Eurispes: "Il 57% degli italiani non riesce ad arrivare a fine mese"

"Poco più di uno su quattro riesce a risparmiare (28,3%), il 36,8% attinge ai risparmi per arrivare a fine mese".

(Prima Pagina News)
Venerdì 24 Maggio 2024
Roma - 24 mag 2024 (Prima Pagina News)

"Poco più di uno su quattro riesce a risparmiare (28,3%), il 36,8% attinge ai risparmi per arrivare a fine mese".

Rispetto all'anno scorso c'è "un lieve miglioramento di alcuni indicatori della situazione economica delle famiglie italiane. Resta però una parte della popolazione che si trova a dover affrontare situazioni difficili come quella di non riuscire ad arrivare a fine mese senza grandi difficoltà (57,4%). Anche le bollette (33,1%), l’affitto (45,5%) e le rate del mutuo (32,1%) sono un problema per molte famiglie.

D’altronde, i prezzi dei beni di consumo sono in aumento secondo il giudizio dell’83% degli italiani e questo andamento costringe a trovare degli escamotage per far quadrare i conti.

Si chiede aiuto soprattutto alla famiglia d’origine (32,1%) e si usa molto l’acquisto a rate (42,7%), si pagano in nero alcuni servizi come ripetizioni, baby sitter, ecc. (33,6%) e quasi 3 italiani su 10 rinunciano a cure/interventi dentistici o controlli medici".

E' quanto emerge dal Rapporto Italia 2024 dell'Eurispes. "La maggior parte degli italiani (55,5%) ritiene che la situazione economica del Paese abbia subìto un peggioramento nel corso dell’ultimo anno, per il 18,6% la situazione è rimasta stabile, mentre solo un italiano su dieci (10%) ha indicato segnali di miglioramento. Il 15,6% non sa o non ha voluto fornire alcuna risposta. Guardando al futuro, i cittadini sono invece cauti: per il 33,2% la situazione economica italiana resterà stabile nei prossimi dodici mesi. I pessimisti, che attendono un peggioramento, sono il 31,6%, mentre il 10,8% prospetta un periodo di crescita economica.

Il 40,9% dei cittadini afferma però che la situazione economica personale e familiare negli ultimi 12 mesi è rimasta stabile. Anche se con diversa intensità, complessivamente il 35,4% degli italiani denuncia un peggioramento della propria condizione economica, mentre il 14,2% parla di un miglioramento. Poco più di uno su quattro riesce a risparmiare (28,3%), il 36,8% attinge ai risparmi per arrivare a fine mese.

Nelle difficoltà economiche alcuni sono ricorsi al sostegno di amici, colleghi e altri parenti (17,2%); il 16% ha richiesto un prestito in banca, mentre il 13,6% ha dovuto chiedere soldi in prestito a privati (non amici o parenti) con il pericolo di scivolare nelle maglie dell’usura. Diffusa la vendita online di beni e oggetti (27,5%). Il 37,6% degli italiani ha dovuto rinunciare alla baby sitter e il 24,3% alla badante. Il 15,3% ha dovuto vendere o ha perso beni come la casa o l’attività commerciale/imprenditoriale.

Si acquista molto a rate (42,7%), spesso su piattaforme online a interessi zero (21,3%). Il 14,6% ha noleggiato abiti e accessori in occasione di feste o cerimonie, e l’11,7% è tornato a vivere in casa con la famiglia d’origine.

Poiché far fronte alle spese mediche mette in difficoltà nel 28,3% dei casi, le rinunce toccano anche la salute e si fa a meno di visite specialistiche per disturbi o patologie specifiche (23,1%), a terapie/interventi medici (17,3%), all’acquisto di medicinali (15,9%).

Come Istituto continuiamo a caldeggiare, così come facciamo da orami vent’anni, l’introduzione del quoziente familiare come sostegno al reddito delle famiglie italiane. Il quoziente familiare, a differenza di quanto avviene oggi in Italia, dove la tassazione ha una base individuale che, a parità di reddito, penalizza le famiglie monoreddito e quelle con figli a carico, favorirebbe una riduzione delle tasse. In sostanza, ribalterebbe il sistema attuale di tassazione, basato sui redditi individuali.

Questo sistema avvantaggerebbe le famiglie con figli, diventando così, seppur indirettamente, un incentivo alla natalità. L’imposizione fiscale cadrebbe, quindi, sul reddito medio pro capite, piuttosto che su quello familiare unitario. Introdurre anche in Italia il quoziente familiare secondo il modello francese potrebbe senz’altro comportare per le famiglie un risparmio medio annuo di imposta, che andrebbe ad aumentare al crescere del reddito e del numero dei componenti delle famiglie.

I vantaggi sono assicurati dal fatto che le aliquote progressive verrebbero applicate sul reddito medio pro capite (per definizione inferiore) e non sul reddito di ogni componente familiare", prosegue l'Istituto.

"Nel Rapporto dello scorso anno - ha detto il Presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara- avevamo richiamato l’attenzione sul fatto che stavamo vivendo un periodo di tempi straordinari e che questa situazione, per molti aspetti inattesa e imprevedibile, richiedeva a tutti uno sforzo di adeguamento culturale, innanzitutto, quindi politico, economico e sociale. I tempi straordinari, dunque, ai quali facciamo riferimento da alcuni anni nelle nostre analisi, stanno determinando una situazione nella quale l’incertezza e l’instabilità sono diventate una norma, in grado di condizionare ogni nostra possibilità di ulteriore sviluppo.

Abbiamo compreso che il mondo è interconnesso e siamo informati di ogni accadimento negativo in tempo reale: il punto di novità risiede, a nostro avviso, nello iato crescente fra la mole della nostra consapevolezza informata su ciò che accade nel mondo e la nostra capacità di ridurre tutte queste informazioni a dimensioni cognitivamente gestibili".

"L’Italia - ha evidenziato Fara -è al bivio in riferimento alle scelte culturali, politiche ed economiche da compiere. Serve coraggio. Non ci stancheremo mai di ripetere che la prima risposta possibile sta nel “coraggio di avere coraggio”. Accompagniamo il nostro ragionamento con una semplice metafora. Fate uno sforzo di immaginazione e ponete di fronte ai vostri occhi una lunga strada. Una strada piena di buche: grandi e piccole, superficiali e profonde, regolari e non.

Si presentano di fronte a voi due precise opzioni alternative: tappare le buche? Oppure rifare una strada nuova, magari orientandola diversamente da quella attuale, così da evitare gli ostacoli delle radici degli alberi e altri elementi naturali che alterano la sua superficie?

Insomma, è preferibile l’adattamento o la trasformazione? È preferibile orientarsi verso una politica che tenta di porre un argine alle emergenze con interventi anche adatti, ma non risolutivi, oppure una riforma profonda, faticosa anche complessa, che ristrutturi in modo lungimirante e funzionale un intero sistema?

Nella risposta che diamo c’è anche la nostra idea di futuro. Non vi è dubbio, infatti, che quando operiamo sulla linea dell’adattamento stiamo cercando di migliorare, aggiustare situazioni, consolidate nel tempo, nelle quali siamo abituati ad operare, per cercare di armonizzarle alle nuove condizioni di crescita e progresso.

Ben diverso è l’approccio della trasformazione. Quando il sentiero che stiamo percorrendo ci porta di fronte ad un bivio e ci obbliga a fare delle scelte di fondo: quale direzione prendere? Quale progetto elaborare e perseguire? Quale futuro costruire? Siamo, dunque, arrivati ad un bivio, dobbiamo scegliere: adattamento o trasformazione? Patto per la conservazione, o patto per il futuro? Ampliamento, Varietà e Mutazione: sono tre forze della natura scatenate dalla globalizzazione moderna che nel complesso stanno generando un quadro della realtà sempre più difficile da rappresentare, capire, analizzare.

Ci troviamo dunque a dover fare fronte ad una complessità multidimensionale. Circostanza, questa, da segnalare, a nostro avviso, perché spiega molti fenomeni che caratterizzano la nostra epoca straordinaria, e contribuiscono a sostenere la necessità di progettare una strada nuova piuttosto che rappezzare quella vecchia.

Le crisi obbligano alla scelta e alla decisione e in tempi normali possono avere anche un effetto benefico, ma quella di oggi non ammette alternative. Non si tratta più di optare per una soluzione emergenziale o un’altra, per tattiche diverse; il percorso possibile è uno e uno solo: trasformazione, più precisamente trasformazione sistemica, indicativa della capacità di un sistema di rigenerarsi, bloccando ed evitando per tempo ogni possibile processo involutivo di regresso.

Del resto, l’Italia ha già vissuto in passato una simile situazione di rigenerazione sistemica quando dopo il periodo della ricostruzione, seguito alla fine della Seconda guerra mondiale, visse il cosiddetto “miracolo economico” che cambiò radicalmente la struttura del Paese.

Non si può non ricordare, a questo proposito, il grande valore orientativo delle politiche codificate in precisi documenti pubblici di programmazione a medio e lungo termine, piani aziendali e accordi sindacali di ampio respiro, cioè in atti costruiti da forze politiche e attori privati di sviluppo, i quali, pur in situazioni di forte contrapposizione ideologica e politica, si dimostrarono decisi e capaci nel promuovere la trasformazione sistemica dell’Italia, ancorandola a precisi valori di equità sociale diffusa. 

Si è operato invece affidandosi esclusivamente al presente, al giorno per giorno, con risposte parziali, spesso improvvisate, con misure utili al massimo a tamponare qualche falla. Il nostro ormai è diventato un Paese incardinato sul presente e il “presentismo” è diventato la nostra filosofia di vita.

Tuttavia, l’Italia, nonostante le sue gravi difficoltà, ha le risorse umane, culturali ed economiche per uscire da una crisi sempre più sistemica e multidimensionale. Si tratta semplicemente di superare ‒ come già scrivevamo più di dieci anni fa ‒ la subcultura del “presentismo” e proiettarsi nel futuro".

"Il bivio che ci presentano i processi di trasformazione riguarda anche l’impatto dei cambiamenti climatici sul nostro Paese, la riorganizzazione del sistema di welfare per affrontare al meglio, con una efficace e lungimirante azione di co-progettazione e co-programmazione tra Stato-Imprese-Comunità, gli effetti di medio e lungo periodo dei cambiamenti demografici, dei flussi migratori, dell’inclusione sociale, delle modifiche strutturali che si stanno registrando con sempre maggiore intensità nel mondo del lavoro e dell’istruzione.

Il bivio della trasformazione riguarda anche il contributo che il nostro Paese può dare a livello internazionale per la costruzione di un nuovo ordine multilaterale che corregga la evidente usura del sistema attuale per formarne uno più valido nella composizione dei conflitti e nella imposizione della pace.

Ripeto: il dovere, la volontà e la capacità di imporre la pace, quindi, ancora, nella riduzione delle tensioni diffuse nel mondo, nel recepire e risolvere le esigenze di quelle Comunità che maggiormente soffrono dei grandi squilibri che caratterizzano le attuali dinamiche di sviluppo. È, dunque, una volta arrivati al bivio delle trasformazioni che si possono riaffermare il primato e la capacità di programmazione e di visione della politica, dell’etica, della scienza, della cultura, in una stretta e rinnovata sinergia", ha aggiunto.

"In conclusione, tra le innumerevoli possibilità di scelta che affollano il nostro orizzonte, vogliamo mettere l’accento su tre possibili vie d’uscita. La prima, ritornare alla centralità dell’uomo.

Oggi, si parla in filosofia di nuovo umanesimo di fronte alla potenza delle tecnologie e alle accresciute incertezze del futuro che ci attende. Di fronte alla complessità odierna, vogliamo dare, attraverso le parole del sociologo Edgar Morin, un’indicazione chiara, al pari di un imperativo categorico: 'Per l’uomo è tempo di ritrovare se stesso'. Si tratta dell’agire umano che si fa condiviso, riscopre l’etica, la solidarietà, la responsabilità, la corresponsabilità planetaria nella salvaguardia dell’ambiente, delle risorse disponibili, dei popoli. La seconda, ripensare i sistemi avanzati secondo criteri di redistribuzione della ricchezza.

Per la creazione di un sistema più equo delle risorse e del benessere all’interno delle nazioni, dove chi ha già molto, senza perdere quel molto, può reimmettere nel circuito condiviso, nelle economie, parte della propria ricchezza senza intaccare in modo considerevole il livello di prosperità raggiunto. Una tassa del 2% sui super-ricchi ridurrebbe le disuguaglianze e raccoglierebbe risorse fondamentali per la crescita delle nazioni.

Terzo, ma non trascurabile fattore: collocare l’educazione, insieme all’educazione ai media e alle nuove tecnologie, come elemento portante delle economie in termini di capacità di produzione di ricchezza. In ultimo, un appello, forse ambizioso – o che alcuni giudicheranno utopico – ma possibile, alla comunità di studiosi, scienziati, filosofi, economisti, teologi, storici, tecnologi, insomma al nostro sistema dei saperi, insieme alla politica e ai cittadini, di contribuire ad una riflessione collettiva e condivisa, trasversale e multidisciplinare, per immaginare e stilare un nuovo “Patto per il Futuro” che veda protagonista della trasformazione la società nella sua interezza.

A ben vedere, in questo senso, vale la pena di richiamare proprio il concetto di utopia. Ritornare, insomma, a qualcosa che somigli alla religione o alla politica ma che le superi adeguandosi ai nostri tempi. Ritornare ai disegni impossibili, alle mete ardue da raggiungere, ai progetti complessi e difficili da realizzare.

Non a caso, anche se in termini mistici, Kierkegaard parlava di una necessaria tensione dell’“io reale” verso l’“io ideale” come termine ultimo di una evoluzione inarrestabile e ineludibile. Perché l’uomo per progredire da sempre ha bisogno, prima di ogni altro elemento, della convinzione di potercela fare, di avere un obiettivo da raggiungere.

Torniamo, infine, all’idea di uomo come potenza generatrice positiva e alla necessità di costruire una nuova etica condivisa. E si può andare verso il futuro anche attingendo al passato", ha concluso Fara.


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