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L’autore, nel suo ultimo libro, affronta il tema del declino della professione giornalistica e dei profondi cambiamenti avvenuti nel mondo dell’informazione, con particolare riferimento alla lotta contro la disinformazione.
L’autore, nel suo ultimo libro, affronta il tema del declino della professione giornalistica e dei profondi cambiamenti avvenuti nel mondo dell’informazione, con particolare riferimento alla lotta contro la disinformazione.
Appena fresco di stampa, “Carta straccia. Le notizie che non contano più”, (160 pagine, Edizioni All Around) -l’ultimo libro di Vittorio Roidi- affronta il tema del declino della professione giornalistica, con particolare attenzione alle trasformazioni radicali nel mondo dell'informazione. Roidi, con una lunga carriera alle spalle come giornalista e docente, esamina la crisi del settore alla luce dello sviluppo tecnologico, che ha contribuito “a smaterializzare le redazioni e a rendere obsoleti molti dei tradizionali strumenti del giornalismo”. Un’analisi serrata, dettagliatissima, documentata come tutte le sue cose, e da cui viene fuori un “sistema” che fa acqua da più parti e che se non ripreso in tempo rischia di affondare. Detto da lui, che della storia del giornalismo italiano è stato un punto di riferimento assolutamente importante, tutto questo vale molto più di quanto il solito saggio sul giornalismo moderno possa offrirci, una analisi non solo fredda e spietata, ma anche coraggiosa per tutto quello che ne consegue.
Vittorio Roidi ancora una volta in questo suo ultimo libro riscopre il suo mantra di sempre, e accade quando considera la relazione tra democrazia e giornalismo essenziale per la salute della società civile, evidenziando che una democrazia moderna richiede giornalisti eticamente motivati. “In una nazione moderna la democrazia ha bisogno di professionisti della notizia spinti da una forte concezione etica, dall’idea che il loro lavoro deve essere considerato un servizio pubblico vero e proprio”, afferma l’autore, sottolineando il ruolo cruciale che i professionisti dell'informazione dovrebbero ancora svolgere.
Vittorio Roidi, come tutti grandi maestri della sua generazione, propone naturalmente anche una serie di riforme per “salvare la professione". Sostiene che occorre ridurre l'accesso all'Ordine dei giornalisti, difendere l'esclusività della professione e rafforzare i meccanismi legislativi che tutelano il giornalismo di qualità. A tal fine, l’autore evidenzia la necessità di una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni e di un ritorno a una visione del giornalismo come servizio pubblico, basato su principi etici solidi e sull’impegno a combattere la disinformazione. Il libro si inserisce in un dibattito più ampio sul futuro del giornalismo, ponendo l'accento sui pericoli per la democrazia legati alla crisi dell'informazione. L’autore avverte che, senza un'inversione di rotta, il giornalismo rischia di diventare "carta straccia".
E’ molto interessante scorrere l’analisi che Roidi fa sulle motivazioni di fondo della crisi del sistema generale, per via di una professione giornalistica vittima di un lento declino, reso più complesso dall’avvento dei social media e dall'influenza dell'intelligenza artificiale. Questa crisi viene poi ulteriormente aggravata dalla proliferazione di fake news e dalla confusione tra informazione, intrattenimento e pubblicità. La riflessione dell’autore tocca un punto centrale: “La moltiplicazione degli strumenti informativi e l’accesso generalizzato ai mezzi di comunicazione trasformano ciascuno di noi in un giornalista... creando l’illusione che dei giornalisti professionisti non ci sia più bisogno”.
Chi invece non perde mai il suo vizio di origine è Giancarlo Tartaglia, storico direttore della Fondazione Murialdi, e incorreggibile e affascinante amante della nostra professione, che nella prefazione al libro di Vittorio Roidi richiama “la visione ottimistica di Jules Verne, che nel XIX secolo immaginava un futuro radioso per il giornalismo”, anche se la realtà del XXI secolo appare ben diversa, “caratterizzata dalla chiusura di migliaia di giornali e dalla perdita di posti di lavoro”.
“Ormai, da alcuni decenni- scrive Giancarlo Tartaglia- la professione giornalistica vive una lunga stagione di lento e inesorabile declino, dovuto, principalmente, proprio all’inesauribile sviluppo tecnologico, che ha determinato uno strano paradosso. Viviamo nella società dell’informazione, costantemente immersi in un fluido informativo che ci pervade come l’aria che respiriamo. L’intera nostra giornata è segnata da questo fluido informativo che ci attraversa, dal momento in cui ci alziamo, al mattino, e iniziamo a consultare, attraverso il cellulare, sempre a portata di mano, le notizie che arrivano sui social e poi dalle radio e dai televisori, accesi in tutte le camere delle nostre case”.
È un libro, quindi, di riflessione per tutta la categoria, ma non solo. Intende rivolgersi al Parlamento (ovvero alla politica)- scrive con l’autorevolezza che la sua storia gli consente di avere Giancarlo Tartaglia- “che ha compiti, sempre maggiori, di intervento legislativo, a coloro che amministrano e guidano gli organismi della categoria, poiché hanno la responsabilità di definire le norme contrattuali e di garantire il rispetto delle norme deontologiche, e, in primis, a tutti i cittadini che hanno a cuore la democrazia, perché la democrazia vive a una sola condizione: che il sistema dell’informazione sia libero e funzioni correttamente”.
La verità, secondo lo studioso Giancarlo Tartaglia, è che il giornalista “ha perso ormai la sua identità e il suo ruolo tradizionale a causa dell’avvento delle nuove tecnologie e dell’invasione della rete, dove chiunque può improvvisarsi reporter. Parole pesanti, che impongono a tutti noi, che di questo mestiere viviamo, una riflessione adeguata alla gravità della crisi.
Ma veniamo ora all’autore. Vittorio Roidi, giornalista professionista, prima a Il Messaggero, poi alla Rai, di cui è stato caporedattore del GR1, successivamente sempre a Il Messaggero come caporedattore centrale, è stato presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana dal 1992 al 1996 e segretario del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti dal 2001 al 2007. Per molti anni è stato impegnato nella scuola di giornalismo di Urbino e successivamente in quella di Perugia. Autore di numerosi volumi sulle tematiche del giornalismo (Coltelli di carta–1992, La preghiera mattutina–1996, La fabbrica delle notizie–2001, Il diritto all’informazione–2003, Cattive notizie–2012) di cui l’ultimo, in collaborazione con Lorenzo Grighi, dal titolo “Giornalisti o Giudici” edito da RAI-ERI. Nel 2018 viene eletto Presidente della Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi, al posto di Alfredo Cerrato.