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Può darsi che il presidente della Giunta regionale della Calabria Roberto Occhiuto abbia fatto la mossa giusta dimettendosi e autoricandidandosi. Ed è probabile che possa avere ragione, ma non è detto.
Può darsi che il presidente della Giunta regionale della Calabria Roberto Occhiuto abbia fatto la mossa giusta dimettendosi e autoricandidandosi. Ed è probabile che possa avere ragione, ma non è detto.
di Mimmo Nunnari
Lui, politico d’esperienza, di formazione democristiana, dovrebbe pur ricordare le celebri battute fulminanti di Andreotti, tra cui: “Non basta avere ragione, bisogna avere anche qualcuno che te la dia”. Comunque, sembrava tutto facile, per Roberto Occhiuto: il centrodestra - seppure spiazzato - aveva fatto quadrato intorno a lui, e il Pd, capofila del centrosinistra, appariva balbettante, incapace di competere.
Adesso, con l’irruzione sulla scena di Pasquale Tridico (“Io ci sono”) nulla appare più scontato. Tutto viene rimesso in gioco. Tridico, è esponente dei 5 Stelle, partito, con Conte, alla ricerca di una definitiva identità, dopo il regno di Grillo. Ma è prima di tutto una bella figura di calabrese partito dal basso, che si è fatto da solo: uno del popolo, apprezzato economista del lavoro, ricercatore, docente universitario.
E’ stato presidente dell’Inps, ed è considerato il padre del reddito di cittadinanza, provvedimento che fu molto apprezzato dalle famiglie meridionali. A Bruxelles, sta lavorando bene. E’ impegnato su questioni internazionali importanti, ed è attento a quelle del Sud d’Italia; come, su altro versante, Giusi Princi, europarlamentare eletta con Forza Italia, già apprezzata vicepresidente della Giunta Occhiuto, alla quale, col suo dinamismo, la sua capacità di orientarsi in un campo minato come quello della burocrazia regionale, ha dato una spinta fondamentale al Governo della Calabria, fino a metà percorso. Il popolo dei delusi, degli astensionisti, degli schifati della politica, dei moderati guarda con speranza a queste personalità, a prescindere dalla loro appartenenza politica. Sono outsider, che qua e là per fortuna sbocciano improvvisamente nelle melmose paludi della politica calabrese.
Tridico, si porta dietro queste credenziali di novità, competenza, popolarità. La sua candidatura rinvigorisce l’area progressista, resuscita il mondo politico riformista da tempo escluso (socialisti, cattolici, società civile) da una politica del campo del centrosinistra tendente all’esclusione, più che all’inclusione, e che adesso in Calabria, per un rilancio, dopo l’oblio forzato, si ispira al “modello Rende”, vincente, ideato da un vecchio leone socialista della politica: Sandro Principe.
Con un avversario “puro” del Pd - partito delle piccole tribù - Occhiuto avrebbe avuto gioco facile; anche se candidato fosse stato l’unico volto spendibile di questo partito: il senatore Nicola Irto. Avrebbe, Roberto Occhiuto, fatto una passeggiata verso la rielezione. Con Tridico in campo tutto cambia, la discesa rischia di diventare salita tortuosa.
Morale della favola: quella che è stata descritta come l’abile mossa del cavallo di Occhiuto, rischia di mutarsi nel salto del gambero: un'espressione che indica un'azione di arretramento, un passo indietro. Nel gioco degli scacchi, dove contano intelligenza e matematica, la mossa del cavallo è unica: il giocatore può saltare sopra pezzi della scacchiera, sia alleati che avversari, ma sparigliare i giochi di “amici” e avversari nel nostro caso non è scontato. Basta un errore nella sequenza di spostamento del cavallo, per fallire.
Quali sono a oggi i rischi di Occhiuto ?
Sono tanti, e imprevedibili. Intanto, c’è l’inchiesta giudiziaria che lo riguarda in prima persona, e poi c’è quella parallela che coinvolge nomi eccellenti del suo cerchio magico. Domanda: l’avrebbero logorato di più [Occhiuto] le inchieste nell’ultimo tratto di strada che rimaneva prima della conclusione della legislatura? O lo logoreranno di più adesso, col continuo stillicidio di notizie che arrivano con ritmo incalzante, e dove ogni particolare sembra sempre annunciarne un altro?
Tante voci, interessate, dall’interno del centrodestra, fanno trapelare la notizia di un piano B, se qualcosa dovesse accadere in queste settimane. “E’ tutta tuffa”, assicura però un big calabrese di Forza Italia.
Altro quadro: da candidato “motu proprio”, Occhiuto ha pensato di accelerare i tempi della giustizia? Di arrivare in tempi brevi ad un’archiviazione della sua vicenda giudiziaria? Dubitiamo che possa essere così: “La giustizia è come un treno che è quasi sempre in ritardo”, diceva il poeta russo Evgenij Evtušenko. Si riferiva in generale, ma tradotta per noi quell’espressione significa che la giustizia italiana ha i suoi tempi, che non debbono necessariamente coincidere con le esigenze della politica, o dei politici. Ora tiriamo un rigo e passiamo ad altra riflessione.
C’è qualcosa che Occhiuto non ha detto? O non può dire? Qualcosa che riguarda la mala burocrazia nel settore della sanità? Riportiamo le sue esatte parole: “… Dirigenti e funzionari non firmano alcun atto: alcuni perché hanno paura, altri perché pensavano che il film fosse quello degli ultimi trent’anni in Calabria, quando nell’ultimo anno di legislatura le inchieste giudiziarie decapitavano i presidenti, e facevano concludere la loro esperienza politica”.
È solo questo? O il presidente uscente della Regione ha sperimentato che la malaburocrazia in Calabria è imbattibile e ha trovato l’occasione per gettare la spugna? Davvero, spera con la rielezione, con la forza di un nuovo investimento popolare, di affrontare con armi migliori una burocrazia che storicamente in Calabria trova le sue precondizioni in un mondo privo di capacità e cultura, affetto di mediocrità, propenso a cedere alla corruzione? Tiriamo un altro rigo.
Occhiuto ha deciso in solitudine di dimettersi e ricandidarsi, e c’è chi ha visto arroganza nel suo gesto, un atteggiamento di superiorità, se non di disprezzo, verso gli altri, amici e avversari: “Un gesto da viceré, non da presidente eletto”, lo ha definito Jasmine Cristallo, della Direzione Nazionale del Partito Democratico. Occhiuto ha parlato della sua idea “spiazzante” con Meloni, Salvini e Tajani, ma ha ignorato, snobbato, i livelli locali della sua stessa area politica, che hanno inghiottito la pillola amara, che è come ingoiare il rospo: una cosa sgradevole. Chi ha dovuto andarsene a casa, con un anno d’anticipo, chi rischia di non tornare più a palazzo Campanella, chi non sarà più ricandidato e resterà disoccupato, tutti, provano a sorridere, ma nella bocca hanno il fiele. E poi ci sono le cose che più interessano i calabresi: le cose lasciate a metà, in settori vitali, come la sanità, le incompiute nei settori trasporti, infrastrutture, lavoro, servizi sociali, scuola. Tutte cose che non bisogna mendicare, ma reclamare, senza atteggiamenti di sudditanza verso il Governo nazionale.
Oltre l’impegno innegabile nei suoi quattro anni di presidenza, e alcuni buoni risultati, ci si aspettava che Occhiuto alzasse la voce per far uscire la Calabria dall’irrilevanza in cui è precipitata, anche per mancanza cronica di una classe dirigente adeguata. Chiunque vincerà adesso la partita, che è apertissima, deve avere coscienza che la “Calabria malata” può essere guarita solo con un mutamento di mentalità. Con più schiena dritta nei confronti di uno Stato inadempiente e in fuga dalle sue responsabilità.
Per Occhiuto e Tridico, la vera sfida è questa: rivendicare i diritti dei calabresi, vincere la mediocrità della classe burocratica e battere i sistemi mafiosi e corruttivi che questa regione hanno strangolato.