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"Cosa c'è di umano nel vietare di vedere il proprio parente ormai morto? Non sappiamo neppure chi c'era dentro la bara, che ci è stata consegnata sigillata".
"Cosa c'è di umano nel vietare di vedere il proprio parente ormai morto? Non sappiamo neppure chi c'era dentro la bara, che ci è stata consegnata sigillata".
In quanto Comitato Nazionale dei Familiari delle Vittime del Covid-19, "perseguiamo la ricerca della verità per i nostri cari e per ridare loro quella dignità che a nostro avviso è stata rubata e reputiamo essere stata lesa anche da morti".
Lo ha detto la presidente del Comitato, Sabrina Gualini, in audizione davanti alla Commissione d'inchiesta sulla pandemia.
"Cosa c'è di umano nel vietare di vedere il proprio parente ormai morto? Non sappiamo neppure chi c'era dentro la bara, che ci è stata consegnata sigillata - ha proseguito Gualini -. Diversi di noi non hanno potuto nemmeno onorare il proprio caro. Forse il virus usciva dalla bara?".
"I giornalisti potevano entrare nelle aree Covid e mandavano immagini degli intubati insieme ai martellanti bollettini che alimentavano paura e solitudine. A noi familiari era vietato invece di fare visita ai nostri parenti perché si diceva che il virus lo si portava dall'esterno", eppure "diversi di noi piangiamo un parente che era un tampone negativo all'ingresso di ospedali e Rsa per poi ritrovarsi positivo", ha precisato, evidenziando che "il nostro comitato può raccontare una realtà vissuta lontana anni luce da quanto consigliato dal Comitato nazionale per la bioetica che addirittura diceva di dare rilievo all'umanizzazione e alla personalizzazione delle cure".
"Ci è stato vietato di vedere, anche indossando doppia e tripla tuta, il nostro caro ormai esanime. La cosiddetta vestizione non c'è stata. Abbiamo letto e ci hanno riferito che i morti venivano messi nei sacchi", ha detto ancora Gualini, replicando ad una domanda del leghista Claudio Borghi sul 'post mortem'.
"Ci chiediamo a cosa sia servito l'incremento tariffario, oltre 3mila euro al giorno per degenza in area medico Covid, o oltre 9mila euro al giorno per ricoveri in terapia intensiva, se poi i diritti del malato e della persona non sono stati un granché rispettati, forse per carenza di personale medico e sanitario. E mi riferisco anche al consenso informato, che pare essere scomparso", ha continuato Gualini.
"Abbiamo delle chat tra parenti ricoverati e chi era casa che hanno del surreale e siamo in grado di fornirle. Parlo per esempio di un giovane uomo di 45 anni, padre di tre figli piccoli - ha continuato - che viste le precarietà esistenziale della struttura ospedaliera che lo riceveva dopo un primo rifiuto della prima per mancanza di posti letto, scriveva alla giovane moglie: 'Non lasciarmi morire in questo Pronto soccorso', e che non aveva nemmeno un campanello per suonare. Non riusciva a respirare con la maschera che gli avevano messo, voleva bere ma nessuno si avvicinava quando chiamava alzando le braccia".
In più, ha concluso, "per quello che si poteva fare e forse non è stato fatto chiedo di audire Massimo Franchini, Direttore del SIMT Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale di Mantova, che potrà ben documentare a questa commissione quanto sia importante il plasma iperimmune nell'immediato di una emergenza pandemica. Purtroppo ai nostri cari è stato precluso non solo l'uso del plasma iperimmune, ma anche i cosiddetti anticorpi monoclonali".