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Un libro appena fresco di stampa ricorda e racconta uno dei più grandi artisti calabresi del Novecento, Nik Spatari. Dentro queste pagine il fascino del grande Museo di Mammola.
Un libro appena fresco di stampa ricorda e racconta uno dei più grandi artisti calabresi del Novecento, Nik Spatari. Dentro queste pagine il fascino del grande Museo di Mammola.
“L’intento di questo libro – scrive l’autrice Caterina Malfarà Sacchini, intellettuale calabrese cresciuta come guida turistica, interprete e appassionata di opere d’arte- è quello di valorizzare la figura di un artista singolare, per storia e vicende personali, e del luogo che ne conserva la memoria. Vi ho inserito alcune fotografie di repertorio, ma moltissime sono quelle che io stessa ho eseguito durante i miei diversi sopralluoghi. Rammento la vivezza negli occhi di Nik Spatari, riflesso di un acume mentale, di una profonda e inimitabile emotività e sensibilità. Sono immagini che mai dimenticherò. Mi sono ritrovata partecipe di questa impresa, scorgendo lo spirito insito nella sua arte, ho pianto, scoprendo un mondo inaspettato dove il tempo, l’aria del Sud e l’arte si mescolano creando un’armonia di colori e forme mai visti prima ma soprattutto ho pianto commossa dal suo sorriso puro e dal suo animo trascendente che personalmente ricorderò per sempre, infine ho pianto perché sono riuscita a comprendere l’immenso valore dell’arte che può salvare uomini e territori… l’arte può salvare il mondo così come ha salvato questo lembo di Calabria”.
-Cosa significa tutto questo?
“Vede, questo libro non è un libro su Nik Spatari, perché non si esaurisce solo a lui, ma vuole mettere in evidenza due concetti fondamentali. Primo, l'arte, che salva i territori, perché questo è successo a Mammola e non solo a Mammola. Secondo, l’arte che salva anche gli uomini, perché tutto questo porta equilibrio interiore. Mi creda, l’arte aiuta a combattere la solitudine, tiene accesa la speranza, per rimanere in tema di giubileo. L’arte è una forma di speranza, lo diceva Gherard Richter, e lo è soprattutto per quegli artisti che devono fare i conti con una propria disabilità, da Caravaggio al Guercino, da Monet a Renoir, da Frida Kahlo a Nik Spatari”.
-Caterina, da dove le deriva questa certezza critica?
“Da una premessa di fondo che è questa, Nik Spatari è certamente uno tra i protagonisti dell'arte del Novecento. Sicuramente un fuori tempo, quello che molti oggi definirebbero un fuori classe e che la critica definì “sconsiderato” perché ribelle a qualunque scuola e profondamente innovatore. Nik Spatari è un rinascimentale d’avanguardia che con il suo genio ha fatto un miracolo, incarnando la voglia di riscatto di una intera regione. La storia di Nik Spatari è la storia di una scommessa vinta, per sé e per noi”.
-Nel suo libro lei racconta anche della menomazione fisica di Spatari?
“Nik Spatari una condizione di disabilità estrema poiché, a causa dello scoppio di una granata, Nik, in tenera età, aveva perso l'udito e la parola. Spatari, tuttavia, si riteneva fortunato perché nel silenzio, attraverso l’immaginazione e una continua ricerca interiore, concentrandosi quasi esclusivamente su forme visuali, era riuscito a vedere il passato, il futuro, arrivando da solo a scoprire un mondo. Diceva “I colori rappresentano l’universo e io vedo tutto attraverso immagini e colori come in un sogno”. L’arte di Spatari, ancora poco approfondita dalla critica, non può essere solo raccontata ma va compresa contemplando le sue opere”.
-Quando lei parla di Nik Spatari parla anche del suo Grande Museo all’aperto?
“Lo vada a vedere se non cè già stato, il MuSaBa rappresenta il miracolo di Spatari e incarna la voglia di riscatto di una regione. Il Museo di Mammola è una risposta culturale fortemente voluta contro quel vuoto che predispone alla nascita e al fiorire di attività criminali. Per portare avanti questo sogno Nik e sua moglie Hiske Mass hanno dovuto superare molte prove, comprese minacce, vessazioni, azioni dolose e perfino due sequestri del MuSaBa. Ma oggi questa del Musaba è la storia di una scommessa vinta”.
-Presentando il suo libro lei ha parlato molto della difficoltà di arrivare fino in fondo. Posso chiederle il perché?
“Il problema principale da affrontare è stata la difficoltà di rintracciare valide fonti bibliografiche sull’artista, a cui sono stati dedicati solo di recente, e in maniera ancora frammentaria, contributi significativi. Ho dunque potuto trarre le informazioni necessarie, oltre che dalla consultazione di queste, anche dalle ripetute visite al MuSaBa. L’ho fatto già prima, quando l’artista era ancora in vita, e poi più di recente grazie agli incontri con Hiske Maas, compagna di una vita per Nik Spatari. Hiske mi ha gentilmente concesso del materiale, anche inedito, in consultazione, e un interessante colloquio; mi ha inoltre permesso di entrare in contatto con coloro che, entrando a far parte di questa realtà entusiasmante, aiutano a gestire attualmente il Museo”.
-Nel suo libro lei racconta moltissimo di Nik Spatari…
“Ricordo soprattutto un indimenticabile colloquio personale con l’artista. Ricordo che si esprimeva a fatica, con parole a tratti strascicate e talvolta incomprensibili proprio a causa della sua disabilità, ma il suo messaggio era chiaro perché erano i suoi occhi a esprimerlo.
-Si ricorda cosa le disse?
“Ho trascritto il testo di quella conversazione nel mio libro. Nik Spatari mi disse questo: “Ho viaggiato attraverso i continenti. Ma ho un solo legame profondo: quello con il Mediterraneo. Appartengo al Mediterraneo fortemente. Il Mediterraneo, re delle forme e della luce. E nel Mediterraneo, la Calabria, luce decisiva e paesaggio imperativo…la nostra terra è identità, è bellezza, un incantesimo eterno, infinito; il nostro Aspromonte è ricco di colori e io lo voglio raccontare nelle mie opere”.
-Bellissimo…
“Sono parole che ti toccano l’animo e ti trasmettono l’amore viscerale di un calabrese per la sua terra. Un mosaico di immagini, ho scritto nella mia prefazione al libro, una visione che contempla ed esalta l'immensità degli spazi, dove luce, forme e colori esplodono e si urtano divenendo parte di un'architettura materiale in cui si trova l'essenza, l'energia della vita e dell'astrazione spirituale, che invade gli esseri e le cose che ci circondano da qui all'eternità”.
-Mi pare un invito-aperto a visitare il Museo di Mammola o sbaglio?
“Lo scrivo nella parte finale del mio libro. Un vecchio proverbio indiano suggerisce che “quando si arriva all’ultima pagina si deve chiudere il libro”, io invece vi invito a venire qui, per rileggere tra le righe e rivivere di persona, a Mammola, insieme a me, un’esperienza di salvezza con l’arte, guardando, col naso all’insù, mirabili opere che stupiscono ed emozionano”. Il Musaba è qui in Calabria, a Mammola, a raccontarci sogni e speranze di una terra utopica, in cui l’arte fa difficoltà a vivere, ma che, nonostante questo, prospera, perché vi sono persone pronte a scommettere sui sogni. Il sogno di Nik e Hiske è il segno di riscatto per questa regione. Le opere e l’esempio di Spatari e l’esperienza del MuSaBa, che ho voluto analizzare, sono, infatti, il simbolo di una Calabria che, soprattutto nei suoi territori più difficili, riesce ad esprimere sé stessa elevando lo spirito attraverso la condivisione della bellezza che, come scrisse Dostoevskij, “salverà il mondo”.
-Colgo da quello che mi dice un senso di orgoglio che non è solo letterario o intellettuale ma anche personale?
“Vede, io ho tentato di ripercorrere la storia di Nik Spatari, uno dei pochi artisti contemporanei, noto oltreoceano, di cui la Calabria può senza dubbio essere orgogliosa, cercando di riconsegnargli il posto che merita e mettendo in evidenza una vicenda nota, apparentemente lineare, ma che presenta anche molte zone grigie e non pochi coni d’ombra che lo avvolsero con cupa simultaneità. Per me Nik Spatari rimane un “eroe silenzioso”, di questa terra, per aver vissuto, nella sua dimensione solitaria, una pionieristica esperienza artistica in Calabria. Lo scriva anche lei per favore, Nik sarà storia. E’ inevitabile, ma di lui non rimarranno solo le sue opere, meravigliose creazioni, racchiuse in quell’incredibile scrigno d’arte che è il MuSaBa, una fantasmagorica utopia diventata solida realtà, ma soprattutto i suoi messaggi di futuro e di identità resteranno impressi nella storia di questa terra perché Nik aveva una dimensione mondiale, ma la sua anima era totalmente calabrese”.