La RAI adotta l’Arbereshe, Antonio Scura “Ma l’Arberia diventi ora Patrimonio dell’Unesco”.

Intervista al giornalista italo-albanese, Antonio Scura. “Il futuro e la sopravvivenza delle nostre comunità -dice lo studioso di Storia Arbereshe- passa dal riconoscimento Unesco”.

di Pino Nano
Sabato 15 Giugno 2024
Roma - 15 giu 2024 (Prima Pagina News)

Intervista al giornalista italo-albanese, Antonio Scura. “Il futuro e la sopravvivenza delle nostre comunità -dice lo studioso di Storia Arbereshe- passa dal riconoscimento Unesco”.

Originario di San Giorgio Albanese (Cosenza), Antonio Scura è giornalista professionista da quasi cinquant’anni. Ha iniziato da giovane come cronista di nera e giudiziaria con Il Giornale di Calabria diretto da Piero Ardenti. Dopo la chiusura del quotidiano di Piano Lago, è stato responsabile della redazione cosentina di Oggisud. Ha collaborato con l’Agenzia Ansa, con i settimanali Espresso ed Epoca, ed è stato corrispondente dalla Calabria del quotidiano Il Messaggero. Nel 1988 si è trasferito in Veneto dove ha lavorato con i quotidiani Mattino di Padova, Nuova Venezia, Tribuna di Treviso, Corriere delle Alpi, dell’allora gruppo editoriale Espresso-Repubblica. Qui è stato responsabile del servizio Attualità e Province. Con l’Agl, service di tutti i quindici quotidiani del gruppo Finegil, è stato inviato di politica e cronaca in Italia e all’estero e inviato di guerra in Bosnia, Iraq, Afghanistan e Kosovo. Nella sua lunga carriera di giornalista investigativo è stato autore di scoop di portata nazionale come l’intervista all’aula bunker di Padova del capomafia Totò Riina e quella nel carcere di Verona del serial killer Gianfranco Stefanin, e punto di riferimento delle indagini sulla strage di Ustica, (facendo riaprire l’inchiesta giudiziaria sulla caduta del Mig libico in Sila), sul furto del Mento di Sant’Antonio a Padova e sul pentimento del boss della mala del Brenta, Felice Maniero.

E’ sposato con Wanda, un’insegnante, e hanno un figlio, Giorgio, giornalista anche lui, che dopo aver iniziato la sua carriera con il gruppo Caltagirone (Leggo, Gazzettino, Messaggero) è poi passato a Fanpage.it. Attualmente Giorgio Scura è direttore della testata giornalista Decripto.org, primo giornale on line italiano specializzato nel settore della blockchainWeb3, dei bitcoin, delle criptovalute, dei meta versi e degli Nft.

 Lo cerchiamo per via di una notizia che nei prossimi anni cambierà l’immagine di molte sedi regionali della RAI, per via del Contratto di Servizio appena approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e che permetterà -per esempio in Calabria- la diffusione di programmi in lingua Arbereshe, una conquista che il popolo albanese aspettava da quasi mezzo secolo e che oggi porta la firma del senatore Maurizio Gasparri, che per anni si è battuto perché questo sogno degli albanesi di Calabria diventasse finalmente realtà. Nessuno meglio di Antonio Scura conosce oggi così a fondo il mondo Arbereshe, per esserne lui rimasto figlio interprete e testimonial fedele sempre, da qualunque parte lui fosse o vivesse per motivi di lavoro.

 -Antonio vogliamo ricordare qual è stato il tuo primo servizio di giornalista italo-albanese sulla comunità arbereshe della Calabria? Te lo ricordi?

Era la primavera del 1981, il Giornale di Calabria aveva chiuso da circa sei mesi, quando mi chiama nella storica sede Rai di via Montesanto a Cosenza, il capostruttura Antonio Minasi, responsabile dei Programmi. Minasi, uomo di grande cultura, mi propone un vero e proprio viaggio tra i paesini italo-albanesi della Calabria.

 -Il programma come era strutturato?

Era un programma radiofonico che andava in onda subito dopo il giornale radio regionale. Insieme al fonico Mario Bucchieri, bravo e serio professionista, armati del mitico registratore Nagra, abbiamo girato (una puntata ognuno) tutti i paesini arbereshe della Calabria, raccontandone la storia antica e nobile di queste comunità.

 -La tua storia professionale poi ti ha portato lontano dalla Calabria, ma c'è qualche altro ricordo giornalistico legato agli arbereshe?

Si tratta di una vicenda bellissima che riguarda il Comune di Falconara Albanese, sul Tirreno Cosentino, qui nonostante si parlasse l'arbereshe, il rito era quello latino, perche la parrocchia faceva parte dell'arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, retta all'epoca da mons. Enea Selis, di origine sarda, uomo di grande culturale, compagno di studi di Aldo Moro.

 -E cosa avvenne?

Per iniziativa del sindaco di Falconara dell'epoca, Giuseppe Manes e dell'allora parroco, il papas don Antonio Bellusci, fu fatta richiesta all'arcivescovo Selis di potere essere annessi alla diocesi italo albanese di Lungro, guidata dal vescovo Giovanni Stamati, Io segui tutta la vicenda sul Giornale di Calabria e il 4 marzo 1974, Selis firmò il decreto di annessione. Ma la vicenda di Falconara rimane però un'incompiuta.

 -In che senso?

Esistono ancora in Calabria, e non solo, diverse comunità arbereshe che inspiegabilmente sono di rito latino invece di essere, come la storia pretenderebbe, cattolici di rito greco bizantino.

 -Quali sono?

Spezzano Albanese, per esempio, nonostante sia distante poco più di venti chilometri da Lungro, è di rito latino sotto la giurisdizione dell'arcidiocesi di Rossano-Cariati che dista quasi sessanta chilometri. Stessa situazione per i tre Comuni italo-albanesi del Crotonese (San Nicola dell'Alto, Carfizzi e Pallagorio) che sono con il rito latino dell'arcidiocesi di Crotone-Santa Severina.

 -Perché questa situazione a dir poco paradossale?

Il motivo principale, a differenza di quanto è avvenuto a Falconara, è che non c'è interesse né da parte del clero locale (i cui parroci latini "perderebbero il posto"…) né da parte dei sindaci che evidentemente non hanno questa sensibilità culturale. Poco interessati purtroppo anche i principali fautori di queste sacrosanti, è il caso di dire, annessioni. E cioè i vescovi "cedenti" di Rossano-Cariati, Maurizio Aloise, quello di Crotone-Santa Severina, Angelo Raffaele Panzetti, e soprattutto il vescovo "ricevente" di Lungro, Donato Oliverio.

 -E in questo quadro come si colloca l'Università della Calabria?

L'Università della Calabria ha oltre cinquanta corsi di laurea: nemmeno uno, magari triennale, in lingua, storia e cultura albanese. Esiste solo un Laboratorio di Albanologia. Ma di un corso di laurea nemmeno l'ombra. L'organico di questo laboratorio è formato addirittura da soli due docenti: Francesco Altimari, ordinario di lingua e letteratura albanese e da Fiorella De Rosa, associata e da quattro collaboratori.

 -Cosa fanno in questo Laboratorio?

Insegnano lingua e letteratura albanese nell'ambito di due corsi di laurea: una, triennale, in lingua e culture moderne e un'altra, specialistica, in lingua e letterature moderne, filologiche, linguistiche e traduzione. Inoltre, così si legge nel sito dell'Unical, dal 1991 il Laboratorio di Albanologia ha organizzato ben nove tra congressi, convegni e seminari. Nulla, invece, è stato fatto per porre fine, per esempio, a quello che possiamo definire un "falso storico".

 -Cioè?

Come tu sai, nelle nostre comunità sono ancora esistenti e custoditi gelosamente sfarzosi vestiti tradizionali femminili. Ma l'Università della Calabria, con studi specifici e approfonditi non ha mai fatto, come avrebbe dovuto, chiarezza storico-culturale su questa realtà. Infatti, di questi sfarzosi costumi in Albania non c'è alcuna traccia storica o testimonianza fisica. Nessuno li conosce, nessuno li ha mai visti. Nessuno li ha mai indossati. Perché non fanno parte della tradizione e della storia dell'Albania. Gli albanesi hanno saputo della loro esistenza e li hanno visti per la prima volta solo quando in anni recenti sono sbarcati in Italia dopo la caduta del regime comunista.

 -Il motivo? 

L'immigrazione albanese sbarcata in Italia nei secoli passati era formata soprattutto da gente povera che non aveva disponibilità economica per poter portar in dote questi sfarzosi costumi dalla madre patria e nemmeno di farseli realizzare in Italia. Quello che verosimilmente è successo, secondo quanto sostengono alcuni storici, da qui la necessità di una verifica approfondita da parte dei ricercatori universitari, è che gli italo-albanesi negli secoli passati stati arruolati come mercenari nell'esercito  e nella cavalleria del Regno di Napoli e non solo. Qui notarono i bellissimi vestiti indossati dalle dame di corte e con i loro guadagni se li fecero realizzare dai sarti napoletani anche per le loro donne. E così, quando l'arte fu "copiata" e ben acquisita, negli anni successivi, dai sarti arbereshe, questi andavano ad acquistare quei pregiati tessuti nell'unico posto dove poterli trovare: Napoli.        

 -Tornando all'Università della Calabria, una laurea specifica sarebbe importante. Non credi?

Io direi essenziale. Una lingua vive se viene insegnata. Nelle scuole dell'obbligo delle nostre comunità non è stata mai insegnata la lingua arbereshe. (intendo obbligatoriamente come l'inglese o il francese). In Irlanda, per esempio, nelle scuole, anche superiori, viene insegnato il gaelico, la lingua tradizionale irlandese che ormai non parla più nessuno. Ma per un dovere storico, diciamo, viene ancora insegnata. Ecco che laureati esclusivi in lingua e letteratura albanese avrebbero un ruolo importante nell'insegnare ai bambini e a formare docenti nell'insegnamento dell'arbereshe almeno nelle nostre scuole dell'obbligo. Ma nonostante la normativa nazionale lo permetta, la Regione Calabria e i Comuni italo-albanesi sono in tutta'altre faccende affaccendati… Ma c'è di più!

 -Che cosa?

In tutte quelle Regioni italiane dove esiste una delega alla tutela e alla salvaguardia delle minorane, tale delega, com'è ovvio, è di competenza dell'Assessorato regionale all'Istruzione, alla Cultura o ai Beni culturali in genere. In Calabria, invece, la delega alle minoranze etnico linguistiche è di competenza dell'Assessorato regionale all'Agricoltura! Cosa c'entra la storia arbereshe con la coltivazione degli ulivi e la produzione degli agrumi...

 -Che rapporti ci sono tra i paesi arbereshe e l'Albania?

Dopo la caduta del regime comunista di Enver Hoxha, i rapporti si sono allargati e consolidati. Direi anche fin troppo.

 -Perché

Negli ultimi tempi sono decine e decine i viaggi che delegazioni delle comunità arbereshe, con in prima fila i sindaci con la fascia tricolore, hanno fatto in Albania dove alla fine tutto si riduce a sfilare con i costumi tradizionali, ballando e cantando, per le strade di Tirana. Da parte albanese sono altrettanto numerosi e continui i viaggi, in particolar modo quelli del presidente della Repubblica (che così, secondo me, svilisce e svaluta ruolo e funzione) fatti in Calabria insieme con altre autorità governative e diplomatiche shipetare. E anche in questo caso tutto si risolve nell'inaugurazione di qualche busto bronzeo di Scanderbeg e di omaggiare i graditi ospiti di bamboline vestite con i costumi arbereshe. Mi sembra davvero un po' troppo poco. Anche se poi in questa realtà c'è chi ci sguazza, trovandoci un proprio redditizio tornaconto personale e familiare.

 -A cosa ti riferisci?  

Come gli altri Paesi anche l'Albania ha accreditato qui da noi consoli onorari italiani e italo-albanesi i quali forti del loro status, anche se non retribuito, (viaggiano, tra l'altro, con passaporto diplomatico), hanno rapporti privilegiati con il governo albanese e da anni, direttamente o indirettamente, anche tramite società miste italiane e albanesi, stanno acquistando centinaia di ettari di uliveto e altrettanti pregiati e ricercati terreni  in zone turistiche sul mare destinati alla costruzione di alberghi, villaggi e stabilimenti balneari.

-Ma di fronte a questo quadro, non certo lusinghiero della realtà, come vedi il futuro delle comunità italo-albanesi?

Ci sono due opportunità che potrebbero davvero rivoluzionarne e quindi salvaguardarne davvero il loro futuro. La prima riguarda la pubblicazione, nelle settimane scorse, sulla Gazzetta Ufficiale del cosiddetto Contratto di Servizio Rai-Stato  per il periodo 2023-2028 in cui è stata elevata la lingua arbëreshë  a Tutela Costituzionale (art. 6). Ora la minoranza linguistica italo-albanese avrà gli stessi diritti di cittadinanza nei programmi e nei servizi giornalistici della Rai delle altre minoranze linguistiche riconosciute dalla legge di attuazione costituzionale.

 -Ma in particolare, cosa prevede questa importante, direi storica, iniziativa?

Lo ha spiegato bene nei giorni scorsi l’ing. Demetrio Crucitti presidente della Fondazione Salvatore Crucitti Onlus e consigliere nazionale della Figec Cisal, già direttore della sede Rai della Calabria, da sempre ostinato sostenitore di questa iniziativa legislativa. Secondo Crucitti la sede regionale Rai per la Calabria dovrebbe diventare Centro di produzione decentrato, alla stregua di Bolzano, Trieste, Aosta e Cagliari. L'arbëreshë sarà, dunque, la lingua ufficiale per servizi giornalistici e programmi dedicati a questa minoranza linguistica storica in aggiunta ai programmi in italiano.

 -Accennavi prima anche ad un'altra possibilità. A cosa ti riferivi?

Parlo di un riconoscimento Unesco, come patrimonio unico dell'umanità, per queste nostre comunità.  Che oltre in Calabria, come tu sai, si trovano anche in Basilicata, Sicilia, Abruzzo, Campania, Puglia, Molise. Si tratta di un gruppo di 43 Comuni e 8 frazioni, con una popolazione di circa centomila abitanti. La loro peculiarità principale è che qui da quasi seicento anni si parla una lingua, l’albanese antico, che non è stata mai insegnata nelle scuole ma viene tramandata oralmente da genitori a figli. A questa prerogativa, unica al mondo, (l'unicità è condizione essenziale per aprire un'istruttoria di riconoscimento di patrimonio unico dell'umanità da parte dell'Unesco) se ne aggiunge un'altra condizione unica e particolare: nella maggior parte di questi paesini (con diocesi ad hoc: una a Lungro in provincia di Cosenza e l'altra a Piana degli Albanesi, in Sicilia), riconosciuto dalla Chiesa di Roma, è osservato il rito greco-bizantino con i sacerdoti-papas. Tali caratteristiche di unicità e straordinarietà che non esistono in nessun'altra minoranza etnico-linguista, ne fanno oggettivamente una realtà unica al mondo e che un riconoscimento Unesco potrebbe aiutare davvero queste comunità a sopravvivere nel tempo e dare lustro a tutto il nostro Paese. Ma…

 -Ma?

Come diceva Giovanni Falcone, le idee camminano con le gambe degli uomini. Il riconoscimento Unesco, in particolare, ha in iter lungo e elaborato e ha bisogno di un vero e forte sostegno politico, sia a livello nazionale sia a livello locale, come la stessa iniziativa Rai-Stato, a favore di queste comunità, deve essere davvero un'occasione culturale gestita in modo professionale e senza condizionamenti. Altrimenti, se così non dovesse essere, nel giro di qualche decennio assisteremo, inevitabilmente, alla definitiva scomparsa delle nostre comunità.


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