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"La tenerezza di Dio è il linguaggio più potente per toccare il cuore del mondo." – Papa Francesco.
"La tenerezza di Dio è il linguaggio più potente per toccare il cuore del mondo." – Papa Francesco.
di Carlo Di Stanislao
Con la morte di Papa Francesco, il mondo perde una delle figure religiose più significative e carismatiche del nostro tempo. Jorge Mario Bergoglio, primo Papa gesuita e sudamericano della storia, ha guidato la Chiesa cattolica per oltre un decennio, in un periodo segnato da forti tensioni sociali, crisi ambientali, emergenze morali e profonde trasformazioni culturali. Il suo pontificato è stato allo stesso tempo rivoluzionario e divisivo, capace di accendere entusiasmi e suscitare resistenze, aprire orizzonti e creare fratture.
L’elezione di Papa Francesco nel marzo 2013, dopo la storica rinuncia di Benedetto XVI, fu accolta con stupore e speranza. Il suo primo gesto, quel semplice “Buonasera” pronunciato dalla loggia centrale di San Pietro, disarmò il mondo e segnò una svolta simbolica immediata. Il suo rifiuto della mozzetta rossa, la scelta del nome Francesco – mai usato prima – e la decisione di abitare nella Domus Sanctae Marthae, rompendo con le tradizioni curiali, annunciavano una nuova stagione della Chiesa: più umile, più vicina alla gente, più essenziale.
Francesco si è presentato come un pastore che cammina con il popolo, mettendo al centro la misericordia, l’ascolto, il servizio. È stato il Papa dei gesti: abbracci ai malati, visite nei campi profughi, lavanda dei piedi ai detenuti, telefonate improvvise a fedeli in difficoltà.
Il suo pontificato ha avuto alcune linee guida forti e costanti:
1. La misericordia come chiave pastorale
Francesco ha spinto per una Chiesa più accogliente, meno giudicante, più sensibile alle fragilità umane. Il Giubileo straordinario del 2015 ne è stato il simbolo più evidente. Ha invitato i confessori a essere segni viventi della tenerezza di Dio, parlando di un cristianesimo che non esclude ma abbraccia.
2. L’opzione preferenziale per i poveri
Costante è stata la sua denuncia contro l’indifferenza globale verso i migranti, i senzatetto, le vittime dell’economia dello scarto. Ha chiesto una “Chiesa povera per i poveri”, con parole e azioni che hanno scosso le coscienze. Celebri le sue visite a Lampedusa, nelle favelas, nei campi profughi.
3. L’ecologia integrale
Con l’enciclica Laudato si’, Francesco ha lanciato un appello globale per la cura del creato, denunciando il degrado ambientale come crisi spirituale e morale. È diventato un riferimento anche per attivisti e leader laici, affrontando le questioni climatiche da una prospettiva etica e universale.
4. Il dialogo interreligioso e la pace
Francesco ha intensificato i rapporti con il mondo musulmano, ebraico e con le Chiese ortodosse. Storici il viaggio negli Emirati Arabi, l’incontro con il Grande Imam di Al-Azhar e con il Patriarca Kirill. Ha promosso una cultura della fraternità oltre ogni confine religioso.
5. La riforma della Curia e la trasparenza
Ha cercato di semplificare e rendere più efficienti le strutture vaticane, contrastando la corruzione interna e promuovendo la trasparenza economica. Ma non senza difficoltà: molte delle sue riforme sono rimaste incomplete o rallentate da forti opposizioni interne.
Accanto alla luce, non sono mancate zone d’ombra. La gestione della crisi degli abusi sessuali è stata, all’inizio, titubante. In alcuni casi, come quello cileno, il Papa ha difeso prelati controversi, salvo poi riconoscere pubblicamente gli errori e agire con decisione. Ha introdotto nuove regole, ma per molte vittime le risposte non sono state ancora sufficienti.
Anche sul piano dottrinale, Francesco ha generato tensioni. Documenti come Amoris Laetitia, che aprivano alla possibilità di accostarsi ai sacramenti per i divorziati risposati, sono stati accusati di ambiguità. Alcuni cardinali gli hanno rivolto dubia – domande formali per chiarimenti – rimaste senza risposta. La sua apertura pastorale è stata vista da alcuni come una rottura rispetto alla tradizione.
Il suo stile di governo, a volte, è apparso centralista e personale. Mentre parlava di sinodalità, prendeva decisioni in modo solitario, spesso spiazzando collaboratori e vescovi. Le nomine episcopali hanno premiato spesso figure di sensibilità pastorale affine, ma non sempre con solide basi teologiche o gestionali.
E qui sta forse una delle chiavi più vere per comprendere il suo pontificato: nel bene e nel male, Papa Francesco non è mai stato un francescano. È stato un gesuita. Ha scelto il nome di San Francesco per indicare la direzione profetica della sua Chiesa – povera, pacifica, vicina agli ultimi – ma ha agito con lo stile tipico della Compagnia di Gesù: discernimento, strategia, finezza intellettuale, tenacia. Ha saputo essere mite nei toni, ma determinato nelle scelte; tenero nei gesti, ma spigoloso nelle reazioni a chi lo ostacolava. Non ha mai smesso di guidare con il rigore e l’acume del formatore spirituale, del missionario, dell’uomo di governo.
La morte di Papa Francesco avviene a ridosso del Giubileo del 2025, un evento atteso da milioni di pellegrini e da tutta la Chiesa come occasione di rinascita spirituale. La sua assenza in questo appuntamento così simbolico sarà percepita con forza. Era stato proprio lui ad annunciarlo come un "Giubileo della Speranza", in un mondo segnato da guerre e disillusione. Ora, il Giubileo si aprirà in un clima di lutto e transizione, e sarà il nuovo Papa a doverne raccogliere il senso e il timone.
La successione di Francesco apre scenari complessi. Il Collegio cardinalizio da lui formato è molto diverso da quello del passato: più globale, meno europeo, spesso orientato a figure pastorali, più che dottrinali.
Tra i nomi più citati ci sono:
Card. Matteo Zuppi (Italia): arcivescovo di Bologna, figura di grande equilibrio, molto vicino alla comunità di Sant’Egidio e sensibile ai temi sociali e del dialogo. Visto da molti come un “Francesco italiano”.
Card. Peter Turkson (Ghana): già prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, africano, ecumenico, attento alle sfide ambientali e alla giustizia sociale.
Card. Luis Antonio Tagle (Filippine): figura amata in Asia, teologo brillante, comunicatore efficace, con un profilo molto francescano nello spirito, benché riservato.
Card. Jean-Claude Hollerich (Lussemburgo): gesuita, rapporteur generale del Sinodo sulla sinodalità, rappresenta la visione riformatrice europea del post-Francesco.
Ma non sono esclusi nomi a sorpresa, in continuità con il “vento del Sud” che Francesco ha voluto imprimere alla Chiesa.
Alla fine, resterà l’immagine di un uomo che ha voluto camminare con il popolo, che ha parlato più con i gesti che con i documenti, che ha fatto della misericordia un linguaggio universale. Un Papa che ha portato il nome di Francesco, ma ha combattuto con l’anima di un gesuita. Ora la Chiesa è chiamata a scrivere il prossimo capitolo, tra memoria e profezia.