Mario Caligiuri e il suo nuovo racconto sui Servizi Segreti in Italia e nel mondo

Giovedì 30 ottobre 2025 alle ore 17.30 a Roma presso la Treccani l’ultimo libro del Presidente della Società Italiana di Intelligence Mario Caligiuri, “Intelligence”, insieme a Massimo Bray, Bernardo Mattarella, Lorenzo Guerini e Vittorio Rizzi. Un’occasione per riparlare di Servizi Segreti nel mondo.

di Pino Nano
Lunedì 27 Ottobre 2025
Roma - 27 ott 2025 (Prima Pagina News)

Giovedì 30 ottobre 2025 alle ore 17.30 a Roma presso la Treccani l’ultimo libro del Presidente della Società Italiana di Intelligence Mario Caligiuri, “Intelligence”, insieme a Massimo Bray, Bernardo Mattarella, Lorenzo Guerini e Vittorio Rizzi. Un’occasione per riparlare di Servizi Segreti nel mondo.

-Professore ancora un libro sull’intelligence, ma per dire cosa di nuovo?

Per spiegare che non è semplice condurre in porto la nave quando il mare è in tempesta. In questi ultimi anni, da fornitrice di informazioni, l’intelligence è diventata protagonista della scena politica globale, forse a causa dell’indebolimento delle élite pubbliche democratiche.

-In che senso professore?

Attualmente l’intelligence è coinvolta in compiti di diversa natura: economica (nella definizione del golden share), cibernetica (soprattutto sul versante della disinformazione estera) e nelle trattative ufficiali (come nel recente caso del conflitto mediorientale). Inoltre, sui canali di informazione vengono riportate sempre più spesso dichiarazioni dell’intelligence, alla quale i governi, da cui dipendono, affidano il compito di comunicare con i media: sarà perché, in questa convulsa fase storica, possono risultare più credibili delle istituzioni democratiche?

-Un’intelligence professore non più “segreta” insomma?

Secondo me, riflettere su come si sta sviluppando l’intelligence potrebbe contribuire a comprende la metamorfosi del mondo. L’intelligence può anche rappresentare un’arma di difesa contro l’esplosione della disinformazione e la crisi della verità. Nella società della finta trasparenza e del predominio dei social, può evidenziare il valore sociale del segreto, che consiste nel discernimento nell’utilizzo delle informazioni, affinando sempre di più la capacità di scegliere ciò che va reso pubblico e ciò che invece è opportuno tenere riservato proprio per tutelare l’interesse dei cittadini.

-Non è facile capirlo, non crede?

Questo concetto mi creda è alla base della ideologia democratica che presuppone cittadini consapevoli - che controllano i propri rappresentanti - ed élite pubbliche responsabili, in grado di assumere comportamenti in base alla capacità di utilizzare le informazioni. Un sistema democratico non può essere tale senza l’esercizio delle responsabilità individuali.

-Una intelligence sempre più determinante nel mondo delle relazioni internazionali?

L’intelligence è sempre più indispensabile per decidere. Le scelte che formalmente condizionano l’andamento della società sono quelle dei rappresentanti politici e non a caso oggi si parla di statecraft, “arte di governare”, per cui diventa importante come si formano, selezionano e verificano le élite pubbliche. Infatti, sono proprio le élite pubbliche che devono richiedere e utilizzare le informazioni dell’intelligence e, come osserva Robert David Steele «una buona intelligence non serve in presenza di una cattiva politica». L’intelligence viene definita spesso come deep state, “Stato profondo”, che come tutte le articolazioni pubbliche, dall’esercito alla magistratura, dalla diplomazia alle forze di polizia, assicura stabilità al sistema democratico in presenza dell’alternanza delle forze politiche nel governo delle nazioni.

-Più si sa e più forti si è?

Diciamola tutta. L’intelligence dovrebbe essere intesa come una conoscenza profonda che si confronta con l’evoluzione del mondo ma che mantiene le sue capacità di comprensione della realtà; una forma di persistenza della conoscenza e della memoria umana che si confronta in modo aperto con l’intelligenza artificiale. Potrebbe allora non essere secondario promuovere la cultura dell’intelligence, intesa come capacità di comprendere e anticipare i fenomeni, perché senza cultura rimane solo la burocrazia.

-Intelligence e sicurezza dunque viaggiano insieme?

Il primo compito delle istituzioni è garantire la sicurezza dei cittadini. Ma la sicurezza, nella società del digitale e della conoscenza umana e artificiale, si ottiene, per esempio, acquistando più armi oppure investendo nell’educazione? È un tema da porre, proprio parlando di intelligence, che è un sapere umano. Ripetendo Robert David Steele: “La migliore arma di una nazione è avere una cittadinanza istruita”.

-Per la prima volta lei in questo libro parla di algoritmi educativi, cosa significa?

Significa difendersi dall’intelligenza artificiale con l’intelligenza artificiale. Al riguardo, proprio in chiave di educazione e di intelligence, ho proposto la creazione di algoritmi educativi partendo dalla premessa che se gli algoritmi commerciali, su cui è basata l’economia del web, indiscutibilmente funzionano, perché non dovrebbero farlo algoritmi educativi che invece di orientare al consumo promuovano il pensiero critico? Che invece di stimolare emozioni inducano a ragionare? Nello scontro di intelligenze, in cui l’attività di intelligence per le persone e per gli Stati è totalmente coinvolta, le ipotesi che possono prospettarsi non sono tutte rassicuranti, a meno che non si ritenga che in futuro si possa realizzare una pacifica convivenza e consapevolezza dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Prospettiva certamente auspicabile ma che potrebbe pure non verificarsi o verificarsi in parte. Il futuro è aperto e dove stiamo andando per la verità non lo sa assolutamente nessuno.

-Nel suo libro lei immagina due diversi scenari di evoluzione in questo mondo…

In una logica di intelligence ho provato a delineare alcuni possibili scenari. Il primo è quello della ibridazione tra uomo e macchina, che Kevin Kelly ritiene «inevitabile». E in questa categoria si può ascrivere la proposta dell’algoritmo educativo. La seconda è quella della valorizzazione dei poteri nascosti della mente, investigati durante la guerra fredda dalle agenzie di intelligence. In tale quadro possono essere ricomprese le facoltà delle persone plusdotate, che sono fuori quadro rispetto alla profilazione del web. E infine, stimolare i poteri della mente come avveniva già nelle civiltà antiche, attraverso sostanze naturali − e oggi anche artificiali − per ampliare le visioni della realtà. Tra l’altro, il tema si intreccia con il mondo digitale, perché Steve Jobs, che aveva ammesso di fare uso di sostanze stupefacenti, è colui il quale nel 2007 ha inventato l’iPhone cambiando il mondo: c’è un nesso tra uso di sostanze e invenzione tecnologica?

-La domanda è intrigante, quale è la sua risposta?

Non possiamo saperlo, ma il tema, con tutte le cautele e i distinguo, intellettualmente va posto comunque. In definitiva, l’idea di intelligence che qui si propone è quella di formare persone molto qualificate che possano rappresentare delle minoranze creative, quelle che secondo lo storico Arnold Toynbee hanno sempre consentito il passaggio da una civiltà a un’altra. Non a caso, proprio a tale concetto si è ricollegato il cardinale Joseph Ratzinger, prima di diventare papa Benedetto XVI, riferendosi alla vocazione dei cristiani del XXI secolo, che, essendo destinati a diventare minoranza nella società, dovrebbero esercitare la testimonianza per indicare valori e comportamenti, diventando, nella lettura di Chantal Delsol, degli “agenti segreti di Dio”.

-Vedo che lei è rimasto cattolico nel profondo del suo cuore?

Noi italiani, “non possiamo non dirci cristiani” come aveva osservato Benedetto Croce, che era atro. Questa ovviamente è una visione di fede che non tutti possono condividere, tenendo però conto che la dimensione etica nell’era dell’intelligenza artificiale è più decisiva che mai, come spiega Paolo Benanti. Bisogna essere responsabili delle proprie azioni, e di fronte all’esplodere dell’uso delle tecnologie occorre preparare la rivincita del fattore umano. L’intelligence, intesa come metodo, ha la funzione fondamentale di cogliere i segni dei tempi e di interpretare la metamorfosi della società, rappresentando quella sentinella che osserva la fine di un mondo per contribuire a preparare quello che verrà.


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