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Tra accordi trasversali, restaurazioni silenziose e occasioni mancate, i pubblicisti tornano centrali. Ma la vera svolta ha il volto di una donna.
Tra accordi trasversali, restaurazioni silenziose e occasioni mancate, i pubblicisti tornano centrali. Ma la vera svolta ha il volto di una donna.
In questi giorni si parla con insistenza della riforma dell'Ordine dei Giornalisti. Un tema ciclico, spinoso, che spesso si traduce in un attacco diretto alla figura del pubblicista, considerato da alcune "scuole di pensiero" interne alla categoria come una presenza ingombrante, inutile o poco professionale.
Il dibattito si trascina da anni, ma la realtà sul campo racconta un’altra storia.
Nel frattempo, si è votato in tutta Italia per il rinnovo dei Consigli regionali e per la scelta dei rappresentanti che compongono il nuovo Consiglio nazionale, chiamati a eleggere il presidente dell’Ordine.
Un passaggio cruciale, che rivela non solo nuovi equilibri, ma anche strategie consolidate.
Nel Lazio, dove domani si tiene il primo consiglio regionale post-elezioni, la situazione si fa particolarmente interessante.
Qui, i pubblicisti — spesso considerati marginali, perché "non tutti giornalisti veri" (così si dice) — tornano a contare eccome. Chi sono questi pubblicisti che "non contano nulla"? Avvocati, medici, tipografi, editori, anestesisti, ma anche professionisti dell’informazione che, in alcuni casi, non completano la formazione continua obbligatoria.
Una realtà eterogenea, certo, ma forse più rappresentativa di quanto si voglia ammettere. E allora? Succede che nel Lazio i pubblicisti eletti in una lista vicina al centrodestra — che include figure riconducibili all’Associazione Giornaliste Italiane vicina a Giorgia Meloni, con nomi come Giovanna Ianniello (responsabile comunicazione della Premier), con candidati sostenuti in campagna elettorale da Unirai e Lettera 22 organizzazioni di destra — assumono un peso politico decisivo. Tanto decisivo da spingere, sembra, il candidato più votato di Controcorrente Lazio (storicamente di area centrosinistra) a cercare l’appoggio di quei pubblicisti per ottenere la maggioranza e puntare alla presidenza dell’Ordine regionale. In cambio di cosa? Lo scopriremo solo vivendo.
Ma una cosa è chiara: l’accordo, se c’è, è tutto politico. Eppure, una strada diversa, limpida e moderna, esiste. Alcuni esponenti di Controcorrente Lazio pensavano, già prima delle consultazioni, ad un vero “campo largo”, riformista e senza compromessi con le forze opposte. Un governo senza pubblicisti, guidato da una figura di garanzia e innovazione: Serena Bortone, che ottiene ampi consensi.
La sua candidatura può rappresentare una scelta forte, trasparente, e forse condivisibile anche dall’opposizione. Una donna alla guida dell’Ordine segnerebbe una svolta concreta, portando nuova linfa, idee fresche e una visione che rompe con i meccanismi del passato.
Ma se questa prospettiva non prendesse forma, il rischio è quello di assistere all’ennesima restaurazione, al ritorno di un modello che non entusiasma, non convince e, soprattutto, non rappresenta davvero la platea dei giornalisti del Lazio, che non è solo quella esigua di chi ha votato alle recenti elezioni.
Dentro la componente di sinistra, le idee non sembrano poi così chiare. Al netto delle posizioni ben definite del presidente uscente, Guido D’Ubaldo, il resto appare confuso. Intanto, l’elettorato continua a disertare le urne: l’affluenza alle recenti votazioni tocca minimi storici.
Intanto, una parte del centrodestra flirta con settori del centrosinistra, almeno sul fronte pubblicisti. E l’altra parte cosa pensa? Quanto si è disposti a cedere, pur di “restare in sella”?
Nel frattempo, i veri problemi della categoria — i precari, i freelance, i giovani senza tutele — restano fuori dai palazzi. Sono loro a chiedere risposte vere, e non solo giochi di potere.