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La quota di imprese che dichiarano difficoltà è più elevata nell’industria (73,5%) che nei servizi (65,0%).
La quota di imprese che dichiarano difficoltà è più elevata nell’industria (73,5%) che nei servizi (65,0%).
Tra le imprese che hanno la ricerca di personale in corso, "il 69,8% ha riportato di aver riscontrato difficoltà. La quota di imprese che dichiarano difficoltà è più elevata nell’industria (73,5%) che nei servizi (65,0%) e cresce con la dimensione aziendale, dal 64,8% nelle imprese piccole, al 72,8% in quelle medie e al 77,6% nelle grandi".
E' quanto risulta dall'indagine di Confindustria sul lavoro del 2024.
"Le maggiori problematiche emergono per le competenze tecniche (segnalate dal 69,2% delle imprese con difficoltà di reperimento) e per quelle manuali (47,2%). Meno diffuse le segnalazioni riguardanti le competenze trasversali (16,5%) e quelle manageriali (8,3%). Per quanto riguarda, invece, gli ambiti aziendali, si registrano maggiori problemi nel reperire risorse con competenze funzionali alla transizione digitale, segnalate mediamente dal 66,3% delle imprese con difficoltà di reperimento, e in particolare dal 76,6% nei servizi (contro 58,4% nell’industria). Risultano meno diffuse le problematiche negli ambiti internazionalizzazione (32,5%) e green (15,1%), anche se per entrambe si rileva una maggiore diffusione in imprese grandi e industriali".
"Quasi i due terzi delle imprese che segnalano difficoltà di reperimento (64,3%) intraprende azioni per farvi fronte, concentrandosi soprattutto sulla formazione del personale attualmente in forza (59,7%). Da sottolineare, inoltre, che il 49,0% delle imprese ricorre a servizi esterni, come consulenze e collaborazioni, e che il 38,3% è intervenuta allargardo il bacino di ricerca in termini di aree geografiche o metodologie di recruitment. Infine, più di un quarto del totale delle imprese (28,5%) è coinvolto in programmi educativi sul territorio (ITS Academy, PCTO, tirocini curriculari, ecc.), oltre la metà (50,7%) tra quelle più grandi", prosegue la nota.
"Ancora in tema di competenze, dall’indagine risulta che nel corso del 2023 ben oltre la metà delle imprese ha offerto ai propri dipendenti (non dirigenti) almeno un’attività di formazione diversa da quella obbligatoria, per una percentuale di dipendenti in formazione in queste imprese mediamente pari al 57,0%.
Come detto, la formazione dei dipendenti rappresenta una delle azioni principali messe in campo dalle imprese per affrontare la carenza di competenze sul mercato del lavoro. Tale evidenza è dimostrata anche dal fatto che, se nella media nazionale la quota di imprese che ha svolto attività di formazione nel 2023 è pari al 57,0%, la quota di imprese “formatrici” è sensibilmente più alta tra quelle che hanno riscontrato una qualche difficoltà di reperimento delle competenze (66,0%) rispetto a quelle che o non cercavano o non hanno riscontrato difficoltà (51,4%).
Ciò vale a prescindere dal settore o dalla dimensione aziendale, ma va tuttavia rilevato che la differenza tra le due quote è sensibilmente più alta nell’industria (dove è pari a 18 punti percentuali) e in particolare tra le piccole imprese industriali (21,6 punti percentuali)", prosegue la nota.
"Con riferimento al lavoro agile, i risultati indicano che il 32,6% delle imprese che hanno partecipato all’indagine ha utilizzato questa modalità di lavoro nel 2023. In particolare, questa quota risulta quasi quadruplicata rispetto alle imprese che lo utilizzavano prima del Covid. Per quanto riguarda l’intensità di utilizzo del lavoro agile, nelle imprese in cui esso è previsto, mediamente il 34% dei dipendenti non dirigenti ha utilizzato tale modalità di lavoro, per lo più per 2 o 3 giorni a settimana (tra 4 e 12 giorni al mese)".
"L’indagine continua a monitorare l’applicazione di contratti collettivi aziendali e le materie regolate da questi accordi. A inizio 2024 oltre un quarto delle imprese associate (il 25,2%) applica un contratto aziendale, cioè firmato con RSU/RSA o rappresentanze territoriali. La diffusione è maggiore nell’industria in senso stretto (dove il contratto aziendale è presente nel 33,4% delle imprese) rispetto ai servizi (18,1%) e nelle imprese più grandi (76,9% in quelle con 100 o più dipendenti) rispetto a quelle più piccole (11,6% fino ai 15 dipendenti)".
"La diffusione della contrattazione aziendale mostra quindi percentuali più elevate se calcolata sulla base degli addetti: risultano occupati presso aziende che la applicano il 65,1% dei dipendenti nel campione complessivo – media tra il 69% registrato nell’industria in senso stretto e il 59,1% registrato nei servizi".
"Le materie regolate dal contratto aziendale, quando presente, sono principalmente i premi di risultato collettivi (nel 60,4% dei contratti), la conversione dei premi di risultato in welfare (47,7%), l’orario di lavoro (46,7%), l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi (39%), la conciliazione vita-lavoro (36,7%)".
"L’indagine di quest’anno contiene un focus proprio con riferimento ai premi variabili collettivi e alla loro conversione in welfare. Innanzitutto, l’indagine ha rilevato che nel 2023 in oltre il 60% delle imprese sono stati effettivamente erogati i premi variabili collettivi previsti dal contratto aziendale. Inoltre, nel 40,2% delle imprese mediamente un terzo dei lavoratori ha deciso di convertire i due terzi del premio ricevuto in welfare".
"Il 51,3% delle imprese hanno dichiarato di erogare welfare. Tale quota deriva dalla somma di coloro che lo erogano perché previsto dalla contrattazione aziendale (14,4% del totale) e di coloro che lo erogano perché previsto da altre fonti (es. CCNL) o su iniziativa unilaterale del datore di lavoro".