Giornalismo e politica, per Franco Laratta sono “le passioni di una vita”

Oggi Franco Laratta è il direttore responsabile di una delle tv private più importanti e più seguite del Sud, LaC, e come tale – lui che per anni è stato anche conduttore della televisione- uno dei protagonisti veri della vita sociale politica ed economica della Calabria di queste ore.

di Pino Nano
Giovedì 28 Agosto 2025
Vibo Valentia - 28 ago 2025 (Prima Pagina News)

Oggi Franco Laratta è il direttore responsabile di una delle tv private più importanti e più seguite del Sud, LaC, e come tale – lui che per anni è stato anche conduttore della televisione- uno dei protagonisti veri della vita sociale politica ed economica della Calabria di queste ore.

“Ho cominciato -dice- facendo il cronista. Cronista di periferia. Immaginando che questo sarebbe stato tutto il mio mondo, ho scritto per quotidiani calabresi, ho poi fondato e diretto alcune testate periodiche, ho lavorato in tv, sono stato tra quelli che ‘ruppero’ il monopolio statale dell’etere. E via con le ‘radio libere’ per dare voce alle nuove generazioni, per un’avventura straordinaria che avrebbe modernizzato l’Italia.

Radio Sila Tre è stata una ‘radio libera’ che a metà anni ’70 e fino a tutti gli anni ’80 ha occupato un posto di straordinaria importanza, per la musica, per i programmi, per l’informazione in Calabria (un GR ogni ora!). Circa 50 ragazzi, fra dj, cronisti, tecnici e collaboratori, hanno dato vita ad un’emittente davvero moderna e coraggiosa. Ho avuto modo di dirigerla dal primo giorno e per 10 anni. Una storia bellissima, per me unica”.

Membro del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, Franco Laratta il prossimo 26 dicembre compirà 66 anni. È nato a San Giovanni in Fiore- lo racconta lui stesso- con un grande sogno nel cassetto, quello di fare politica, e così è stata la sua vita. Appena ragazzo incomincia a muovere i primi passi nelle file dell’allora Democrazia Cristiana, erano gli anni di Riccardo Misasi ai vertici del partito insieme a Ciriaco De Mita Capo del Governo, anni di grande passione politica e sociale almeno da queste parti.

Amabile, brillante, educatissimo e rispettosissimo dei ruoli all’interno del partito, presto ne diventa suo malgrado dirigente provinciale prima, leader regionale subito dopo, e chiude la sua carriera di militante cattolico sugli scranni del Parlamento Italiano.

Direttore oggi lei dirige una delle TV più importanti della Calabria, che effetto le fa?

Non me lo sarei mai aspettato. Dopo anni trascorsi a scrivere per LaC e a realizzare format televisivi di successo, ritrovarmi alla guida dell’informazione di un network così ricco e articolato è stata una sfida impegnativa. È un impegno che mi assorbe 24 ore al giorno, senza tregua. Ma la possibilità di guidare una redazione di 45 giornalisti di grande valore, tutti motivati e appassionati, è diventata per me una passione vera e propria. Per questo ringrazio l’editore Maduli che ha voluto affidarmi una responsabilità così grande e così impegnativa.

- Da politico a guardiano del potere, cosa è cambiato nella sua vita?

Ho chiuso la mia esperienza politica dodici anni fa, rifiutando ogni proposta di ritorno. Ho fatto politica sin da ragazzo, a 14 anni, e quella stagione mi ha profondamente segnato: l’ho amata e odiata allo stesso tempo. La politica ha lati oscuri, e spesso le grandi speranze si scontrano con una realtà deludente. Ho imparato però che si può fare politica, nel senso più nobile del termine, anche fuori dalle istituzioni, restando coerenti con il principio espresso da Paolo VI: “La politica è la più alta forma di carità”, ossia di servizio alla comunità.

- Qual è la difficoltà maggiore che vive oggi nel dirigere LaC?

Dirigere LaC significa essere sempre vigili: osservare, immaginare, proporre, trovare idee nuove e inedite. Significa garantire un’informazione senza pregiudizi, senza favoritismi, che sia davvero la voce di tutti. Con l’editore condividiamo una visione: LaC è prima non solo per ascolti e visualizzazioni, ma perché distingue i fatti dalle opinioni, cercando sempre la verità. Questo comporta una grande responsabilità: mantenere un’informazione pulita, onesta e, soprattutto, vera.

- Che realtà editoriale ha trovato e cosa spera di costruire?

Ho trovato un gruppo editoriale solido, cresciuto rapidamente fino a diventare un riferimento non solo regionale ma anche nazionale. È una realtà vivace, ben organizzata e proiettata sul futuro. Il mio compito non è tanto costruire qualcosa di nuovo, ma custodire e innalzare costantemente la qualità dell’informazione.

- Crede ancora che il giornalismo possa essere utile alla sua terra?

Sì, a condizione che resti libero e non si pieghi ad altri interessi. Il giornalismo serve quando risponde unicamente ai cittadini, quando è indipendente. Purtroppo non sempre accade: in molti hanno tradito quella che doveva essere una missione civile.

- L’inchiesta più bella che le è capitata sotto mano?

La più sconvolgente, in senso negativo, è stata una delle prime inchieste sulla sanità calabrese, nel 2012. Ne nacque un dossier che anticipava problemi oggi sotto gli occhi di tutti, ma allora fu ignorato. L’inchiesta che più mi ha convinto, invece, è quella sullo spopolamento: la Calabria che lentamente si svuota e rischia di spegnersi.

- Che squadra si ritrova a guidare oggi direttore?

Un gruppo di giovani professionisti che vivono il giornalismo con passione, sacrificio e dedizione. Lavoriamo fianco a fianco, discutendo ogni giorno: io non mi impongo mai, condivido tutto. E accanto alla redazione c’è un gruppo di 20 giovani collaboratori che volontariamente contribuiscono a sperimentare un nuovo modo di fare informazione. Sono la nostra riserva di futuro.

- Che rapporto ha con le altre realtà editoriali della regione?

Cordiale e rispettoso. Conosco molti colleghi e riconosco il valore del lavoro che svolgono, in una regione dove fare informazione libera è una sfida quotidiana.

- L’ultimo libro letto dall’inizio alla fine?

Benito di Giordano Bruno Guerri, che ho anche presentato insieme all’autore in occasione di alcune iniziative del Premio Letterario Caccuri.

- L’ultimo film visto al cinema?

Non vado al cinema da anni.

- L’ultimo concerto live?

Quello di Brunori Sas, un artista che merita di essere seguito ovunque.

- Ha una canzone del cuore o della vita?

‘E poi…’ di Mina, ascoltata per caso da un jukebox quando ero ragazzo: fu un colpo di fulmine per la sua voce straordinaria. Da allora Mina è diventata la colonna sonora della mia vita. Poi Angie dei Rolling Stones e One degli U2, due brani che mi accompagnano da sempre. Nei viaggi lunghi in macchina ascolto Verdi e Puccini, che adoro.

- Chi trova quando la sera torna a casa?

Mia moglie. Fino allo scorso anno anche i miei figli, Karen e Andrea, che ora vivono per conto loro.

- Cosa le piacerebbe che suo figlio o sua figlia facessero da grandi?

Hanno sempre avuto la libertà di scegliere. Karen oggi insegna nelle scuole primarie, Andrea è un film-maker e ha uno studio tutto suo.

- Che consiglio darebbe a un giovane che oggi volesse intraprendere la sua carriera?

Essere forti, determinati e consapevoli che nella vita non sempre si vince. È dalle sconfitte che si imparano le lezioni più importanti, come scriveva Pasolini. E, come diceva Calvino, prendere la vita con leggerezza, che non è superficialità, ma la capacità di non avere macigni sul cuore. Questo è stato il mio faro in carriera.

- Qual è stata la vera arma del suo successo?

Disponibilità verso tutti, lavoro instancabile, visione sempre proiettata in avanti. Umiltà e onestà, senza eccezioni.

- Direttore, che futuro immagina per la sua vita?

Quando Carlo Azeglio Ciampi lasciò il Quirinale disse: “Adotterò il metodo-Mina: lavorare senza più apparire”. Credo anch’io che arrivi un momento in cui si ha il diritto di fare solo ciò che si ama, con discrezione e lontano dai riflettori.


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