Vaticano, Suor Elena Aiello, don Enzo Gabrieli “Vi racconto il vero miracolo della mistica calabrese”.
Madre Elena Aiello, meglio conosciuta come “ a monaca santa”, nel ricordo che ne fa oggi il Padre Postulatore del Processo di Beatificazione, don Enzo Gabrieli, uno degli intellettuali più interessanti e più prolifici della Chiesa di Calabria, un giovane sacerdote cosentino che dopo la beatificazione di Madre Elena Aiello è stato poi chiamato a seguire un caso quasi simile, quello di Natuzza Evolo per la sua eventuale Beatificazione.
di Pino Nano
Sabato 17 Aprile 2021
Roma - 17 apr 2021 (Prima Pagina News)
Madre Elena Aiello, meglio conosciuta come “ a monaca santa”, nel ricordo che ne fa oggi il Padre Postulatore del Processo di Beatificazione, don Enzo Gabrieli, uno degli intellettuali più interessanti e più prolifici della Chiesa di Calabria, un giovane sacerdote cosentino che dopo la beatificazione di Madre Elena Aiello è stato poi chiamato a seguire un caso quasi simile, quello di Natuzza Evolo per la sua eventuale Beatificazione.

-Don Enzo, qual è la cosa più bella che si può raccontare oggi di Madre Elena Aiello?

“Certamente la sua vita mistica. “Vuoi partecipare con me al mistero della mia Passione?”. Così inizia la vita mistica di Elena Aiello, la fondatrice delle suore Minime di Cosenza beatificata dieci anni. Il suo si, il suo desiderio giovanile e folle, di quella follia tipica dei santi, da l’avvio alla partecipazione al più grande dei misteri cristiani: la passione di Cristo vissuta nella propria carne, così come diceva lo stesso san Paolo “porto nella mia carne le stimmate di Cristo Crocifisso”.

-Parliamo di una “caso straordinario”?

“Elena Aiello era ancora giovinetta quando diede il suo assenso ad un progetto che si manifesterà nella sua casa, nella cittadina di Montalto, attirando l’attenzione su di lei, su questi fenomeni e sulle locuzioni interiori che caratterizzeranno l’intera sua vita. Era nata il 10 aprile del 1895 proprio a Montalto e già alla prima comunione cominciarono a manifestarsi questi segni che la portarono, nella sua intimità, a vivere soprattutto la quaresima come un grande momento di sofferenza e di partecipazione ai dolori di Cristo”.

-È vero che anche in questo caso, e per questa vicenda, come fu per Padre Pio e per Natuzza Evolo, venne informato e in qualche modo coinvolto Padre Agostino Gemelli fondatore dell’Università Cattolica?

“Assolutamente sì. Lo stesso parroco di Madre Elena, un sacerdote di santa vita per il quale è aperta la causa di beatificazione, il decano don Gaetano Mauro, restò perplesso per questi fenomeni e chiese lumi a padre Gemelli che, in seguito chiese di studiare il caso, ma la congregazione della dottrina della fede gli proibì di scendere a Cosenza, così come risulta da recenti documenti emersi dall’Archivio dell’ex sant’Uffizio”.

-Che infanzia ebbe Elena Aiello?

“La ragazza crebbe in una famiglia numerosa, terza di otto figli, e ben presto dovette badare alle faccende di casa perché rimasta orfana della madre: il padre era uno dei sarti del paese. La sua famiglia modesta ma cristiana fu la culla dove maturò la scelta di abbracciare la vita religiosa. Fece il suo ingresso in convento, il 18 agosto 1920, nell'istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue a Nocera dei Pagani, in provincia di Salerno. Ma vi rimase poco temo. In seguito ad un incidente che le lussò la spalla fu operata e poi rimandata a casa perché il medico inavvertitamente aveva tagliato un nervo. Rimasta semiparalizzata in famiglia si occupò delle faccende domestiche e poi ritornò a collaborare, per come poteva, nel santuario della Madonna della Serra”.

-Si racconta che una notte ebbe in visione Santa Rita, è vero?

“Si racconta che nel corso di un sogno santa Rita le chiese di diffondere il suo culto e da lei ottenne il miracolo della guarigione. Elena poté così ripensare alla sua esperienza di vita religiosa, non più però in una congregazione ma fondando una nuova esperienza nella zona vecchia della città di Cosenza, dove trovò il suo primo rifugio in un angusto appartamentino insieme alla prima compagna, Luigina Mazza. Era il 17 gennaio del 1927 e guidata dalla solo fiducia in Dio, con in cuore il desiderio di salvare le bambine abbandonate e orfane e guidata dall’apparizione di Santa Teresa di Gesù, decise di lasciare tutto, contro il volere del padre e dello stesso decano Mauro”.

-Si racconta sia stata un’esperienza durissima.

“Gli inizi dell’opera non furono affatto facili; dovettero costruire dal nulla la loro esperienza, consigliate dai fratelli Mazza, dell’Ordine dei Minimi, ma senza beni e senza sostegni, contando solo sulla fiducia nella Provvidenza. Nel quartiere popolare della Cosenza vecchia la loro presenza e la loro opera non passò inosservata, le sue sofferenze e l’esperienza delle stimmate e della partecipazione alla passione di Cristo, soprattutto il Venerdì Santo, le guadagnarono l’appellativo di “monaca santa”.

-Vogliamo parlare dei suoi miracoli?

“Vede, la gente cominciò a recarsi da Lei per chiedere intercessione, consigli e anche per curiosità. Ma la sua capacità di scrutare i cuori teneva a bada quanti non cercavano veramente le vie di Dio, il suo carattere forte arginò i tentativi di farla diventare un fenomeno da baraccone. Quello che l’ha portata alla beatificazione interesso una giovane cosentina Francesca Bozzarello, che in un incidente stradale resto gravemente ferita ed era in fin di vita. I familiari e gli amici pregarono tanto suor Elena e il miracolo fu riconosciuto dalla Chiesa”.

-Lasciò però come sue eredità spirituale una serie di diari?

“I messaggi e le locuzioni interiori che ebbe, la descrizione che fece della passione di Cristo, come la stessa Caterina Emmerick o sant’Angela da Foligno, rimasero custodite nel segreto della sua congregazione. I suoi diari sono ancora gelosamente custoditi dalle sue figlie spirituali. Quello che lei disse ai suoi superiori, alle autorità del tempo per richiamarle al dovere della pace e della concordia tra i popoli, erano il frutto della sua esperienza mistica e della sua calabresità tipica delle donne del Sud. I suoi appelli inascoltati, fatti arrivare a perfino a Benito Mussolini, per non entrare in guerra vanno collocati in questa sua grande intimità con il Signore che le dava la forza di pronunciare una parola profetica sulla sua storia”.

-Possiamo parlare di una Santa, già allora?

“Non si è trattato certamente né di una indovina né un una profetessa, ma di una donna di Dio, contemplativa e forte, di una donna credente e saggia. I santi sono uomini e donne afferrati da Cristo che vivono la loro storia con concretezza, cammino sulle nostre strade polverose, si impegna per gli altri. Lei è stata una di quelle che ha cercato, accolto e servito l’infanzia abbandonata e le persone che nessuno voleva. Quelli che papa Francesco chiama gli scartati”.

-In che modo la Chiesa ha giudicato e valutato le stigmate che aveva alle mani?

“Nel corso degli anni i fenomeni mistici, che furono ovviamente anche studiati da commissioni nominate dalla Chiesa, si ripetevano regolarmente. Lei era come trasportata nelle scene della passione di Cristo, che descriveva con pietà e grande partecipazione. Sulle mani e sui pedi, sul costato, si aprivano le ferite riconducibili al Crocifisso, il volto diventava una maschera di sangue irrorata da diversi punti dai quali sgorgava a fiotti, così come fu per l’uomo che portava la corona di spine. Giornate di sofferenza che culminano il Venerdì Santo con una sorte di tranche, o morte apparente, per debilitazione. Tutte le sue figlie poterono assistere e testimoniare gli eventi, ma dopo qualche giorno, al suono della Pasqua Elena tornava nella freschezza e nella normalità della sua vita. Fenomeni, questi, che si ritrovano anche in altri santi del nostro tempo, da Pio da Pietrelcina a Natuzza Evolo, che restano avvolti nel mistero ma che sono legati al desiderio di partecipare alla passione di Cristo. Sono solo un aspetto della santità di Elena e di tanti altri, nel quale hanno mostrato che essere santi significa conformarsi a Cristo, ma tale partecipazione richiede ancor più la donazione completa della vita a lui e alla missione, attraverso le opere che lo Spirito Santo suggerisce”.

-Padre, lei non fa che ripetere da sempre che il vero miracolo di Madre Elena era ben altro, e cioè?

“Passione nella carne, passione per l’uomo sofferente. Vede, le sue case si riempirono di bambini e di orfani. Aprì i conventi a sacerdoti abbandonati e che erano caduti in disgrazia. Fra questi lo stesso don Carlo De Cardona, che sul finire della vita, era stato lasciato solo dopo il fallimento delle Casse rurali. Aprì la sua casa a giovani donne abbandonate dai familiari perché colpite da gravi disabilità. Elena capì, gradualmente, che la partecipazione alla passione del suo Signore, non era solo il fenomeno mistico che riguardò il suo corpo, l’effusione del sangue e anche segni che restavano impressi sulle lenzuola e sui fazzoletti, colse che c’era un’altra carne piagata da assume ed era quella dei piccoli e degli ultimi, di tutti quegli scartati come dice oggi papa Francesco, che, come poveri Lazzaro, stanno davanti alle nostre chiese. Questo fu il vero grande miracolo di Elena”.

-Si raccontano ancora delle tante guerre interne che la Chiesa del tempo fece contro di lei…

“In parte sì. Elena ebbe a soffrire più per le incomprensioni, anche all’interno della chiesa diocesana, che per le stimmate che portava nel suo corpo e morì a Roma il 19 giugno del 1961, sessant’anni fa, dopo alcuni mesi di sofferenza nella casa di via Baldassini”.

-In che modo oggi la si può ricordare?

“Il suo funerale fu celebrato nella cattedrale di Cosenza dall’allora arcivescovo Aniello Calcara, che era stato ostile all’opera della suora, ma il carisma è inarrestabile se viene dallo Spirito e la sua piccola congregazione si irradiò in Calabria e nel mondo ed ancora oggi le sue figlie, anche nella logica della via minima, proseguono la sua opera di “passione” per Cristo e per il mondo. A dieci anni dalla sua beatificazione la sua congregazione sta pensando di ricordarla con alcuni eventi ma soprattutto cercando di imitarne l’esempio e la passione per Dio e per l’uomo ferito e abbandonato”.

(2^ PARTE-Segue)


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