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Folla delle grandi occasioni alla Feltrinelli di Via Tomacelli per la presentazione di “Gerace la città delle cento chiese”
Folla delle grandi occasioni alla Feltrinelli di Via Tomacelli per la presentazione di “Gerace la città delle cento chiese”
Per un attimo l’altra sera ci era sembrato di essere finiti alla “Shakespeare and Company”, la storica libreria parigina che respira l’aria di Notre Dame sulla Rive gauche di Parigi, e che per lunghi anni è stato luogo di incontro per scrittori come Ezra Pound, Ernest Hemingway, James Joyce e Ford Madox.
Poi abbiamo chiuso gli occhi, e l’attimo successivo ci eravamo invece illusi di essere stati catapultati dalla macchina del tempo nelle mille meraviglie di “Foyle’s” , nel cuore di Londra, dove sui cinque piani di libri che ci sono non puoi non trovare la montagna incantata che sta dentro di noi, con le mille illusioni fantastiche della tradizione anglosassone.
Poi, invece, all’improvviso abbiamo riaperto gli occhi e ci siamo resi conto che in realtà stavano solo a Roma, alla Feltrinelli di Via Tomacelli, la famosa strada di Fendi e della Ferrari, balcone incantato sulla scalinata di Trinità dei Monti e su Piazza di Spagna. Ma per cosa? vi chiederete.
Per assaporare la magia della lingua calabrese. O meglio, per rivivere in compagnia la magia della terra di Calabria, in compagnia soprattutto di chi l’ha vissuta per lunghi anni, portandosi poi in giro per il mondo, dentro dietro nella vita e per sempre, questo senso profondo di malinconia che gli americani chiamano “Omsic”, questo senso di “mal d’aria” che hanno poi meravigliosamente cristallizzato nelle grandi sale del museo dell’emigrazione di Ellis Island.
Storie, in questo nostro caso, di emigrati molto speciali, per la maggior parte intellettuali e grand Commis di Stato, alti magistrati e alti burocrati, scrittori e professori universitari, giornalisti e romanzieri, politici di grido e rampolli dell’alta borghesia, un mix di presunzione e di accademia insieme che alla Feltrinelli di Via Tomacelli, hanno trasformato una banalissima manifestazione di lancio di un libro, perché questo doveva essere, in una cerimonia quasi sacra e solenne, liturgica ed elitaria, un inno assolutamente spontaneo al principe della notte, che in questo caso si chiama Francesco Maria Spanò, e che scrivendo un saggio sulla sua città natale, Gerace, che città non è, ma solo un grumo di case appollaiate sulla collina prospiciente lo Ionio e l’antica Locri, ha permesso alla Roma di queste ore di “pensare” alla Calabria.
Di parlare, soprattutto di Calabria. Di capire, soprattutto, che la Calabria è fatta anche di cose importanti diverse e per nulla collegate alla mafia. Di immaginare di poter fare nei prossimi mesi un viaggio e una vacanza “laggiù in fondo allo stivale”.
Meravigliosa serata nel cuore più antico di Roma, dove le uniche anime visibili e animate parevano essere gli ospiti e gli avventori di questa libreria del centro, in una capitale ossessionata dal coronavirus, e dal terrore di restarne infetti.
Veniva da sorridere, immersi come eravamo in questo luogo sacro del libro d’autore, letteralmente pressati l’uno sull’altro, accartocciati su noi stessi come sardine vere e non mediatiche, veniva proprio da sorridere a ripensare a tutte le indicazioni e i suggerimenti che la televisione ci riversa inesorabilmente e impietosamente addosso ormai da settimane.
“Guai a dare la mano a chi incontri per strada”, “Peggio ancora, se lo abbracci e lo baci sulla guancia”, “Mai e poi mai avvicinarsi a chi ha un po' di tosse” e soprattutto “Lavarsi le mani in continuazione dopo aver incontrato qualcuno. O ancora peggio, “Guai a respirarsi accanto”.
Bene, non ce ne vogliamo gli scienziati, ma noi eravamo parte di una grande folla, eravamo per la maggior parte figli reduci di una Calabria lontana, ma non solo, inginocchiati e accovacciati attorno allo stesso braciere e affacciati sulla stessa piazza, letteralmente l’uno sull’altro, provocatoriamente e sfacciatamente inconsapevoli del rischio coronavirus, in questa atmosfera da fiaba antica, dove al centro della sala il Gran Sacerdote Francesco Maria Spanò spiegava il perché nel suo libro “Gerace, la città delle cento chiese” primeggia una foto in bianco e nero che raffigura una tomba al cimitero di Gerace.
Ma è l’immagine del cimitero il ricordo più scontato e più naturale di chi come Francesco Maria Spanò ha lasciato la sua terra natale per rincorrere il successo della capitale. Il camposanto dei nostri paesi è il punto di partenza e il punto di arrivo della nostra immensa solitudine di emigrati.
Chi di noi, al rientro nei propri paesi di origine, non corre al cimitero? Dopo aver riaperto casa, il cimitero diventa la seconda meta obbligata di questo viaggio disperato alla ricerca di ricordi immagini e amici che però non ci sono più davvero. E oggi Francesco Maria Spanò, che in questa Roma capitale è diventato un protagonista di assoluto primo piano, se non altro per via del suo ruolo ai vertici del management della LUISS “Guido Carli”, lancia la sua provocazione culturale più bella, e lo fa invitando tutti i presenti alla sua festa a visitare Gerace.
“Venite a Gerace, almeno una volta nella vostra vita”, perché prima o poi -ripete questo giovane intellettuale del diritto prestato all’antropologia con la consapevolezza dei filosofi moderni- “il mio piccolo paese natale diventerà Patrimonio dell’Unesco”.
Vero o falso che sia, noi ci abbiamo creduto fino in fondo l’altra sera, e per un lungo pomeriggio abbiamo sognato insieme a lei, e abbiamo guardato e pensato alla storica Cattedrale di Gerace come lo si potrebbe fare con la Città rosa di Petra in Giordania, o con il sito archeologico di Medina Azahara in Spagna, o ancora di più, con il sito archeologico di Göbekli Tepe al confine con la Siria.
Caro Francesco, lei non poteva fare di meglio che chiedere alla giornalista Anna La Rosa, geracese quanto lei e forse più di lei, di raccontare a questa Roma così sempre molto ammaliante, ma oggi così fortemente decapitata dai soloni della politica per via di una pandemia mal gestita e non so ancora quanto realmente infida e pericolosa, la magia della Locride.
Anna è stata bravissima, come sempre del resto, ma lo si capisce da lontano che dopo aver girato il mondo, mille volte davvero, ora anche lei sogna di tornare a Gerace, e per sempre.
Pensi che prima di andare via, noi che eravamo venuti a sentirla, eravamo insieme al Direttore della Sede Rai della Calabria Demetrio Crucitti, ci siamo guardati attorno, ci siamo fermati di proposito per un attimo davanti alla grande vetrata che separa la Feltrinelli dal selciato stradale di Via Tomacelli, e la cosa che più ci ha emozionato sono stati i tanti turisti che si fermavano davanti alla libreria per chiedersi “cosa fosse successo di così importante”, perché non riuscivano a capire chi avesse autorizzato un “raduno potenzialmente così infetto” di uomini e donne nel cuore di Roma.
La verità è che tra Gerace e il rischio Coronavirus la gente alla fine ha scelto Gerace, ironia della sorte.
E in mezzo a questa folla di persone, ci piace dirlo, noi l’altra sera abbiamo ritrovato salutato e riabbracciato dopo tanti anni tantissimi amici che avevano perso sul sentiero della vita, e già solo questo è stato il regalo più bello che lei, Francesco, poteva farci.
Il suo libro su Gerace è un piccolo capolavoro, ma questo è inutile sottolinearlo, lo sa lei, lo sapeva bene il suo editore Gangemi appena letta la prima bozza, lo sanno i suoi amici, lo hanno già scritto abbondantemente i critici più autorevoli della materia, lo sanno già tutti anche in Calabria. Ma proprio per questo, dunque, le dico “alla prossima...”.
Assolutamente sì, arrivederci alla prossima occasione, con la speranza che Gerace diventi davvero, presto, patrimonio dell’Umanità. Nel suo saggio, l’Unesco troverà le giuste ragioni per farlo.