liberasse un posto al TG1 dove Carlo Donat Cattin e Vito Napoli volevano che io andassi a lavorare in maniera definitiva. Le cose andarono poi diversamente. Io rimasi alla Sede RAI della Calabria per oltre 30 anni, fino a quando non mi venne offerta l’occasione di tornare a Roma e questa volta come Capo Struttura de La Vita in Diretta, programma per cui io avevo già lavorato almeno dieci anni prima come inviato di cronaca. E qui ritrovo, per la seconda volta sulla mia strada, Claudio Donat Cattin, che era già ammalto ricordo, e che collaborava sia con Bruno Vespa Porta a Porta sia anche con gli autori e la redazione de La Vita in Diretta, in testa per tutti lo storico Daniel Toaff.

E questa volta fu lui a consigliarmi di non lasciare la mia redazione per quella romana. Ricordo che mi disse “Roma è una città infernale, e la qualità della vita che hai in provincia qui non esiste. Non farti abbindolare da chi ti prospetta un futuro importante”. Di rimando gli chiesi “ma tu perché non torni a Torino?”, e lui mi rispose secco “Perché ho bisogno ancora di lavorare, e qui ho trovato amici veri che mi aiutano a farlo ancora bene”. Il riferimento era a Bruno Vespa che lo aveva accolto a Porta a Porta e conoscendo la sua precisione e il suo rigore professionale gli aveva dato carta bianca.

Che dire di più?

Addio Claudio. È stato bello conoscerti, e spero solo che tu ora possa ritrovare la serenità che ad un certo punto sembrava avessi perso lungo la strada della vita.


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