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La magia di una serata intima e suggestiva, preludio alla mostra di Piero Pompili, tra riflessioni sull'umanità, estetica e la potenza evocativa del bianco e nero.
La magia di una serata intima e suggestiva, preludio alla mostra di Piero Pompili, tra riflessioni sull'umanità, estetica e la potenza evocativa del bianco e nero.
Ha necessità di nutrimento l’amore, per ogni istante della vita è necessario disporre di cibo per l’anima e, l’arte è certamente linfa vitale, alimento prediletto del cuore.
Cosi, metti una sera d’inverno nella morsa di un freddo glaciale fra le gelide ventate che sferzano l’Urbe, una coppia di giovani galleristi apra le porte della propria casa, per accogliere in quel nido intimo e amato, che è la loro dimora del cuore, un po' di amici e un piccolo drappello di quella umanità incline e sensibile alla creatività, al talento e a quelle sintesi di pensiero che di solito appartengono alla genialità degli artisti.
Con discrezione e sconfinato amore, questa sera, la “coppia” di galleristi, propone, un’anteprima in classe, una serata speciale, un “curatissimo” piccolo scorcio, se vogliamo dire proprio una pillola d’arte di quello che sarà il vicinissimo grande evento che, loro stessi, ospiteranno - a artore dal 18 gennaio -presso la bella “Galleria Bianco Contemporaneo”, in via Reno 18/a Roma. Rossella Alessandrucci e Antonio Martini, - -galleristi per passione, intendono consolidare così il lungo feeling per l’arte, rinnovando ancora la loro iniziativa culturale in favore della bellezza e della creatività, concedendo anche a noi questo appuntamento singolare, dove poter riflettere innanzi all’Hasselblad del talentuoso fotografo romano Piero Pompili.
Non tanti scatti, ma tutto rigorosamente in bianco e nero; in mostra scene e personaggi di un mondo solo apparentemente scomparso, “periferie e superstiti” di un universo di uomini e situazioni che sono appartenute ad Arturo e Cesare Zavattini e Franco Pinna, a Renato Corsini, Gianni Berengo Gardin, ma anche alla visione e alla letteratura di don Primo Mazzolari, ai giovani e alle speranze della scuola di Barbiana, ai ragazzi del pallonetto di Marotta, agli estromessi di Pier Paolo Pasolini e di Danilo Dolci.
Rossella e Antonio, i galleristi, nel mentre cercano di aiutare gli artisti a mettere bene in scena le opere - alla maniera di Anselm Grün – consolidano, alimentano e fortificano il loro rapporto di coppia che, giorno per giorno, si fa agevole cammino per le strade del terreno insidioso dove s’inerpica vita; proprio al lato di opere piene di fascino, dentro a quel mondo visionario di artisti capaci e veri.
Artisti che curano maniacalmente ogni dettaglio, creativi che si prendono cura di tutte quelle piccole cose apparentemente insignificanti che, invece, diventano humus fertile, le sostanze più ricercate dall’anima, le vitamine che rinvigoriscono e impreziosiscono la vita.
L’arte, abbracciata così, è veramente nutrimento, cura, spiritualità, desiderio manifesto di comunicazione profonda, ebollizione e pathos, apertura e accoglienza del mondo e, allo stesso tempo, balsamo, unguento per le delusioni e le ferite e per tutte le inattese sconfitte. Dicevamo, appena al riparo dai rigori del freddo di dicembre, appena varcata la soglia di casa Martini, ci ritroviamo d’improvviso catapultati in un mondo uniforme tutto di bianco, bianco che è il colore della purezza, colore portatore di pace, il colore che aiuta il cuore a entrare in connessione con la spiritualità e ci permette di liberare la mente e lasciar emergere le profondità e l’inconscio, quell’intimo vero, puro, filtrato da ogni paura e da ogni timore.
Sulle porte – come per incantesimo – abbiam potuto scorgere tracce del volo di farfalle, rosso corallo con puntini nero fumo di sciami immobili di tante coccinelle e, minuscoli archi iridi di colorati d’arcobaleni, opera decorativa della giovanissima artista bambina, ricchezza umana della famiglia Martini; un tocco imprevedibile e discreto, proprio come sanno fare i bambini. L’umanità convenuta mostra interesse reale, quel chiarore di luci, l’arredamento sobrio ed essenziale, fanno da cornice perfetta a poche opere fotografiche, scatti intensi sorprendenti che, ben s’incastonano nell’ambiente scrigno, come Spille di Cammeo Sardonico fra l’argento delle Perle.
Pompili non è solo un fotografo estremamente bravo, è un narratore talentuoso, un musicista innato che rimanda a suoni ancestrali, a ritmi primitivi di percussioni e di flauti intagliati da canne: Pompili è un poeta dell’essenziale, un ermetico della modernità, lo è nella sua sconfinata semplicità, nel suo modo di vedere e sottolineare “mondi” oltre l’inquadratura, oltre l’istante bloccato in eterno. Il suo obiettivo diventa sempre un vero caleidoscopio, l’artista riesce a individuare gli specchi della vita, le forme, le immagini “narranti” e, tutta la bellezza dei fiori riflessi anche nel fango d’inzaccherate pozzanghere. La sua è una narrazione epica, dove spiccano tante figure retoriche; è un tipo di racconto in cui è presente un continuo intreccio di storie. Pomili sa che: “Chi sa legare bene non ha né corde né nodi eppure niente può essere disfatto”. Proprio sulla sequenza degli scatti del fotografo romano, possiamo rileggere la metafora, amata dall’Ariosto, quella della trasformazione del racconto in "tela".
L’artista raccontatore, infatti, attraverso le istantanee delle sue opere, lascia costantemente un filo per afferrarne un altro, poi continua a irrorare e a rinvigorire la storia intrecciando ancora due o più fili fra loro e, poi ancora a intesserne altri e altri ancora, fino a dare forma al suo grande almanacco narrativo, dove tutto è definito con una straordinaria molteplicità d’immagini, chiare ed eloquenti.
“Vita” vera, vita che arriva dal tempo vissuto, dal patito, dall’esclusione, dalla rabbia, dalla desolazione e, da quel filo labile, labile che, chiamavamo e chiamiamo tutt’ora: “speranza”. Che, solo ora, gode di un nuovo chiarore, dall’accendersi di quelle luci del palcoscenico, della incandescenza dell’occhio di bue, fisso sul suo riscatto, al lato del suo sudore! Dalle nudità della scultura greca classica, all’aggressività delle rughe che incidono la bellezza, al portamento austero principesco di una giovane “africano”, alle carcasse di auto pressate a catasta, a quel tunnel che sprofonda nell’infinita memoria che, s’apre sull’atrio dell’iride degli occhi dei suoi pugilatori per caso, dove è possibile scorgere “il momento sfuggito”, “l’innocenza svanita”, sino alle corse di mamma in gonnella, appresso ai giochi di un bambino inconsapevole e felice, intento ai “garruli trastulli”. Sino all’ombra di un omino che corre e, che scappa veloce, più veloce del tempo.
Negli sguardi perduti domande senza risposte: - Dov’è ora il tornante ? - Dov’è che il tempo curva ? - Ecco in mostra c’è il peccato! Ma la misericordia dov’è ch’è finita? - Cristo è ancora in croce e gronda dolore e lacrime, la redenzione ha ancora bisogno di sangue, ancora quanti sacrifici Gesù? - Quanta infamia per liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato e del male?
Era solo il prologo di quella che sarà la prossima mostra ma non solo, del maestro Piero Pompili.
La sua si annuncia come una confessione intima e amara, sulla condizione umana, una riflessione fatta da immagini inequivocabili, cariche di tanta spiritualità, immagini che ci chiamano in causa direttamente e che esigono una risposta, non procrastinabile.
Assistere a questo prossimo momento espositivo, sarà un po' come immergersi nel Gange, nella speranza si possa ottenere insieme quel perdono per i peccati di cui continua a macchiarsi questa umanità che popola il mondo; per cercare una via d’uscita, un aiuto concreto, per raggiungere insieme l’agognata salvezza.