Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
Libri appena usciti, quello di Roberto Sarra ripercorre i dolori e la solitudine della guerra.
Libri appena usciti, quello di Roberto Sarra ripercorre i dolori e la solitudine della guerra.
“Boris non cambia mai!”, pensava tra sé Joseph. “Quell’uomo non possiede nulla di umano, probabilmente non ha né una moglie né dei figli, o se così fosse poveri loro, vivrebbero sempre all’inferno come forse, in fondo, vive anche lui. Se non hai un po' di amore nel tuo cuore, allora davvero non hai nulla.”
Joseph è un war child, un bambino di guerra, quelli che il regime nazista voleva rappresentassero la razza pura. Lo chiamarono Progetto Lebensborn, uno dei numerosi programmi avviati dal gerarca nazista Heinrich Himmler per realizzare le teorie eugenetiche del Terzo Reich sulla razza ariana e portare la popolazione ariana in Germania a 120 milioni di persone entro il 1980.
Durante gli anni del nazismo, il ‘Programma Lebensborn’ doveva servire a incrementare le nascite di bambini, anche da donne non sposate, purché fossero di “pura razza” ariana. Alle madri veniva garantito l’anonimato, oltre a un ambiente protetto e confortevole durante la gravidanza, e un’assistenza di prim’ordine durante il parto. Poi l’organizzazione decideva se consentire alla madre di tenere il bambino, o se darlo in adozione. Per molte donne norvegesi, questo divenne un modo per sopravvivere durante la guerra, con la consapevolezza di poter lasciare, o donare, il proprio figlio alle ‘case lebensborn’, dove il bambino avrebbe ricevuto, oltre a una sana alimentazione, anche un indottrinamento alla fede nazista.
In realtà nel programma applicato anche nei paesi occupati dal Terzo Reich, come ad esempio Norvegia, Francia e Belgio, i bambini nati da una madre ‘lebensborn’ subirono, alla fine della guerra, innumerevoli soprusi ed abusi.
La distruzione di gran parte del materiale sul Progetto Lebensborn non consente di appurare se le giovani ragazze dei paesi occupati furono costrette ad accoppiarsi con gli ufficiali tedeschi, anche se è facile supporlo perché la violenza sessuale era ampiamente contemplata all’interno del Terzo Reich. Nel 1939, circa 8.000 ufficiali SS avevano aderito al programma di Himmler, offrendosi di contribuire, grazie al loro seme, al rafforzamento della razza ariana.
Nel 1939, Himmler decise di non andare più tanto per il sottile con i controlli sulle ascendenze dei bambini, e adottò, come corollario al Programma Lebensborn, anche la pratica del rapimento.
In paesi come Polonia e Jugoslavia, ma anche Russia, Cecoslovacchia, Romania (e molti altri), furono rapiti migliaia di bambini dall’aspetto ariano, allo scopo di ‘germanizzarli’, e quindi, dopo un periodo di rieducazione, darli in adozione a famiglie tedesche. Quelli che non venivano considerati idonei, erano mandati nei campi di concentramento. La documentazione relativa a questi rapimenti fu distrutta nelle fasi finali della guerra, così fu impossibile individuare questi bambini, la maggior parte dei quali non tornò mai più dai genitori naturali e in moltissimi casi furono maltrattati, seviziati, torturati e talvolta anche uccisi.
A queste vicende realmente accadute, attinge lo scrittore Roberto Sarra nel suo nuovo romanzo dal titolo “Jospeh”, Pegasus Edition 2022.
Sarra è un raffinatore narratore, dotato di un carattere gioviale che gli permette di avvicinarsi a questi drammi con empatia e partecipazione. La sofferenza serve a Sarra per esprimere il dolore che viene però supportato dall’amore, dalla solidarietà, dalla condivisione. “Ho scritto questo libro con grande passione”, dice Sarra, “perché sono convinto che lo scrittore non è colui che deve scrivere 300/400 grammi di carte, ma ha un compito ben preciso: comunicare amore e speranza. Perché tre sono i cardini che ci tengono in vita: amicizia, amore e speranza.”
Joseph, il protagonista del libro, trova nella sofferenza e nella solitudine la forza di non mollare mai, di subire tutte le amarezze, le torture, con l’obiettivo di ricostruire la vita, la sua vita, e quella degli altri protagonisti del libro: Erik, l’amico del cuore; Hellen, la bambina che ha amato fin da piccolo e che dopo tante vicissitudine ritrova già donna; Ruth, la sua madre naturale da cui fu portato via con la violenza. Ma non dalla furia nazista, bensì dalle autorità norvegesi che mal sopportavano il progetto tedesco. Dopo la guerra, difatti, i bambini nati all’interno del progetto Lebensborn furono ovunque maltrattati e seviziati. In Norvegia in particolare, dove nacquero circa 12.000 bambini, la CIA definì i piccoli come “geneticamente pericolosi” e “in grado di riorganizzare il fascismo in Norvegia”. Nel 2007, 154 figli dei Lebensborn norvegesi portarono il proprio caso al Tribunale dei Diritti Umani di Strasburgo, dove chiesero risarcimenti per le violenze e il razzismo subiti. Il loro appello non fu ascoltato perché “presentato troppo tardi“.
Sarra ha una narrazione felice, il libro scorre con interesse a voracità. Dietro ogni dramma c’è sempre la speranza e la certezza che la vita, seppure difficile, va comunque vissuta.
Ma nella scrittura di Sarra si legge anche un po' della sua vita, certamente resa non facile dalla morte della mamma quando era ancora bambino e dalla necessità di dover lavorare per sostenersi agli studi e alla vita. E in alcuni passaggi di Joseph, là dove la narrazione si fa più tecnica, dove i fatti sanno più di guerra, viene fuori il Roberto Sarra militare di aeronautica, quando si occupava di intelligence.
Un libro da leggere con passione e con amore, questo Joseph, che riporta alla luce senza pietà ma con dolcezza, una delle pagine più buie della nostra storia.