I paradossi della Seconda Repubblica. Per fortuna c’è Mattarella che tiene il Paese bene ancorato al futuro
“E’ un tempo quello in cui viviamo - questa l’analisi del giornalista Raffaele Malito, politologo e scrittore- nel quale si intrecciano, si sovrappongono e si confrontano fatti della nostra storia recente e quelli del presente. Sono i paradossi della cosiddetta seconda Repubblica”.
di Raffaele Malito
Lunedì 08 Maggio 2023
Roma - 08 mag 2023 (Prima Pagina News)
“E’ un tempo quello in cui viviamo - questa l’analisi del giornalista Raffaele Malito, politologo e scrittore- nel quale si intrecciano, si sovrappongono e si confrontano fatti della nostra storia recente e quelli del presente. Sono i paradossi della cosiddetta seconda Repubblica”.

Il primo è quello di aver cancellato, con la rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite, i partiti espressione delle culture liberaldemocratiche, cioè, le migliori tradizioni politiche del Novecento, la democristiana, la socialista, la repubblicana, la liberale, la socialdemocratica, lasciando in campo solo gli “eredi delle macellerie novecentesche”, i post comunisti del Pds e i post fascisti del Msi.

Il secondo paradosso consiste nel non aver capito che il tentato linciaggio e le monetine lanciate, trenta anni fa, contro Craxi, davanti all’hotel Raphael, avrebbero delegittimato non solo il leader socialista ma l’intera classe politica che aveva fino ad allora governato il Paese, condannando il dibattito pubblico a una deriva demagogica e populistica e l’Italia all’inevitabile stallo di un  eterno presente.

E’ il caso di sottolineare che di quel giorno di barbarie, alcuni dei molti personaggi, che ne furono protagonisti, i Pm Gherardo Colombo, Il segretario del Pci-pds, Achille Occhetto, il capo-ufficio stampa di Fini, Francesco Storace, intervistati, scoprono e rivelano inutili, pusillanimi, tardive riprovazioni.

La cancellazione dei partiti, strutture dalle quali dipendeva la formazione, dopo un lungo cursus honorum, del ceto politico e la definizione, attraverso un duro ma regolato confronto interno, della linea politica, è stata sostituita da un leaderismo, presunto autosufficiente, incalzato e costruito attraverso la demagogia populistica di  un sistema mediatico – talk show, parossistici social ripiegati su se stessi- che destina a una comune, identica svalutazione, politica e informazione: i partiti, o presunti tali, perdono iscritti e presenza sul territorio, i giornali perdono lettori e credibilità. Insomma, una nemesi. 

I fatti di questi giorni: l’assoluzione degli imputati nel processo sulla trattativa Stato-mafia conferma che la storia del nostro Paese è stata appaltata a storici del tempo perso; il governo che resta senza maggioranza nel voto su decisioni importanti di politica economica è espressione e figlio di un’idea che ha reso marginale anche il Parlamento, senza bisogno di ricordare che la seconda carica del nostro sistema costituzionale è nelle mani del sen. La Russa che non riconosce la Resistenza.

Non deve, dunque, sorprendere che la polemica e il dibattito che, nei giorni scorsi, si sono protratti sui temi dell’antifascismo siano diventati insopportabili: perché non era mai accaduto  che si mettessero in discussione valori, principi, sentimenti  ritenuti finora inattaccabili, patrimonio della nostra Costituzione.

Sono i vizi di un tempo politico che, dopo le ubriacature delle stagioni dell’onestà, quella della rivoluzione giudiziaria degli anni novanta e quella più recente di Beppe Grillo, non ha più ritrovato la normalità democratica che esiste negli altri paesi europei.

Difficoltà di fronte alle quali si trovano le due leader del momento: Giorgia Meloni è appesantita da un’identità politica e radici culturali passate, da cui fatica a liberarsi, cercando riconoscimenti internazionali in politica estera, puntando sulla capacità del fare, con gli effetti cinematografici della giornata di lavoro, il primo maggio, viaggiando attraverso le infinite stanze di palazzo Chigi  e annunciando, con disinvoltura, la pioggia di soldi per gli italiani , evitando, magari, le domande dei giornalisti.

Per Elly Schlein le cose sono ancora più difficili: priva di un’identità politica  ben definita, se non genericamente, di sinistra-sinistra, in qualche modo imprigionata nella rete della demagogia e delle esemplificazioni esasperate, tessute nell’irresponsabilità degli anni passati all’opposizione, deve riuscire a elaborare una linea politica credibile, coerente per un partito che voglia avere capacità di governo: in questi giorni deve fare anche i conti con l’assalto  mediatico, in un certo senso,  malvagio, dell’abbigliamento dettato dall’armocromista.

Viviamo - e il pessimismo non è dovuto solo all’età- in questo tempo, senza molte speranze: non a caso ci aggrappiamo all’ancora a cui Sergio Mattarella, tiene piantata l’Italia. 


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