Todi Festival, Alessio Boni: "Premio Aila Progetto Donna". Il racconto di Lella Golfo sulle donne in Afghanistan.
Tra i premiati al Todi Festival 2021 gli attori Alessio Boni, impegnato in tanti movies dalla parte delle donne, e Stefano Fresi. Al dibattito che ne è seguito la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario Lella Golfo ha raccontato il “suo” Afghanistan.
di Pino Nano
Domenica 05 Settembre 2021
Roma - 05 set 2021 (Prima Pagina News)
Tra i premiati al Todi Festival 2021 gli attori Alessio Boni, impegnato in tanti movies dalla parte delle donne, e Stefano Fresi. Al dibattito che ne è seguito la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario Lella Golfo ha raccontato il “suo” Afghanistan.

Lo slogan al centro del Festival di quest’anno è stato questo: “La prevenzione è strettamente connessa all’informazione e alla cultura. Mai come quest’anno, ancora in pandemia, è necessario fare il punto sugli stili di vita”. Questo ha fatto sì che il “Todi Festival 2021” mettesse in cantiere anche un “momento di riflessione” dedicato alla salute affrontando l’importante tema della “Lotta all’artrosi e all’osteoporosi”, problema di rilevanza mondiale che colpisce soprattutto le donne e comporta pesanti conseguenti costi economici per la comunità internazionale.

Location del dibattito è stata la Sala del Consiglio del Comune di Todi, dove si è celebrata una Edizione Speciale del “Premio Aila “Progetto Donna”, e  nel corso della quale la Fondazione Aila per la lotta all’artrosi e all’osteoporosi presieduta dal professor Francesco Bove, ha assegnato i tradizionali premi a personalità del mondo della cultura e della scienza che “con la loro attività si sono distinte a favore del mondo femminile”.

Tra i premiati -chairman e  padrone di casa Andrea Roncato- ci sono l’attore Alessio Boni, interprete di molti film dalla parte delle donne, per il teatro l’attrice Federica Di Martino, per la carta stampata Emilia Costantini, per il cinema Stefano Fresi e l’avvocato Antonella Succi per i diritti civili.

Ne è seguita una tavola rotonda che ha visto protagonisti  la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario Lella Golfo, il direttore di Rai Due Ludovico Di Meo, Antonella Cinque ex presidente Aifa, Jessica Faroni presidente Aiop, la conduttrice televisiva Rosanna Lambertucci, l’oncologo Francesco Cognetti, con la regia di Massimiliano Canè.

A rendere di estrema attualità il dibattito centrale del Premio è stata proprio la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario Lella Golfo che ai presenti ha raccontato il “suo” Afghanistan, frutto di un lungo viaggio-reportage negli anni scorsi nella terra dei talebani.

“Il lungo filo rosso con l’Afghanistan – racconta Lella Golfo- nacque nel 2001, quando il Ministero degli affari esteri accolse il nostro progetto «100 borse di studio per 100 donne afghane».

La guerra nell’Afghanistan post-talebani si era appena conclusa e la mia idea era quella di formare le donne perché potessero dar vita a microimprese artigianali e partecipare attivamente allo sviluppo socioeconomico di un Paese in ginocchio. Come sempre, volevo vedere e toccare con le mie mani. Fu così che partii alla volta dell’Afghanistan per selezionare donne che avessero i requisiti per i settori d’intervento che avevamo individuato”.

Pochi mesi dopo, alla sede del Centro internazionale di formazione dell’ilo, partner del progetto, arrivarono le prime ventisei donne selezionate, seguite da altri due gruppi: “In totale -ricorda ancora la Presidente della Fondazione Bellisario- formammo sessanta donne in Italia e altrettante in due corsi locali, tutte potenziali imprenditrici che ancora oggi continuano a scrivermi, a ringraziarmi e a raccontarmi dei loro successi imprenditoriali. È un progetto di cui vado fiera e parlando a lungo con quelle giovani capii che non mi potevo fermare”.

Prende così corpo per la Fondazione Marisa Bellisario una nuova sfida internazionale. “Lanciai – ricorda ancora lella Golfo-la campagna «Un tetto per le donne» per costruire un rifugio in cui potessero trovare posto le afghane che scappavano da casa, vittime di violenza domestica e che spesso, in mancanza di un altro posto dove andare, venivano incarcerate.

In poco tempo, riuscii a raccogliere quasi 30.000 euro e partii per Kabul dove, grazie all’aiuto del nostro ambasciatore, li consegnai ad Habiba Sarabi, allora ministro per la Tutela delle donne afghane. Era il novembre del 2003 e con lei firmai un protocollo, in cui si stabiliva, tra le altre cose, che il frutto della nostra generosità si sarebbe chiamato «Shelter Marisa Bellisario».

Quella fu anche la prima occasione in cui girai il Paese per verificare la reale condizione delle donne e capii che le mie convinzioni erano fondate. Vidi tanti computer ancora imballati e macchine da cucire mai usate e lì mi convinsi che gli aiuti internazionali senza la formazione erano inutili, perché lì il 95% delle donne non sapeva ancora né leggere né scrivere”.

Non soddisfatta di questo, qualche anno fa la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario torna sui suoi passi: “Dopo ben undici anni, sono tornata a Herat. Questa volta, alla guida di una delegazione italiana patrocinata dal Ministero degli esteri, composta da imprenditori e imprenditrici e capitanata da Alessandro Franchini, instancabile ideatore e fautore di progetti a sostegno del popolo afghano. L’ho trovata cambiata, e non in meglio: l’entusiasmo che avevo visto negli occhi delle donne all’indomani della liberazione sembrava aver lasciato il posto a una muta rassegnazione. Alcune donne, però, continuavano a lottare. Donne meravigliose, che mi hanno raccontato cosa, stava realmente avvenendo in Afghanistan”.

È nel suo libro “Ad Alta quota” che Lella Golfo cita i nomi di queste donne-coraggio: “Soraya Pakzad, per esempio, mi ha confermato che la situazione delle donne afghane è peggiorata.

E sa quello che dice visto che ha fondato e dirige «Voice of women», associazione non governativa per la difesa dei diritti delle donne, premiata per il suo coraggio dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e definita dal «Time» come una delle cento persone più influenti al mondo. E poi c’è Maria Bashir, il primo e unico procuratore generale donna di tutto l’Afghanistan, che mi ha parlato di una grande discriminazione, soprattutto nelle campagne, dove le donne vengono ancora considerate esseri inferiori e ove capita spesso che le famiglie vendano le proprie figlie per denaro”.

Lella Golfo confessa che molte ragazze reagiscono a questo destino con il suicidio o sfigurandosi: “Anche Maria Bashir è d’accordo con me che l’Afghanistan cambierà solo se l’istruzione si diffonderà ovunque, nelle città ma anche nei villaggi, tra uomini e donne.

Di ritorno da Herat ho deciso con la Fondazione di mettere a punto un nuovo progetto, che reputavo all’avanguardia e che avrebbe potuto fornire alle donne afghane gli strumenti necessari per operare a tutti i livelli della filiera produttiva, assicurando al contempo la loro autorealizzazione. Avremmo creato un laboratorio permanente «Fare impresa» e uno per la formazione tecnica e il trasferimento tecnologico.

Avremmo lanciato gli strumenti per l’accesso al microcredito, avremmo costituito uno «Sportello Energia Verde» per la sostenibilità energetica e avremmo promosso le catene operative locali per l’allevamento sostenibile di pollame. Lo stesso approccio adottato in Argentina, dove nel 2002 insieme alla Regione Calabria realizzai con l’allora presidente del Consiglio regionale Luigi Fedele e con Roberta Caldovino, un corso di formazione al turismo per quattordici donne argentine di origini calabresi.

Demmo loro una borsa di studio. Trascorsero sei mesi a Reggio Calabria, presso l’università per gli stranieri, imparando l’italiano, nozioni di business, gestione d’impresa e marketing e venendo a contatto con le realtà turistiche e gli imprenditori. E questo in uno dei periodi più duri della crisi economica argentina”.

Oggi il quadro attuale è davvero devastante, ma non si può dire che al Todi Festival ci si sia dimenticati delle donne e dei bambini di Kabul.


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