“Il mio Sud è la casa di San Ferdinando dove sono nato”

 Appena fresco di stampa, “Ecco l’anima del luogo”, Gruppo Albatros Il Filo (182 pag), è il nuovo libro del giornalista Gregorio Corigliano che dopo aver raccontato 30 anni di cronache in televisione ora racconta sé stesso e i luoghi della sua infanzia con una dolcezza e un senso di solitudine che la dicono lunga sulla sua vita di grande successo.

di Pino Nano
Sabato 23 Marzo 2024
Roma - 23 mar 2024 (Prima Pagina News)

 Appena fresco di stampa, “Ecco l’anima del luogo”, Gruppo Albatros Il Filo (182 pag), è il nuovo libro del giornalista Gregorio Corigliano che dopo aver raccontato 30 anni di cronache in televisione ora racconta sé stesso e i luoghi della sua infanzia con una dolcezza e un senso di solitudine che la dicono lunga sulla sua vita di grande successo.

Questa è la storia di una saga, la storia intima di una famiglia del Sud, una famiglia sana, perbene, come mille altre in quegli anni, alle prese con i mille problemi della guerra prima, della ricostruzione dopo, e della rinascita ancora più tardi.

 

E’ la casa del “rosmarino”, che è la casa natale di Gregorio, quella di San Ferdinando, dove tutto ruota attorno ai ricordi passati.

 

“Nel mare delle parole scritte per esser lette- scrive nella prefazione che fa la scrittrice Barbara Alberti- ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze…”

 

Ma questo libro è anche la storia di un popolo, quello calabrese, eternamente in bilico tra miseria e disperazione, eternamente in viaggio e in cammino, ma è anche la storia della “Piana”, quella di Eranova e Gioia Tauro, dei suoi aranceti, dei suoi contadini, dei suoi artigiani, dei suoi mandriani di pecore, dei suoi sacerdoti.

 

È la storia del mare che sta di fronte casa sua, a due passi dal porto di Gioia Tauro, una landa di sabbia bagnata dalla fortuna, poco più avanti la Costa Viola, con i profumi dell’Aspromonte, una montagna quasi sacra, irraggiungibile ed eternamente tormentata dalla paura di violenze inconfessabili. Storie di uomini e di cose senza tempo che hanno affidato al mare e ai tramonti sullo stretto di Messina le proprie speranze e le proprie illusioni.

 

Questo saggio è uno straordinario scrigno di ricordi, una cassaforte di emozioni, la narrazione romantica e straordinariamente avvincente di una Calabria che non esiste più, dove gli uomini partivano per la guerra e a casa rimanevano donne e bambini, e dove i bambini per tutta la vita hanno sognato una stretta di mano da padri invece condannati alla solitudine e ai lavori massacranti di un popolo errante.

 

“Leggendo il saggio di Gregorio Corigliano- scrive Luigi Sbarra, Segretario Generale della CISL, nella sua introduzione al libro- il ricordo va a mio padre, che ho aiutato nel lavoro durante gli anni di studio, e che mi ha insegnato la gioia del lavoro manuale e della “fatica dignitosa”. Facevamo una vita semplice insieme alle mie sorelle, a mio fratello e a mia madre, che avrebbe voluto un figlio avvocato. Invece si trovava un sindacalista, un militante che correva da un’assemblea all’altra in Aspromonte, nelle aziende agricole e florovivaiste per organizzare le battaglie contro lo sfruttamento di braccianti e forestali. All’inizio non approvava e aveva paura per me. Poi, quando ha visto le prime vittorie, le prime conquiste, ha capito e mi ha sostenuto senza riserve”.

 

Un romanzo, più che un saggio, questo di Gregorio Corigliano, di grande impatto mediatico e di grande valore antropologico, dove predomina il linguaggio del cuore e dove la prospettiva è l’immagine melanconica che lo scrittore ci offre, per esempio, dei piccoli cimiteri di paese, dove dietro ogni fotografia e ogni lapide si celano e si conservano storie di famiglie patriarcali deluse dalla vita e frantumate dalle fatiche quotidiane della vita.

 

“Ogni luogo -sottolinea nella sua postfazione Manuela Molinaro- ha quel che i romani chiamavano “genius loci”, il genio del luogo, quell’anima che Gregorio ha scoperto in San Ferdinando, quel posto in cui ha camminato, in cui cammina e che lo accoglierà sempre con il suo mare e quel taccuino pronto a scrivere una nuova storia, perchè la necessità di raccontare per lui (e per l’autore) non sarà mai abbastanza”.

 

Stato, politica, sanità, religione, vita reale di tutti i giorni, che vuol dire anche malaffare e criminalità organizzata, quello che Gregorio Corigliano ci offre in questo suo diario di viaggio è un Sud che non esiste più, ma che ha lasciato da queste parti segni indelebili e pesanti del proprio essere.

 

Storia di una Calabria per certi versi arcaica, ma quanto mai reale e soprattutto quanto mai attuale, dove i giovani di oggi sembrano essere destinati alla stessa sorte dei padri o dei nonni, figli in continuo movimento, ieri si chiamava emigrazione, oggi la chiamano fuga di cervelli, ma il senso è lo stesso di allora. Si parte e non ci torna, o quando si torna si è troppo vecchi ormai per cambiare le cose. E il sogno dei padri, si trasferisce nei figli, che a loro volta lo trasferiscono con i nipoti.

 

È il Sud del Sud, dove tutto cambia ma solo perché nulla in realtà possa cambiare realmente, un Sud ancora fermo, immobile, bloccato dalla storia e dal progresso, che in certi quartieri e in certe realtà periferiche è ancora aria che cammina. Ma è a questo Sud, così lacerato, così ancora lontano dal mondo, così tragico, che il vecchio cronista RAI dedica le sue pagine più intense.

 

Questo libro, diciamola tutta fino in fondo, è una sorta di lettera d’amore aperta alla terra che lo ha visto nascere, crescere, e invecchiare, e alla gente di Calabria che, come l’autore, continua a vivere sospesa tra inferno e paradiso, tra delusioni e speranze, tra sogni visionari e la dura realtà di questi anni.

 

“Quando ho ricevuto la prima bozza digitale del libro -confessa Luigi Sbarra- ho pensato che buttar giù una prefazione non sarebbe stato affatto semplice. I tanti begli interventi che si susseguivano sembravano slegati, preziosi frammenti di una vita intensa e di una mente libera e intelligente, capace di leggere le complessità e di trovare sempre una chiave di lettura rivelativa e originale. Una capacità unica, che l’autore ha messo per tanti anni al servizio dell’informazione pubblica e dell’impegno politico e sociale. Ma allargando lo sguardo fino ad includere ogni immagine, ogni ricordo ed esperienza rievocata dal libro, il caleidoscopio si ricompone in un mosaico coerente, seppure ideale, che descrive la vita, le fatiche, il cammino di un uomo del Sud, di un calabrese, che dai valori di una famiglia dignitosa del piccolo paese di San Ferdinando, nel Reggino, con determinazione e sacrificio, spinto dall’“artetica maligna”, dalla fame di esperienza, costruisce il proprio destino, lavora e studia, arriva a traguardi professionali rilevanti, a tanti riconoscimenti culturali e giornalistici, giungendo al vertice della struttura regionale della Rai e degli organismi nazionali del sindacato dei giornalisti del servizio pubblico”.

 

Per il leader sindacale oggi più seguito e più amato in Italia, questo libro di Gregorio Corigliano è “La storia di un riscatto personale e famigliare, sicuramente. Ma anche- conclude Gigi Sbarra- la descrizione di una grande consapevolezza. Quella di chi sa che – per usare una brutta locuzione – “avercela fatta” non dovrebbe mai essere un punto di arrivo, ma invece una soglia di partenza.”

 

Un voto? Me ne assumo io la responsabilità, “Dieci e lode”, anche per la dolcezza infinita delle foto di famiglia che danno di Gregorio l’immagine vera della sua storia.


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