L’ipocrisia del cinema: tra protesta e silenzi opportunisti

Registi e autori di sinistra in protesta contro la cessione dei cinema a gruppi immobiliari, ma dietro le parole si nasconde una realtà fatta di opportunismo e disinteresse. Chi davvero difende la cultura?

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Martedì 04 Febbraio 2025
Roma - 04 feb 2025 (Prima Pagina News)

Registi e autori di sinistra in protesta contro la cessione dei cinema a gruppi immobiliari, ma dietro le parole si nasconde una realtà fatta di opportunismo e disinteresse. Chi davvero difende la cultura?

In questi giorni, assistiamo a una protesta animata da registi e autori di sinistra contro la cessione di storici cinema romani a gruppi immobiliari o fondi di investimento. Le parole spese in difesa della cultura e degli spazi cinematografici risuonano come un coro unitario, ma nascondono una straordinaria ipocrisia. Dietro questa mobilitazione si celano sia poveri operatori del settore che personaggi ricchissimi, che hanno costruito il loro patrimonio proprio grazie al cinema e alla gestione delle sale.

 

Prendiamo il caso di Valsecchi, uno dei produttori più informati e influenti del panorama italiano. Sapeva benissimo che il Cinema Adriano era all’asta da anni. Perché, allora, non ha partecipato all’asta? Con le sue risorse, avrebbe potuto acquistare non solo l’Adriano, ma addirittura dieci cinema come quello. Eppure, all’asta si è presentato un solo operatore, che ha pagato una cifra ragguardevole, ma insufficiente a coprire i debiti di Ferrero, il precedente proprietario.

 

E qui sorge una domanda: quando Rutelli ha consentito la vendita dell’intero circuito a Ferrero, qualcuno ha sollevato obiezioni in nome della cultura? Ferrero, del resto, è davvero un uomo di cultura? E negli anni in cui è stato chiaro che Ferrero non aveva intenzione di gestire i cinema minori, limitandosi all’Adriano, perché nessuno ha protestato?

 

Ora, però, i riflettori si accendono su personaggi come Verdone, Ozpetek e Bellocchio, tutti registi di successo e benestanti. Perché non si fanno avanti per rilevare le sale chiuse? Lo sanno perché queste sale sono state costrette a chiudere? Prendiamo l’Embassy: non ha le licenze a posto e non può essere trasferito, altrimenti Mediaset lo avrebbe già fatto. Gli altri cinema sono chiusi perché non riuscivano a coprire i costi di gestione, spesso situati in zone poco accessibili.

 

La verità è che una sala cinematografica è, prima di tutto, un negozio. Se gli incassi non coprono le spese, non può sopravvivere. Eppure, ci sono esempi virtuosi: Silvano Agosti ha gestito per decenni due salette dell’Azzurro Scipioni, proiettando capolavori e film autoprodotti. Pesci ha acquistato e migliorato le sale di Franceschelli, Lucisano gestisce un suo circuito, e Notorious continua a cercare sale redditizie. Il Caravaggio, un tempo sala parrocchiale, ospita oggi film di prima visione.

 

La cultura non può essere una punizione, né un ostacolo allo sviluppo commerciale. Prendiamo il Cinema Fiamma: qualcuno dei nostri registi così preoccupati per la cultura ha perso il sonno per la sua chiusura? E perché non si fanno avanti ora che è di nuovo sul mercato?

 

Ozpetek, reduce dal successo del suo ultimo film, crede davvero che più sale avrebbero significato maggiori incassi? Il cinema è, prima di tutto, un’attività commerciale. Non tutto ciò che viene proiettato è cultura: spesso è semplicemente intrattenimento. Un film di qualità trova il suo pubblico, che lo cercherà ovunque, mentre un film leggero deve essere comodo e accessibile.

 

I multiplex sono nati per offrire entrambe le soluzioni, mentre le piattaforme streaming portano i film direttamente sul divano di casa. Perché i nostri registi non protestano per aumentare la distanza tra cinema e piattaforme? In Francia, per vedere un film in televisione devono passare 15 mesi, mentre in Italia bastano 105 giorni. Perché non si scandalizzano per i tax credit che finanziano produzioni straniere, aumentando i costi per lo Stato e i cittadini?

 

L’ipocrisia di chi invoca l’intervento pubblico per salvare la cultura, senza mai mettere mano al proprio portafoglio, è evidente. Se almeno stessero zitti, la città potrebbe guadagnare commercialmente, senza perdere altro tempo nel tentativo di riportare in vita stabili abbandonati da decenni.


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