Del caso-Renzi vi abbiamo già detto quasi tutto.
È accaduto di peggio a Nicola Gratteri, attuale Procuratore della Repubblica a Catanzaro, giudice di altissimo profilo professionale e morale, forse il magistrato che dopo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è oggi il magistrato italiano più conosciuto più ammirato e più raccontato dai media.
Ma perché Nicola Gratteri? Perché questo giovane magistrato calabrese paga sull’altare delle “correnti interne” della magistratura, di cui non ha mai fatto parte e di cui non ha mai voluto far parte, il prezzo forse più alto della sua carriera? Luca Palamara lo spiega ad Alessandro Sallusti con estrema chiarezza.
Matteo Renzi vorrebbe Gratteri ministro della giustizia, ma il Capo dello Stato Giorgio Napolitano lo sega sul nascere.
Gratteri si candida anche alla Procura di Roma, ma il “Sistema” lo taglia fuori in maniera brutale. Poi si candida anche alla Procura di Milano, e per tenerlo il più lontano possibile da Milano la “casta” gli trova una soluzione più comoda, questa volta direttamente a casa sua in Calabria, alla Procura di Catanzaro, giustificandola come “assolutamente necessaria e urgente”.
Insomma, un calvario vero e proprio, pesantissimo, raccontato e svelato in anteprima oggi dal nuovo libro di Alessandro Sallusti, e in cui Luca Palamara riferisce nomi cognomi situazioni e dettagli anche imbarazzanti, che però resteranno per sempre ormai storia di questo secolo e di questo nostro Paese.
“E’ il 21 febbraio 2014, giorno in cui Matteo Renzi, disarcionato Enrico Letta, sale al Quirinale da Napolitano per sottoporgli la lista dei ministri del suo governo. E compie il primo, grave e decisivo passo falso, almeno per quanto riguarda la magistratura. Renzi varca la porta dello studio del presidente, le telecamere e i giornalisti fuori ad attendere, ma inspiegabilmente per oltre due ore lui non esce, un tempo anomalo per quel tipo di formalità. Sono tutti con il fiato sospeso. Napolitano si rifiutava di firmare la nomina proposta da Renzi di Nicola Gratteri a ministro della Giustizia. Come si arrivò lì lo ha raccontato lo stesso Gratteri il 20 febbraio del 2020, durante la trasmissione televisiva diMartedì di Giovanni Floris, presenti lei Sallusti e il direttore dell'"Espresso" Marco Damilano. Gratteri disse che il giorno prima della formazione del governo lo chiama Graziano Delrio, maggiorente del Pd renziano, e lo convoco con urgenza a Roma per un incontro con Renzi, che non aveva mai conosciuto. Parlarono per oltre due ore “mi fece un interrogatorio” dirà scherzando, e alla fine Renzi gli propose di fare il ministro. Lui pose solo una condizione: carta bianca per ribaltare il sistema della giustizia, e Renzi accettò”.
Ma in realtà cosa avviene dietro quella porta che non si apre? Attenzione alla scansione che Luca Palamara fa di quelle ore con Alessandro Sallusti.
“La cosa si seppe, perché Roma e sì tanto grande ma certe notizie girano veloci come in un borgo. Poteva un "Sistema" che aveva combattuto e vinto la guerra con Berlusconi e le sue armate farsi mettere i piedi in testa da Matteo Renzi e da un collega, molto bravo ma anche molto autonomo, fuori dalle correnti e per di più intenzionato a fare rivoluzioni? Nicola Gratteri, dunque, icona della magistratura antimafia di quei anni – ma oggi grazie a Dio lo è ancora e molto di più- viene sacrificato e umiliato dal Capo dello Stato perché in realtà il “Sistema” non lo riconosce, e quindi lo tratta come un “nemico”. Come tale da colpire, possibilmente a morte. Luca Palamara snocciola questa vicenda come un rosario, lentamente, visceralmente, con una lucidità ed una padronanza degli elementi che fa quasi rabbrividire.
“Contro Nicola Gratteri si muovono i pezzi da novanta del "Sistema", il Quirinale è preso d'assalto dai procuratori più importanti — lo stesso Pignatone mi confiderà di aver avuto in quelle ore contatti — e dai capicorrente. Napolitano prende atto che la cosa non si poteva fare. Renzi, che come si vedrà non aveva capito che razza di potere ha la magistratura, testardo, sale al Colle con quel nome. Dico questo non in base a supposizioni, ma per i numerosi contatti che ho avuto in quelle ore. Gratteri, che è il più sveglio di tutti, non vedendo la porta di Napolitano aprirsi nei tempi dovuti capisce al volo, come vi ha raccontato da Floris, cosa sta succedendo. Successivamente avrò conferma dai diretti interessati che il mondo della magistratura, tra cui ii procuratore Pignatone, ha fatto arrivare al presidente Napolitano un segnale di non gradimento nei confronti di Nicola Gratteri”.
Ma qui ha ragione Luca Palamara quando ricorda a Sallusti che “Gratteri non era un problema solo in quanto Gratteri”.
“Il vero problema era che Renzi con quella mossa sfida il sistema delle correnti e dei grandi procuratori, che da sempre vengono consultati preventivamente dal premier incaricato o da chi per lui per dare il gradimento a un nuovo ministro della Giustizia. Dopo aver asfaltato, o almeno pensato di aver asfaltato il Pd, Renzi prova a fare altrettanto con la magistratura: qui ora comando io. E no, non funziona così!”.
È così che Giorgio Napolitano elimina dal gioco, in maniera chirurgica e definitiva, il magistrato che, volenti o nolenti, passerà alla storia del Paese per aver messo alle corde le grandi cosche mafiose della ndrangheta, e non solo in Italia.
Ma è normale tutto questo? Luca Palamara tenta con Sallusti un’analisi, che a prima vista appare “accomodante”, ma che non è per niente meno grave di quanto non si possa immaginare.
“Nel nostro mondo non si può entrare a gamba tesa, ti fai solo del male. E lui, Matteo Renzi, non pago del caso Gratteri, poco dopo essersi insediato a Palazzo Chigi mette sul tavolo la questione delle ferie eccessive e della responsabilità dei giudici. E a quel punto si scava la fossa. Be', la stagione della contrapposizione a Berlusconi qualche cosa avrebbe dovuto insegnare a Renzi. Perché prima di lui Enrico Letta e dopo di lui Paolo Gentiloni sono usciti indenni dalla loro presidenza? Perché erano immacolati? Può essere, ma è una risposta semplicistica. Il motivo principale e che non hanno sfidato i magistrati. Renzi invece commette l'errore di pensare che, essendo lui ii segretario del Pd, la magistratura, a maggioranza di sinistra, sarebbe stata al suo fianco a prescindere. Non capendo che sì, la magistratura è quella cosa lì, ma i suoi riferimenti non erano i giovani del Giglio magico, i Lotti e le Boschi come i Gratteri o i Cantone, ma il vecchio apparato comunista e postcomunista che lui stava rottamando”.
Nelle spiegazioni di Palamara, lo leggiamo, torna prepotente il vecchio leit motiv di un tempo, quando in Italia tutto si poteva, tranne però che contro la sinistra.
“Parliamo di gente che al Partito comunista prima e al Pd poi la linea la dettava, non la subiva. Di colleghi che sono inorriditi di fronte al patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Insomma, la sinistra giudiziaria, o più correttamente il massimalismo giustizialista, stava perdendo i suoi riferimenti politici e reali in soccorso di quel mondo politico e culturale che li aveva generati. A tal proposito le parole di Piergiorgio Morosini -autorevole magistrato di sinistra, membro del Csm, segretario di. Magistratura democratica, nonché gip nell' inchiesta sulla trattativa Stato-mafia- mi sembrano eloquenti. In un'intervista "non autorizzata" con la giornalista del "Foglio" Annalisa Chirico, alla vigilia del referendum costituzionale del 2016, che per volontà del premier è anche un referendum su Renzi, Morosini usa parole violente: "Bisogna guardarsi bene da una deriva autoritaria di mestieranti assetati di potere e per questo al prossimo referendum bisogna votare no". Ancora più inquietante era stata la successione alla Procura di Reggio Calabria, dove anche lì in corsa c’era Nicola Gratteri, ma anche questa volta il Sistema lo “rifiuta”.
“La mia nuova missione era di portare a Roma Michele Prestipino. Studio la pratica, il varco c’è: bisogna lavorare al gioco di incastri per eleggere il nuovo procuratore di Reggio Calabria, quello che deve prendere il posto lasciato libero da Pignatone. In campo ci sono Federico Cafiero De Raho, procuratore aggiunto a Napoli, e due dei vice di Pignatone a Reggio Calabria, Nicola Gratteri e lo stesso Prestipino. Sondo le intenzioni sia di Gratteri sia di Cafiero De Raho, quest'ultimo fortemente sponsorizzato dalla mia corrente Unicost di Napoli, che pensa di poter colonizzare la Calabria. Durante una colazione a casa della giornalista Anna La Rosa, spiego a Gratteri le difficolta che sta incontrando la sua candidatura; gli confermo che ha sì l'appoggio di Magistratura indipendente, ma è avversato da Magistratura democratica e soprattutto non è in cima ai pensieri di Pignatone, il quale sta manifestando in più sedi, anche al Csm, una forte volontà di scegliersi sia il vice a Roma sia il successore a Reggio. Gratteri, che conosco dai tempi del mio esordio in magistratura, reagisce male e non accetta quella che ravvisa come una mancanza di fiducia nei suoi confronti. Il derby e quindi tra Prestipino e Cafiero De Raho”.
Vi chiederete, come andrà a finire? Come previsto! O meglio, così come il “Sistema” aveva già deciso di procedere. Perché, non dimentichiamolo mai, nulla si può contro il Sistema. Anche su questo, Luca Palamara è categorico dalla prima all’ultima delle sue dichiarazioni.
“In prima battuta Pignatone preferirebbe Prestipino a Reggio Calabria. Ma la corrente napoletana di Unicost, come dicevo, spinge molto per Cafiero De Raho. D'accordo con Pignatone, tentiamo la spallata finale: in un tardo pomeriggio del febbraio 2013 Cafiero De Raho viene a Roma per discutere di questioni d'ufficio con il procuratore. Con Pignatone rimaniamo intesi in questo modo: poco prima della fine del loro incontro mi manderà un messaggino e io capirò che devo scendere ed entrare nella sua stanza, facendo finta di essere lì per caso. Finito il loro colloquio accompagnerò Cafiero all'uscita, per cercare di convincerlo a rinunciare a Reggio Calabria. Il mio tentativo andrà a vuoto e a quel punto, sempre, d'accordo con Pignatone, l'operazione successiva sarà quella di portare Prestipino a Roma. Che infatti, nel 2013, arriva nella capitale a fare da spalla di Pignatone”.
Altrettanto diretta e immediata sarà l’eliminazione di Nicola Gratteri alla Procura di Milano. Anche qui il “fuoco amico” del Sistema sceglie di tenerlo lontano dalle guglie del Duomo. Qualcuno in alto avrà pensato, non si sa mai cos’altro mai potrebbe combinare anche quassù. È meglio tenerlo a casa sua.
“Siamo nell'aprile del 2016: dopo l'uscita di Bruti Liberati la sede resta vacante, prima di procedere bisogna ricomporre le fratture e fare calmare le acque del caso Robledo. Non si esclude neppure l'invio di un papa straniero, si fanno in nomi di Giovanni Melillo, in quel momento distaccato come capogabinetto del ministro della Giustizia Orlando, e di Nicola Gratteri, che non gradito alle correnti di sinistra, che a Milano comandano, viene però dirottato proprio in quei giorni a Catanzaro con procedura d'urgenza, per sostituire il procuratore capo Antonio Lombardo, andato in pensione”.
E a Milano, eliminato una volta per sempre un “rompicoglioni” come Gratteri torna finalmente la calma piatta. Va dato atto al Consigliere Luca Palamara di avere avuto grande coraggio nel raccontare ad Alessandro Sallusti tutte queste cose, che gettano però ombre pesanti sul mondo della giustizia in generale.
Sarebbe curioso sapere a questo punto cosa ne pensa di tutto questo il Procuratore Nicola Gratteri, ma lui è alle prese con il più imponente processo di ndrangheta della storia, più di 300 imputati alla sbarra, che si celebra proprio in questi giorni nell’Aula bunker di Lametia Terme, e francamente non crediamo abbia il tempo per ritornare su queste pagine nere della storia della magistratura italiana.
Anzi, non lo cerchiamo neanche, proprio per evitare di disturbarlo e di distrarlo dal suo mestiere di sempre, che è quello del magistrato.
In bocca al lupo invece, Procuratore. E che Dio la protegga finché avrà vita. (2-Fine)
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