Immigrazione violenta ed integrazione fallita

L’Italia assiste al collasso di un modello d’integrazione imposto dall’alto: mentre crescono violenza e insicurezza, parlare di identità e legalità non è odio, ma una necessità urgente.

di Massimo Fioranelli
Mercoledì 06 Agosto 2025
Roma - 06 ago 2025 (Prima Pagina News)

L’Italia assiste al collasso di un modello d’integrazione imposto dall’alto: mentre crescono violenza e insicurezza, parlare di identità e legalità non è odio, ma una necessità urgente.

 

L’immigrazione contemporanea non è più un fenomeno emergenziale e spontaneo, ma un processo strutturale, alimentato da dinamiche geopolitiche, economiche e culturali.  Come già teorizzato da alcuni pensatori del Novecento, tra cui il controverso Richard Cudenhove Kalergi, esiste un disegno implicito o esplicito per destrutturare le identità europee attraverso l’omogeneizzazione etnica e culturale. Che questo sia parte di un progetto globale o il frutto di scelte politiche miopi, il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’identità italiana è sempre più fragile, ed il senso di appartenenza si dissolve nelle molteplicità non governate.

Violenza e degrado e’ il lato oscuro della retorica dell’accoglienza.

Non si può più tacere di fronte a ciò che accade nelle periferie italiane: violenze urbane, stupri, aggressioni, baby gang etniche, spaccio e controllo del territorio da parte di gruppi stranieri. Non è solo un problema di 'criminalità', ma di assenza di cultura dell’integrazione. In molte città, interi quartieri si sono trasformati in enclave etniche dove la legge italiana è solo formale, e dove nemmeno le forze dell’ordine entrano facilmente. L’integrazione, così come concepita negli anni ’90, è fallita.

Due pesi e due misure come quotidianamente la politica ed il carrozzone dei media al suo seguito ci impongono nel rispetto della propaganda che ha sostituito da tempo l’informazione.

Al cittadino italiano è richiesto di essere tollerante, accogliente, multilingue, culturalmente aperto. All’immigrato, però, non viene chiesto nulla: né rispetto delle regole, né conoscenza della lingua, né adesione ai principi costituzionali. In un sistema che premia chi trasgredisce e penalizza chi denuncia, è facile sentirsi stranieri in casa propria. Dire che esistono culture incompatibili, non inferiori, ma divergenti, non è razzismo, ma un’analisi antropologica.

L’errore più grave commesso in Europa è stato confondere integrazione con multiculturalismo indifferenziato. In America, gli italo-americani si sentono americani, pur mantenendo memoria delle loro origini. In Italia, invece, molti immigrati di seconda e terza generazione non si sentono italiani, non rispettano la cultura italiana, né desiderano farlo. L'integrazione richiede adesione al patto sociale e riconoscimento del sistema di valori ospitante. In caso contrario, si crea solo separatismo culturale.

Un elemento chiave nel sostenere e amplificare i flussi migratori verso l’Europa è stato il ruolo delle ONG internazionali, molte delle quali operano nel Mediterraneo con il dichiarato intento umanitario di salvare vite. Tuttavia, è sempre più evidente il legame tra queste organizzazioni e strutture ideologiche globaliste, come le fondazioni di George Soros, tra cui Open Society Foundations. Attraverso una rete capillare di finanziamenti, campagne mediatiche e pressione politica, queste ONG hanno contribuito a costruire una narrativa unilaterale, in cui chiunque critichi l'immigrazione incontrollata viene etichettato come razzista o fascista.

In particolare, il sostegno logistico e finanziario offerto da tali fondazioni ha alimentato un sistema parallelo di accoglienza e redistribuzione dei migranti, spesso in contrasto con le autorità statali. Si è creata una vera e propria industria dell’accoglienza, che non sempre risponde a criteri di trasparenza e interesse pubblico. Alcune inchieste giornalistiche e parlamentari hanno sollevato dubbi sulla neutralità e sugli obiettivi reali di queste attività, che rischiano di diventare strumenti di ingegneria sociale piuttosto che autentici atti di solidarietà. La questione non è se salvare vite sia giusto, lo è sempre, ma se la gestione migratoria possa essere demandata a soggetti ideologicamente schierati e finanziati da élite transnazionali. In questo contesto, l’Italia ha perso il controllo del proprio confine marittimo e della propria sovranità culturale, delegando a terzi le decisioni più delicate. È tempo di ridefinire il confine tra aiuto umanitario e manipolazione politica.

Quale e’ la via per il futuro?

Serve una riflessione profonda, onesta e coraggiosa. Non si può parlare di integrazione senza parlare di valori, di identità, di reciprocità. Non tutto è colpa dell’immigrato. Lo Stato italiano ha fallito nella gestione, ha favorito l’irregolarità, ha abbandonato intere periferie, ha alimentato una retorica buonista scollegata dalla realtà. Occorre rivedere i criteri di ingresso e di permanenza, applicare principi di meritocrazia e responsabilità, ripristinare la legalità nei territori degradati, educare al rispetto delle regole.

In conclusione l'immigrazione non è un male in sé. Ma quando è disordinata, imposta, non regolata e strumentalizzata politicamente, diventa una minaccia al tessuto sociale. E l’integrazione non è una favola da raccontare nei salotti televisivi, ma una sfida culturale, educativa e politica da affrontare con serietà. Non è fascismo voler difendere la propria casa. È buon senso.


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